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Economia digitale: investire nel digital economy

I cambiamenti che stanno apportando le recenti innovazioni tecnologiche sono sempre in aumento. Un esempio su tutti? L’intelligenza artificiale, che insieme ad altre innovazioni hanno creato una vera e propria economia digitale; nasce quindi, soprattutto per le società che vogliono investire nel digital, la necessità di quantificare l’impatto di questa tipologia di economia nel mondo “reale”.

Gli investimenti in pubblicità digitale sono in forte aumento. Anche l’occupazione del settore digitale segna un importante aumento: il numero di impiegati è salito in un anno da 220.000 a 253.000, mantenendo un ritmo di crescita superiore rispetto a quello dei ricavi. Tutto questo è possibile perché il processo di digitalizzazione delle competenze è più rapido ed anticipato a livello temporale rispetto alla crescita dei ricavi.

Economia digitale? Il significato è complesso e va molto oltre l’investimento tecnologico necessario a gestire i cicli di vita dell’hardware e del software. L’economia digitale, infatti, rappresenta il macro universo che ruota attorno all’innovazione del business. Secondo le ultime previsioni IDC, l’economia digitale sta tagliando in due il mercato. Da una parte ci sono le imprese che, cavalcando la trasformazione digitale, si stanno rinnovando. Dall’altra, ci sono tutte le aziende che sono ferme perché ancorate a logiche tradizionali. Non entrare a far parte dell’economia digitale, avvertono gli esperti, è irrazionale e rischioso. Perché il cuore della digital trasformation (DX) non è la tecnologia. Sono le vision.

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Economia digitale: che cos’è e cosa significa

L’economia digitale è basata sulle tecnologia informatica è l’economia che ruota attorno al digitale. Il termine economia digitale è stato usato per la prima volta più di vent’anni fa da Don Tapscott, business executive, consulente e saggista canadese. Sua l’intuizione quando, nel 1995,  scrisse un saggio intitolato: The Digital Economy: Promise and Peril in the Age of Networked Intelligence. Il libro anticipava l’impatto di Internet sul mondo del business, introducendo nuove regole e nuove dinamiche associate all’intelligenza delle reti. Il concetto è stato poi ripreso dall’economista americano Thomas Masembourg , che aveva identificato le tre componenti chiave dell’economia digitale:

  • Infrastruttura a supporto dell’e-business: ovvero l’insieme dell’hardware, del software, dei sistemi di telecomunicazione, delle reti e delle risorse di supporto
  • E-business: vale a dire la vera e propria gestione del business mediata da computer collegati in rete, con tutto il corollario di processi informatizzati correlati
  • E-commerce: ossia tutte le vendite on line che comportano il trasferimento delle merci

Quanto vale la digital transformation?

IDC stima che la spesa tecnologica mondiale per la trasformazione digitale sfiorerà i 1.300 miliardi di dollari nel 2018 (in crescita del 16,8% rispetto al 2017) per arrivare a 1.700 miliardi nel 2019 (con una crescita del 42%  rispetto al 2017). Da qui ai prossimi due anni le previsioni parlano di 400 miliardi investiti nelle quattro tecnologie che compongono la Terza Piattaforma costituita da mobile, cloud, big data, social media. Altri 1.300 miliardi di investimenti sono veicolati in quelli che l’analista americano chiama Acceleratori dell’Innovazione: IoT, robotica, cognitive/IA, realtà aumentata e virtuale, blockchain. L’economia digitale, infatti, è incentrata su uno sviluppo tecnologico continuo sempre più integrato e complesso. Chi governa le aziende non deve perdere di vista gli obiettivi, che non sono le tecnologie in sé e per sé. 

A farla da padrone, all’interno di questo nuovo ecosistema economico, è l’advertising sui social network con particolare focus sulla produzione di contenuti video seguito molto da vicino dagli investimenti in pubblicità su smartphone. La pubblicità da mobile è infatti cresciuta in questo ultimo anno del 40%, pur a fronte di ritorni economici non sempre in linea con gli investimenti ed il tempo speso dagli utenti sui device mobile.

Considerando poi il cosiddetto perimetro allargato dell’economia digitale, tenendo conto cioè delle imprese del settore digitale che stanno estendendo i propri investimenti pubblicitari anche al di fuori dei canali online, possiamo fare una valutazione ancora più veritiera sul settore digitale. Il valore stimato è di circa 80 miliardi di euro con una forza lavoro impegnata nel settore di oltre 600.000 unità.

Queste cifre testimoniano quindi che il digitale non è solo legato ad attività fini a se stesse, ma di fatto ha creato un vero e proprio indotto economico che continua a crescere; è un treno che le aziende non possono, e non devono, perdere per poter partecipare attivamente alla costruzione dell’economia del domani.

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Ma chi è che raccoglie i nostri dati?

Oggi la raccolta dei dati è gestita molto spesso da algoritmi in grado non solo di catalogare le informazioni, ma anche di strutturarle, così da renderle interessanti. Non c’è alcun dubbio che la principale fonte di raccolta dati sia la navigazione online. Un acquisto su un sito di e-commerce, un preventivo per una polizza auto, ma anche la semplice navigazione producono un’enorme quantità di dati che ci riguardano. Mediamente sono almeno ottanta le aziende che, grazie al comportamento online di un utente, riescono ad agganciare il suo indirizzo IP e a seguirne i passi, scoprendone affinità e abitudini.

Ma la raccolta avviene nei modi più disparati. Il direct email marketing, per esempio, si fonda sulla raccolta di dati di società perlopiù attraverso le newsletter. Pacchetti di informazioni vengono poi messe a disposizione di società – Magnews, Contactlab, Teradata solo per fare alcuni nomi – che tramite software li gestiscono e li analizzano, proponendo in molti casi anche progetti di comunicazione.  L’email marketing ha cambiato faccia e si tende a lavorare su strategie personalizzate possibili grazie a software ad hoc. 

Quanto valgono i nostri dati?

Sono gli algoritmi i veri protagonisti della rivoluzione digitale che stiamo attraversando e dei cambiamenti dirompenti del nostro modo di vivere e del modo di operare delle imprese. Ai dati sono interessate le grandi aziende, ma anche le PMI.

In tutto questo non c’è però da rimanere delusi nell’apprendere che i nostri dati valgano pochi centesimi di euro. Le regole sono dettate dal mercato. Acquistare online 10mila indirizzi email contenenti cinque parametri personali (gli anni, il sesso, i libri letti, le automobili preferite e gli sport seguiti) costa 164 dollari, e cioè 1,6 centesimi di dollaro per ogni singolo indirizzo mail. Di norma, comunque, i dati di una singola persona sono venduti per un prezzo che sta ben al di sotto di un euro. Profilazione degli utenti a parte, il tessuto imprenditoriale italiano non può fare a meno dei Big Data. Ne va di mezzo la competitività. 

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