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Huawei ancora presa di mira dagli Usa. Il perché della richiesta agli alleati a diffidare della multinazionale cinese

Continua lo scontro degli Stati Uniti contro il colosso delle telecomunicazioni Huawei che, dopo il bando totale dentro i confini americani, adesso il Dipartimento di Sicurezza del governo degli Usa ha formalmente chiesto ai Paesi alleati (Italia compresa) di seguire l’esempio americano ed intervenire sulle infrastrutture per le telecomunicazioni installate dalla stessa Huawei nei loro confini. Il rischio secondo Washington sarebbe quello di semplificare un monitoraggio dei dati e delle informazioni digitali di ciascun individuo, tutto a beneficio delle strategie di Pechino.

Da un articolo del Wall Street Journal, dove si spiega come il governo americano abbia avviato una “straordinaria campagna di sensibilizzazione per avvertire le nazioni a loro più vicine dei pericoli legati al colosso cinese”. Tra questi stati oltre all’Italia c’è anche la Germania ed il Giappone. Gli Stati Uniti si sono inoltre proposti di aumentare la collaborazione nel settore delle comunicazioni nel caso in cui i paesi alleati accettassero di abbandonare le forniture di Huawei. Per convincere le nazioni amiche a limitare la diffusione dei prodotti del colosso cinese nella vita di tutti i giorni dei cittadini, il governo statunitense potrebbe addirittura offrire incentivi finanziari agli alleati.

Secondo il Wall Street Journal, gli organi di controllo della Casa Bianca sono sempre più convinti che la multinazionale asiatica, in ascesa oramai da anni nel panorama hi-tech, sia legata con le operazioni di spionaggio della Cina. I funzionari dell’amministrazione Trump avrebbero ottenuto altre evidenze del coinvolgimento di Huawei nel supportare le attività di violazione cibernetica della Cina in giro per il mondo.

I dissidi fra la multinazionale e il governo USA non sono di certo una novità, e nei primi mesi del 2018 governo, FBI, CIA e NSA facevano il nome dell’azienda cercando di inibire le vendite dei prodotti di Huawei, in forte crescita sia in Europa, sia in altre parti del mondo. Del resto, la battaglia al dragone rosso che Trump manda avanti con grande rigore, ha già causato un aumento delle tasse sulle importazioni cinesi, oltre che un rafforzamento delle regole sugli investimenti esteri, indirizzati soprattutto ad avviare business occidentale in Oriente. Intanto ad oggi il gigante cinese, fondato da Ren Zhengfei, un ex ufficiale dell’Esercito popolare di liberazione, è al numero due della classifica tra i principali produttori di smartphone a livello globale, dopo Samsung e prima di Apple.In questo clima di pressing ed incertezza verso la multinazionale asiatica, a Canberra, ad esempio, le autorità australiane sono giunte alla conclusione che se c’è qualche dubbio circa l’uso di smartphone e infrastrutture della compagnia di Shenzen, allora meglio non rischiare e affidarsi ad altri fornitori. In maniera simile proprio la Germania sta pensando a bloccare la costruzione del network 5G di Huawei e ZTE tra i confini, due aziende che hanno fondato il loro successo economico sulla parte di realizzazione di reti di comunicazione e solo dopo si sono lanciate nel settore della telefonia mobile.

La reazione di Huawei

“Huawei è sorpresa dai comportamenti del governo Usa descritti nell’articolo del Wall Street Journal”, ha affermato un portavoce della compagnia in merito all’atteggiamento degli Stati Uniti. “Se il comportamento di un governo si estende oltre la sua giurisdizione, tale attività non dovrebbe essere incoraggiata”. Il colosso cinese ha proseguito spiegando che i prodotti e le soluzioni Huawei sono usati in oltre 170 Paesi in tutto il mondo, e servono 46 dei primi 50 operatori mondiali, aziende di Fortune 500 e centinaia di milioni di consumatori, che scelgono di acquistare Hauwei per la fiducia che queste imprese ripongono nel marchio asiatico. “Siamo sorpresi dalla presa di posizione del governo statunitense. Dal canto nostro, continueremo a servire gli utenti con le nostre soluzioni innovative”.

 

 

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