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Questa Tav non s’ha da fare. Il governo rinvia ancora: imprese sul piede di guerra

Ieri il premier Conte ha ricevuto a Palazzo Chigi una delegazione piemontese favorevole alla Tav, ma sull’altavelocità Torino-Lione, il Governo gialloverde prende ancora tempo. Una prassi ormai consolidata da questo esecutivo, insomma, quando c’è da prendere decisioni importanti e strategiche per il futuro del paese, la soluzione è “fare melina”. Nonostante la mobilitazione pro Tav di Torino e il manifesto del mondo produttivo, la decisione slitta ufficialmente a prima delle elezioni europee di maggio.

Ovvio che l’incontro con il premier Giuseppe Conte, il vicepremier M5S Luigi Di Maio e il ministro Danilo Toninelli abbia lasciato l’amaro in bocca ai 13 rappresentanti di una trentina di associazioni (tra loro esponenti del mondo industriale, delle categorie produttive, degli ordini professionali e del sindacato) arrivati a Roma con la speranza di parole più chiare. In serata, Conte ha provato a smussare: “Per l’inizio del 2019 dovremmo farcela”.

I condizionali sono un marchio di fabbrica di questo governo. Non è certo bastato a placare gli animi l’annunciato coinvolgimento di un esponente “sì Tav” e di uno “no Tav” nella commissione tecnica al lavoro sull’analisi costi-benefici, per arrivare a “responsabilità e decisioni condivise”. Il vertice, d’altronde, era stato preceduto da un chiaro segnale della volontà di temporeggiare: la lettera di intenti, firmata lunedì a Bruxelles da Toninelli e dalla sua omologa di Parigi, Elisabeth Borne, per chiedere a Telt, il soggetto attuatore, di far slittare al 2019 la pubblicazione dei bandi attesi per dicembre.

Un assist esplicito al Governo italiano, quello della Francia, che ha deciso di sostenere il metodo dell’analisi costi-benefici. Sarà “puntuale e non ideologizzata”, hanno precisato in una nota congiunta Conte, Di Maio e Toninelli. Aggiungendo che soltanto al termine di questa istruttoria “si tireranno le fila” con “trasparenza, ascolto, equilibrio e approccio pragmatico”. L’esito è atteso entro fine mese. Ma poi, ha detto Conte, “andrà condiviso con la Francia”.

“Siamo amareggiati un po’ dall’idea dilatoria”, ha sottolineato il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. “Spostare in avanti la decisione e non aprire i bandi di gara immediatamente significa meno cantieri e meno occupazione, che dovrebbe servire a quella crescita che il Governo indica in chiave europea e italiana come sostenibilità della manovra”. La delusione della delegazione piemontese è evidente. “Torniamo a casa – commenta Dario Gallina, presidente dell’Unione industriale di Torino – con un’unica certezza: e cioè il fatto che il Governo abbia congelato fino al 2019 i bandi per la tratta internazionale Tav, senza alcuna garanzia”.

Nella lettera a Telt si chiede “che la pubblicazione dei bandi di gara non venga effettuata prima della fine del 2018” pur ribadendo l’interesse dei due Governi “a beneficiare dei finanziamenti europei per la realizzazione dell’opera e a rispettare le condizioni del Grant Agreement”.

Aumenta così la frattura già esistente tra gli alleati di governo. Di fronte ai tentennamenti dei Cinque Stelle, il pressing della Lega si fa di giorno in giorno più serrato. Ieri Matteo Salvini ha voluto marcare la distanza dalla componente “gialla” incontrando in separata sede, al Viminale, Mino Giachino, promotore della petizione Sì Tav su Change.org. Presente il segretario regionale del Carroccio, Fabrizio Ricca, Salvini ha condiviso “l’importanza dell’opera”.

Il contratto di governo sulla Tav impegna le parti “a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”. L’incontro a Palazzo Chigi arriva dopo la manifestazione a Torino nelle ex Officine Grandi Riparazioni delle organizzazioni a cui fa capo il mondo produttivo, dagli industriali al settore della cooperazione.

 

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