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L’allarme delle imprese italiane: “Gli stranieri non caricano più le nostre merci”

Un’emergenza che non sembra destinata a finire entro breve, quella legata al diffondersi del coronavirus sul territorio italiano. Con il governo che ha sostanzialmente diviso in tre il Paese, con fasce rosse, gialle e verdi a seconda dell’incidenza del contagio e provvedimenti mirati a evitare il diffondersi ulteriore della malattia. E con gli imprenditori che, nel frattempo, lamentano uno stato di crisi che ha messo a dura prova i diversi settori dello Stivale. L’ultimo appello, attraverso le pagine di Repubblica, lo ha lanciato il presidente di Confindustria Bergamo Stefano Scaglia, amministratore delegato dell’omonimo gruppo di sistemi di automazione industriale.

“La situazione delle imprese è già molto difficile – ha spiegato Scaglia – e tra gli imprenditori c’è grande preoccupazione perché si è interrotta la comunicazione con i nostri clienti e fornitori: non ci sono più visite in stabilimento e ora si sta bloccando anche il trasporto. I trasportatori internazionali iniziano a rifiutare di ritirare le nostre merci perché temono di essere messi in quarantena nei loro Paesi. È successo anche alla mia azienda: un ungherese ha preferito tornare in Ungheria a mani vuote”.“Bergamo – ha proseguito Scaglia – è una provincia a forte vocazione esportatrice, con 16,5 miliardi di export l’anno scorso. Questa immagine dell’Italia sotto scacco penalizza il nostro interscambio. Cosa chiediamo? Subito due cose. Innanzitutto cambiare il tono del racconto. Giusto tutelare la salute ma serve meno enfasi comunicativa e meno spettacolarizzazione. E poi chiediamo alla Farnesina di adoperarsi con le ambasciate all’estero per migliorare l’immagine del Paese in questo momento e gestire i provvedimenti restrittivi annunciati nei nostri confronti”.“In questa fase – la conclusione di Scaglia – la priorità va data alla misure di sostegno per il reddito delle imposte e dei lavoratori, quindi subito credito d’imposta per le aziende che subiscono un forte calo del fatturato e cassa integrazione in deroga. Ma poi vogliamo un piano di crescita strutturale per il Paese, per il quale occorre forte coesione politica”.

La vera epidemia si chiama guerra ed è a pochi chilometri da noi