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I conti (sbagliati) di Salvini sui morti in mare: un triste balletto delle cifre

I morti nel Mediterraneo restano un mistero. Un balletto di cifre che vede Salvini parlare di due, l’Unhcr di 402 e l’Oim di 307. Dati contrastati anche perché, semplicemente, non si possono contare con i corpi recuperati. Nel mare senza soccorsi e senza occhi ormai da mesi, i gommoni e i barconi vanno giù molto spesso senza testimoni e nessuno sa quanti scompaiono. L’unica indicazione è quella che arriva dagli eventuali superstiti dei naufragi, gli unici in grado di dire quanti erano a bordo delle imbarcazioni affondate.

Messo all’angolo dallo sbarco dei migranti della Sea Watch a Lampedusa nonostante il suo divieto, il ministro dell’Interno prova a rilanciare gli unici numeri che “danno ragione al Salvini buon cristiano” dice, e che gli servono per giustificare la sua politica e ripete il solito ritornello :”Meno sbarchi, meno morti, meno dispersi nel Mediterraneo. I dati aggiornati a maggio registrano due cadaveri recuperati in mare nello specchio acqueo del Mediterraneo centrale. Le stime dell’Unhcr contano nello stesso periodo, 402 persone tra dispersi e morti”.Poi fa il confronto con gli anni precedenti: “Nel 2015 i cadaveri recuperati furono 296 a fronte di una stima di 3771; nel 2016 furono 390 contro 5096 stimati; nel 2017, 210 contro 3139 e nel 2018 sono stati recuperati 23 corpi a fronte di una stima di 2277 scomparsi”.
Come scrive Repubblica, una lettura che contrasta con quella delle agenzie dell’Onu, Oim e Unhcr, che da mesi sottolineano come la rotta dalla Libia sia diventata sempre più pericolosa proprio per la mancanza di soccorsi e che il rapporto tra le vittime e le persone partite è in netto aumento (muore uno su cinque di quelli che tentano la traversata). “Meno partenze dalla Libia ma le morti nel Mediterraneo centrale nel 2019 (307) sono quasi uguali al 2018 (333) – ha twittato solo pochi giorni fa il portavoce di Oim Italia Flavio Di Giacomo -. Chiaro che attraversare il Mediterraneo è ora più pericoloso che mai e salvare vite in mare (e portare i migranti in un porto sicuro, non in Libia) dovrebbe essere la priorità numero uno”.

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