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Lotti e il Csm, adesso tutti fanno finta di non sapere come funziona davvero

Dopo l’autosospensione di Luca Lotti, l’intera opinione pubblica resta disorientata dalla vicenda Csm. Lo stillicidio di intercettazioni che, secondo un malcostume italiano, escono a puntate sui giornali in violazione di ogni regola e riservatezza, non fa altro che alimentare falsi miti e valanghe di pagine che dicono tutto e non dicono niente. Anche perché questa vicenda ha finito per concentrare l’attenzione tutta sull’esponente del Pd, lasciando nell’angolo le vere questioni che, ad essere attenti, emergono dall’intera situazione. Perché ora tutti sembra stiano facendo finta di non sapere come funzionino queste dinamiche. E non è Luca Lotti. Ma è da sempre che va così.

Non parliamo tanto degli uomini politici che cercano di interloquire con la magistratura sulle delicate partite delle nomine dei vertici delle procure, quanto piuttosto di due problemi irrisolti inerenti il funzionamento del nostro sistema giudiziario. Il primo riguarda il sistema di elezione dei magistrati nel Csm, che oggi rende le correnti interne alla magistratura determinanti nell’elezione dei suoi componenti, e dunque nel funzionamento dell’organo.

Ormai, appare conclamato, il peso delle correnti è determinante nel funzionamento del Consiglio Superiore e governa, secondo logiche di appartenenza, le scelte apicali degli uffici. Ciò comporta un sacrificio insopportabile al buon funzionamento del nostro sistema. Una riforma appare dunque necessaria, come peraltro riconosciuto pressoché universalmente dagli stessi magistrati. Vi è poi un altro tema che oggi riaffiora improvvisamente, dalla coltre di ipocrisia sotto il quale solitamente giace sepolto.

Ed è la circostanza che le scelte sui procuratori della Repubblica sono oggi scelte di forte valenza politica, per la ragione che il potere libero e incondizionato di cui essi godono è sostanzialmente “politico”. Lo ha detto Guido Salvini nei giorni scorsi, riconoscendo che “procure come quella di Roma, con il loro potere di fatto discrezionale sull’esercizio dell’azione penale, sono in grado di condizionare la vita politica di un paese”.

Lo diceva anche Giovanni Falcone. Appare evidente che sia obbligatorio tutelare l’indipendenza dei giudici e dei pubblici ministeri da ogni interferenza, sia essa di natura economica o politica. E va bene, ma occorre anche riconoscere che dietro lo scudo dell’obbligatorietà dell’azione penale si nasconde un potere discrezionale di fatto, consistente nella selezione della montagna di notizie di reato da perseguire, che oggi viene esercitato in modo così poco controllato e controllabile da apparire di fatto irresponsabile.

Tutto il polverone alzatosi in questi giorni, forse per distrarre ulteriormente la massa dall’inefficienza del governo ce sta facendo acqua da tutte le parti, viene semplicemente troppo spesso nascosto sotto il tappeto. E ciò non aiuta a consolidare il rapporto di fiducia necessario tra cittadini e magistratura. Forse è giunto il tempo allora di intervenire su queste due questioni, in modo calibrato, ragionevole e il più possibile condiviso.

 

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