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Rallenta l’inflazione in Europa: ecco cosa succede in Germania, Spagna e Francia

In Europa arriva una bocca d’aria sul fronte economico dell’Eurozona: dopo Germania e Spagna, anche la Francia ha registrato un rallentamento dell’inflazione a dicembre. Secondo l’istituto nazionale di statistica l’indice dei prezzi al consumo è salito a dicembre, anno su anno, del 5,9% contro il +6,2% di novembre. Le attese del mercato erano per un +6,4%. A causare il rallentamento, ha spiegato l’Insee, è stato “il calo dei prezzi dell’energia e in misura minore, dei servizi”. Dunque complice del rallentamento, è stato anche un costo dell’energia più basso delle attese, elemento determinante della fiammata dei prezzi dell’ultimo anno, che al momento sembrerebbe allontanare la necessità di una ulteriore stretta monetaria. L’Istituto ha però messo in guardia sul fatto che l’inflazione dovrebbe arrivare al 7% all’inizio del 2023, per diminuire da marzo in poi.

La corsa dei prezzi rallenta in Germania
Per quanto riguarda la Germania, nel mese di dicembre i prezzi al consumo su suolo tedesco sono diminuiti dello 0,8% rispetto al mese precedente, mentre su base annua il tasso di inflazione è aumentato dell’8,6% contro il 10% di novembre e il 10,4% di ottobre, battendo al ribasso i pronostici attorno al 9%. Il 5 gennaio sarà la volta dell’Italia: l’Istat infatti diffonderà la stima preliminare dei prezzi di dicembre.


Intanto oggi si registra la discesa dello spread, il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato decennali tedeschi ed italiani, ma soprattutto il calo del tasso del nostro Btp a 10 anni, sceso sotto la soglia del 4,3%. Se i segnali di frenata dei prezzi si confermassero, verrebbero spuntate le armi dei cosiddetti falchi nel board della Bce, che spingono per un mantenimento della politica monetaria aggressiva scattata da luglio per contrastare la corsa dei prezzi a suon di rialzi dei tassi, la più tradizionale delle mosse delle banche centrali per contrastare la crescita dell’inflazione. Alzando il costo del denaro, l’equivalente di chiudere i rubinetti, si cerca di ridurne la circolazione.


Se però l’emergenza si attenua, e i segnali sembrano andare in questo senso, complice anche un costo dell’energia più basso delle attese, elemento determinante della fiammata dei prezzi dell’ultimo anno, le necessità di una ulteriore stretta monetaria si riducono. Scenario che i mercati vedono con favore visto che l’aumento dei tassi tende a deprimere la crescita economica, dal momento che prestiti e finanziamenti diventano molto più cari scoraggiando gli acquisti, e a danneggiare soprattutto i Paesi per i quali è più oneroso finanziarsi sul mercato a causa dell’alto debito, come l’Italia. Dove infatti i rendimenti, e lo spread, oggi scendono. Tanto più che, lo ha ricordato la direttrice generale del Fondo Monetario Kristalina Georgieva nei giorni scorsi, sull’economia mondiale ed europea si affaccia il rischio recessione. E una accelerata sul fronte del rialzo dei tassi sarebbe tutto fuorché d’aiuto.


Cosa succederà in Italia?
Per capire se la frenata registrata in Francia e Germania c’è stata anche in Italia bisognerà attendere i nuovi dati del 5 gennaio. Secondo quanto ha riportato il Corriere della sera, alcuni studi pubblicati tra dicembre e l’inizio del nuovo anno sembrano suggerire proprio questo. Secondo le stime dell’EY Italian Macroeconomic Bulletin il tasso di inflazione passerà dall’ 8,2% del 2022 al 7,1% del 2023. Anche un’indagine Coop, pubblicata mercoledì 4 gennaio, prospetta un’inflazione ancora sostenuta per il 2023 ma inferiore a quella del 2022 (+6,1% secondo i manager italiani). Ma il calo non riguarderà i beni alimentari lavorati i cui prezzi continueranno a correre: si prevede un aumento medio del 6,7% secondo i manager italiani del settore Food & Beverage.

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