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Discorso Macron ai gilet gialli: tra il mea culpa e una mezza marcia indietro

Alla fine Macron deve cedere. Dopo settimane di “guerra civile” con i gilet gialli, arriva la sua decisione. Macron ha affidato a un quarto d’ora di discorso, letto con una posa un po’ rigida, il compito di ricostruire il rapporto con la piazza. Non quella degli scontri (“Nessuna rabbia può giustificare l’attacco a un poliziotto, un gendarme, che si distrugga un esercizio commerciale o un edificio pubblico”, ha detto), ma quella dei più deboli che la cattiva sequenza degli interventi politici ha dimenticato: “Abbiamo finito per abituarci”, ha detto il presidente ricordando che “sono quarant’anni di malessere che riemergono”.

Una condanna forte delle violenze, “inammissibili”. Poi l’apertura di uno “stato di emergenza economico e sociale”, che si concretizza con una serie di misure a favore dei più deboli – i pensionati, i lavoratori con salario minimo – e l’apertura di un grande dibattito pubblico sui grandi temi politici, a cominciare dal rapporto tra la vita quotidiana (“avere una casa, spostarsi, riscaldarsi”) e il riscaldamento climatico, soprattutto nelle aree non metropolitane.

La sua non è però una marcia indietro totale. Quello che non deve venire meno, è il piglio riformista che Macron ha dato prova di avere, riformando il mercato del lavoro e mettendo le basi per una rivoluzione liberale nel paese più statalista d’Europa. Nelle misure proposte manca la revisione dell’imposta patrimoniale, chiesta dai Gilets jaunes: aiuterà la creazione di nuovi posti di lavoro, ha detto e tornare indietro indebolirebbe l’economia. Piuttosto diventerà più rigida la politica sull’evasione fiscale e meno elastiche le elusioni: “I dirigenti delle imprese francesi devono pagare le imposte in Francia”. Il presidente ha poi annunciato un aumento di 100 euro del salario minimo – oggi è pari a 1.185 euro netti e a 1.578 euro lordi – senza oneri aggiuntivi per i datori di lavoro.

La defiscalizzazione degli straordinari – uno di quei provvedimenti annunciati da tempo ma rinviati – la defiscalizzazione dei bonus di fine anno da parte delle imprese, che Macron invita a versare; e l’abrogazione dell’aumento dei contributi – una delle misure considerate più odiose dai francesi – per i pensionati che guadagnano meno di 2mila euro al mese: “Lo sforzo richiesto era troppo pesante e non era giusto” ha ammesso il presidente, che non ha mancato di assumersi le proprie responsabilità: “So che mi è capitato di ferire qualcuno di voi con le mie parole”, ha detto. 

A Macron interessa anche ricostruire anche il dialogo sociale e far risalire la propria popolarità, che oggi è pari – a seconda dei sondaggi – al 18-21%. L’idea del “dibattito nazionale” già lanciato dal presidente del consiglio Édouard Philippe sul tema della fiscalità, sarà allargato a tutti gli aspetti politici, compresa la distribuzione dei redditi, le riforme della rappresentanza per tener conto, per esempio, delle schede bianche, l’equilibrio della fiscalità e il modo di far fronte, nella quotidianità, al cambiamento climatico.

Le misure proposte da Macron imporranno una rivisitazione della Finanziaria francese. Secondo Olivier Dussopt, segretario di Stato con delega al budget, i provvedimenti costeranno 8-10 miliardi di euro, una cifra compresa tra lo 0,33 e lo 0,41% del pil nominale previsto dal governo per il 2019. Parigi rischia, per le misure annunciate da presidente e in assenza di interventi correttivi, di sforare il tetto del 3%, una nuova sfida all’Europa, quindi.

 

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