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La Brexit c'è ma non si vede: 18 mesi e nessun provvedimento per l'uscita dall'UE

Promesse e minacce non mantenute

”Brexit means Brexit”, tuonava Theresa May in corsa per la carica di Primo Ministro inglese, ma ad oggi, dell’exit non si vede nemmeno l’ombra. I suoi elettori ci hanno creduto, la UE l’ha temuto e alla fine il risultato referendario ha consacrato la volontà dei conservatori inglesi, ma il governo d’oltremanica non si è rivelato all’altezza di una manovra di simile portata.
Ed è proprio l’errata valutazione in merito alla portata della Brexit la causa dell’ingiustificabile ritardo della sua messa in atto. Londra continua ad accogliere stranieri e a far promesse “da marinaio” agli unionisti nordirlandesi, mantiene inalterate le relazioni commerciali con Bruxelles e versa soldi (euro, per la precisione) nelle casse della UE.
Dal ”I want my money back” della Thatcher alla promessa di uscire dalla UE senza rimetterci un penny, si è arrivati all’offerta iniziale di 20 miliardi di euro, proposta dalla May per chiudere i rapporti con l’Europa, fino agli oltre 50 miliardi di euro che ora Londra sarebbe disposta a Bruxelles. Una marcia indietro al limite del farsesco. Insomma, la Brexit non è ancora iniziata ma sembra già solo un brutto ricordo.
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Un Governo nel pallone

La Brexit ha anche un suo ministro, David Davis, che poco tempo fa ha ammesso la superficialità con la quale il Governo inglese ha valutato l’impatto dell’uscita dalla UE. Davis ha candidamente rivelato come non sia stata fatta una valutazione d’impatto generale ma solamente un’analisi settoriale che, alla fin fine, si è rivelata decisamente poco utile.
Peccato però che proprio Davis, prima di quest’ammissione di colpa, si fosse profuso in sincere rassicurazioni sul work in progress della Brexit, e questo potrebbe causargli ulteriori guai. Infatti, Chuka Umunna, parlamentare laburista, ha chiesto di aprire una procedura per oltraggio, in quanto Davis viene ritenuto colpevole di aver mentito in Parlamento.
Nel frattempo, il Ministro delle Finanze inglese, Philipp Hammond, rivela che il Governo non ha ancora un’idea precisa sul da farsi nel post-Brexit, mentre i due esponenti del Partito Conservatore Michael Gove e Boris Johnson, i leader della campagna per il ”Leave”, sembrano sul punto di scalzare definitivamente Theresa May.
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brexitUscita dal mercato unico: nulla di fatto

La Brexit va a smuovere equilibri delicatissimi come quello tra indipendentisti e unionisti nordirlandesi. Se Theresa May è il Primo Ministro inglese il merito va al sostegno, ricevuto in extremis, del Dup, il partito unionista democratico dell’Irlanda del Nord, favorevole all’uscita dalla UE a patto di avere lo stesso regime di scambi adottato dal Regno Unito.
Invece, noncurante di questo, la May ha ceduto all’ennesima richiesta di Bruxelles, firmando un negoziato secondo il quale Belfast resterebbe all’interno del mercato unico. Tutto questo si traduce essenzialmente in una serie di controlli alla dogana su tutti gli scambi futuri tra Belfast e Liverpool, con rallentamenti, dazi e altre restrizioni che rischierebbero di strozzare l’economia nordirlandese.
Come se non bastasse, a seguito della firma di questo negoziato, anche Londra, la Scozia e il Galles hanno espresso la volontà di avere lo stesso trattamento riservato all’Irlanda del Nord, restando quindi all’interno del mercato unico. Di conseguenza, la tanto decantata Brexit interesserebbe solo il resto dell’Inghilterra, con un impatto economico tutt’ora non quantificato nonché difficilmente quantificabile.
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