Un governo che non sa scegliere. O che forse, semplicemente, preferisce temporeggiare, come fatto d’altronde dagli esecutivi che l’hanno preceduto. Sono anni, infatti, che si attende che la Sogin (azienda di Stato incaricata di smantellare le vecchie centrali nucleari) renda pubblica la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), i siti adatti a ospitare il deposito delle scorie. Una prima mappatura era arrivata nel gennaio 2015, con la carta poi finita tra le mani dei ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico che hanno chiesto approfondimenti.
Nel complesso si tratta di un progetto da 1,5 miliardi, più i costi di gestione. L’attuale ad Sogin vorrebbe completarlo nel 2025 ma i più realisti indicano il 2030-2035, con spese totali oltre i 7 miliardi. La cautela è in parte comprensibile, considerando la delicatezza del tema (sistemare 95mila metri cubi di rifiuti radioattivi). Berlusconi nel 2003, per esempio, forte di una maggioranza solidissima in Parlamento provò a risolvere la questione sistemando le scorie a Scanzano Jonico in Basilicata ma fu bloccato dalla protesta popolare.
Mettere insieme le candidature della mappa Cnapi è complicato anche tecnicamente. Il deposito nazionale deve sorgere in zona a basso rischio sismico, lontano da centri abitati, distante dal mare, dai corsi d’acqua e da zone di ricerca o impianti di gas e petrolio. E devono anche esserci collegamenti stradali efficienti. Di Maio al momento continua a temporeggiare, anche per la spinosità del terreno su cui si muove. Nel frattempo, i debiti da acconti per attività nel nucleare sono schizzati da 256 milioni di euro nel 2016 a 531 milioni nell’ultimo esercizio Sogin.Conte accontenta l’Europa: alta tensione Salvini-Di Maio. In bilico pensioni e reddito