Vai al contenuto

La metamorfosi di Salvini: ripudiava il tricolore, oggi si è scoperto italiano

Un partito, la Lega (un tempo Nord), che lottava per la secessione della parte settentrionale dal resto dello Stivale, considerato una zavorra per regione produttive, dove si lavorava sodo e si generava un guadagno puntualmente risucchiato dal sud parassitario. E che oggi, invece, si è trasformato in luogo d’accentramento ideale per le spinte nazionaliste provenienti da ogni regione d’Italia. Un paradosso, sottolinea Mattia Madonia sulle pagine di The Vision. Andando all’attacco del Carroccio e del suo trasformismo.

 “La strategia attuata da Salvini per risollevare il Carroccio e rivitalizzare un partito agonizzante, preso quando aleggiava intorno al 4% dei consensi, non è altro che la storia di un’abiura. Occorreva rinnegare il passato della Lega, ma soltanto in superficie. Dunque defenestrare Bossi, ma dargli un posto sicuro al Senato e non denunciarlo per la vicenda dei 49 milioni di euro. Togliere la parola Nord dal nome, ma giurare fedeltà alla Repubblica con la cravatta verde e la spilla di Alberto da Giussano”.Una strategia che però, stando al successo che Salvini continua a raccogliere nei sondaggi, ha dato i suoi frutti. In un Paese che pare aver dimenticato troppo in fretta quel popolo leghista arringato in piazza da un debordante Umberto Bossi. Quello, per intenderci, che urlava “Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo”. Sì perché i veri leghisti non sono mai sentiti italiani. Tra i cori più gettonati alle manifestazioni, non a caso, l’immortale: “Siamo padani, abbiamo un sogno nel cuore, bruciare il tricolore”.Salvini ha cercato di convincere tutti della sua estraneità con quel mondo, allargando i confini del partito. “Quella era la Lega di prima, oggi è diverso”. Eppure lo stesso Capitano nel 2011 spiegava ai microfoni de La Zanzara: “Il tricolore non mi rappresenta, non la sento come la mia bandiera. Il tricolore è solo la nazionale di calcio, per cui io non tifo”. Era stato il direttore di Radio Padania, dove veniva ribadito l’odio per l’Italia calcistica (alle finali di Euro 2000 in studio si tifava Francia). Pochi anni dopo, eccolo invece il verde, il bianco e il rosso del Bel Paese.

“Avere la Lega come primo partito d’Italia – si legge alla fine dell’analisi – è il sintomo di un’illogica confusione nazionale, di uno smarrimento collettivo che disintegra il ruolo della politica e innalza il vessillo del paradosso. È come se il leader turco Erdogan diventasse il nuovo leader del popolo curdo, o Farage andasse in giro con la bandiera dell’Europa. Inverosimile. Eppure, da noi è accaduto”.

“Il complotto di Giorgetti” per (ri)vendere l’Italia alla finanza mondiale