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Ricciardi, stretta sul green pass: “Solo a vaccinati e guariti”

Negli ultimi giorni sta prendendo sempre più piede in tv, sui social e sugli organi di stampa il dibattito sulla necessità di rivedere il funzionamento del green pass. Se le persone contrarie per principio al certificato verde ne chiedono la sua immediata cancellazione, di tutt’altro avviso si dimostra buona parte della comunità scientifica. Da Fabrizio Pregliasco a Sergio Abrignani, passando per Walter Ricciardi, sono molti i medici che invocano una stretta sul green pass. E Ricciardi si dimostra inflessibile.

Walter Ricciardi

“Finora i green pass hanno funzionato. – dichiara Walter Ricciardi intervistato da Il Messaggero – Ma sono convinto che, per la stagione invernale che ci costringe più al chiuso e a contatto con gli altri, bisognerebbe rivederne la concessione. Limitando le libertà legate al green pass solo ai vaccinati e ai guariti dal Covid”. Il consigliere di Speranza spiega che al momento “chi non è vaccinato può accedere ad alcuni luoghi. O utilizzare il servizio di trasporto a lunga percorrenza anche mostrando il tampone effettuato entro le 48 ore”. Ma, secondo la sua opinione, sarebbe proprio questo il “punto debole del sistema green pass” perché “non assicura la protezione e la non trasmissione del virus”, conclude Ricciardi.

“A me non dispiacerebbe l’obbligo vaccinale. – dichiara invece con nettezza il collega Pregliasco – Anche se una nuova soluzione potrebbe essere il green pass rinforzato. Ovvero destinato ai soli vaccinati. Escludendo chi si fa il tampone. Questo perché in questa prima fase era corretto concedere ai cittadini di verificare l’eventuale positività attraverso un test. Ma il green pass a soli vaccinati sarebbe il compromesso che ci accompagnerebbe a una nuova normalità”, sostiene il medico.

Ancora più duro si dimostra Sergio Abrignani. Parlando del cosiddetto ‘modello Austria’ che nega ai non vaccinati l’ingresso in quasi tutti i luoghi pubblici, il membro del Comitato tecnico scientifico sembra avere le idee chiare. “Da immunologo penso che qualsiasi decisione porti a una riduzione del pericolo sia da prendere. Anche se si tratta di una scelta radicale” come quella austriaca, dichiara.

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