Un prezioso contributo alla comunità in epoca di coronavirus: è nato il Movimento delle sartine, dove 120 soltanto nel territorio bolognese, sono in grado di produrre 2mila mascherina al giorno in mayeriale tnt lavabile, da destinare gratuitamente a forze dell’ordine, ospedali o case di cura per anziani. Il Movimento nasce da un’idea di Andrea Padovan, 40 anni, proprietario della “Sartoria San Lazzaro“, atelier per abiti da sposo e da sposa con sede nell’omonimo Comune alle porte di Bologna. Proprio in questi giorni è partita una raccolta fondi per far fronte al boom di richieste che arrivano anche da fuori regione: da Milano, da Bergamo o dal Veneto.
L’atelier compra il materiale per le mascherine, che poi viene consegnato casa per casa alle ‘sartine’: i dispositivi prodotti vengono ritirati dopo 24 ore. “Regaliamo mascherine a tutti – ha precisato Padovan – senza alcun tipo di ritorno economico. Ad esempio, le abbiamo donate all’ospedale S.Orsola, al Maggiore, a polizia, carabinieri, vigili del fuoco e guardia di finanza, o agli anziani ospiti delle case di cura”. Ci sono già ordini per 30mila dispositivi. Ecco, dunque, la raccolta fondi pensata per permettere al Movimento di crescere ancora. “Con un euro si regalerà una mascherina. Spero che aderiranno anche diversi personaggi dello spettacolo e calciatori professionisti con cui collaboro per lavoro”, si augura Padovan.
Ma intanto il padre del “Movimento delle sartine” non risparmia critiche al governo per la gestione dell’emergenza. Sul fronte delle mascherine anti Covid-19 “quello che sta accadendo con la protezione civile è scandaloso – ha detto – sono ancora fermi con le normative. E nel frattempo si comprano le mascherine all’estero. E’ uno scandalo che ci vogliano dieci giorni per certificare una mascherina. In un momento straordinario di emergenza come questo – ha concluso Padovan – hanno fatto di più 100 sartine da casa, non pagate, che lo Stato”.Ti potrebbe interessare anche: A 17 anni positiva al Coronavirus: “Mia madre infermiera mi ha contagiato perché costretta a lavorare con la stessa mascherina”