Un sospetto che emerge in maniera molto evidente, secondo le ricostruzioni. Quello secondo il quale il 18 ottobre del 2018, intorno a un tavolo dell’Hotel Metropol di Mosca, si sarebbe svolta una trattativa che, attraverso la compravendita di tre milioni di tonnellate di prodotti petroliferi, avrebbe dovuto portare 65 milioni di dollari nelle casse della Lega, impegnata nel delicato compito di preparare al meglio le elezioni europee e non certo in una situazione rosea sul fronte economico.A confermare la fondatezza delle basi dell’inchiesta della Procura di Milano per corruzione internazionale, che ruota intorno Gianluca Savoini, uomo molto vicino al capo del Carroccio Matteo Salvini, sono i giudici del Tribunale del riesame. Nelle venti pagine di motivazioni con le quali confermano il sequestro di documenti, di una chiavetta usb e di tre telefonini trovati nelle perquisizioni in casa e nell’auto del presidente dell’associazione Lombardia Russia, i giudici ripercorrono le fasi iniziali delle indagini dei pm Gaetano Ruta e Sergio Spadaro, ai quali ora si è aggiunta la collega Donata Costa, coordinati dall’aggiunto Fabio De Pasquale.

Tra il 2 e il 6% sarebbe invece dovuto andato ai funzionari russi. Per i giudici emergono elementi come “la ripartizione dei compiti tra i correi”, la “cristallizzazione degli accordi criminali” e la “necessità di essere prudenti per non destare sospetti sull’illecito ritorno del denaro”, come chiede Savoini preoccupato.