Vai al contenuto

Cade l’ultimo tabù 5 Stelle: “Salvini? Restituisca 49 milioni agli italiani”

La capitale dello scontro, la città dove il conflitto fra Lega e Cinque Stelle si fa di giorno in giorno sempre più acceso, con ricadute inevitabili a livello nazionale su un governo mai così fragile agli occhi esterni. Dopo lo stop di Matteo Salvini all’inserimento del cosiddetto “Salva Roma” nel Decreto crescita, che a molti è sembrata una ritorsione per le richieste di dimissioni di Armando Siri, indagato per corruzione, da parte degli esponenti del Movimento, i grillini romani sono infatti passati al contrattacco.

Il Carroccio, dicono, deve restituire i 49 milioni di rimborsi elettorali che la Lega, secondo il tribunale di Genova, dovrebbe restituire. I toni sono decisamente duri. Scrive su Facebook Giuliano Pacetti, capogruppo in Campidoglio: “Il ministro dell’interno è un chiacchierone: la smetta con la campagna elettorale e lavori un po’. Dopo decenni i conti di Roma sono finalmente positivi grazie alla sindaca Raggi”.“Si vede che Salvini – prosegue Pacetti – con i numeri ha difficoltà a capire, eppure gli è stato spiegato bene: il nostro Salva Italia taglia 2,5 miliardi di interessi alle banche e li restituisce agli italiani. Comunque prima di parlare, restituisca i 49 milioni che la Lega deve a tutti gli italiani al nord come al sud. Meno felpe, più fatti!”.
Parole decisamente al veleno per un Movimento romano che è diventato di fatto il principale antagonista del ministro dell’Interno. Le tensioni fra gli alleati di governo, che nelle ultime settimane si sono acutizzate, sembrano sempre meno un gioco delle parti messo in scena per motivi elettorali in vista delle europee. Qualcosa sembra essersi rotto. L’attacco sui 49 milioni rompe un tabù che i Cinque Stelle si erano auto-imposti dal momento della formazione del governo Conte. Il fatto che arrivi dalla Capitale non stupisce, visto che la sindaca Raggi è nel mirino del vicepremier leghista da settimane.

La Lega chiede la testa della Raggi: la vendetta di Salvini per il caso Siri