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Trieste, maratona negata agli africani: parla il runner keniano

Dopo le polemiche per la gara vietata agli atleti africani a Trieste (e poi riammessi), oggi a parlare è Sammy Kipngetich, uno dei 40-50 fondisti africani di alto livello (ma non di vertice) esclusi e che ottengono un permesso di soggiorno annuale per motivi sportivi in Italia. “Ho 28 anni, vivo a Siena e di mestiere faccio il runner. Abito e corro in Italia da gennaio a maggio e da ottobre a dicembre, il periodo delle campestri e delle corse su strada. Il resto dell’anno sono in Kenya dalla mia famiglia, per allenarmi e aiutarli: i soldi che guadagno con ingaggi e premi – tolto l’affitto dell’appartamento – sono per loro e per mandare avanti la fattoria”.

Sugli altipiani di Eldoret si allenano decine di ragazzi con prestazioni inarrivabili per i nostri atleti (2 ore e 8-10 minuti sulla maratona, 60-61 minuti sulla mezza) che però non interessano la nazionale locale e quindi vengono piazzati a team europei da manager italiani.

A far da sponda sono spesso squadre storiche come l’Atletica Saluzzo (80 giovani in vivaio) per le quali l’atleta diventa testimonial di prestigio e prezioso “portatore di punti” nei campionati di società. Gianni Bonardo, presidente della società piemontese: “Fermo restando che ci sono manager corretti e meno corretti — spiega — vietare le corse a un ragazzo come Sammy significa non conoscerne bene storia e motivazioni”. A febbraio, ai campionati di società di cross country, Sammy è caduto rovinosamente dopo un contatto con un altro atleta.

Il tempo di rialzarsi e si è trovato un muro di avversari davanti. “Pazienza, ho pensato, gara finita”, invece lui ha cominciato una rimonta straordinaria ed è arrivato quinto dietro ai migliori crossisti azzurri. Non c’erano ingaggi, non c’erano premi e ha faticato così tanto da giocarsi le gare a premi delle due settimane successive. “L’ha fatto per la nostra maglia e per i nostri ragazzini, per cui è diventato un idolo”.

Con la crisi economica (e la fine dei contributi degli enti locali agli organizzatori) la vita dei runner africani in Italia è diventata dura. Vincendo una mezza maratona si portano a casa massimo 500-600 euro, con una 10 chilometri difficile incassare più di 150-250 euro per cui molti gareggiano anche due volte nel fine settimana, accorciando la durata della carriera. Ma in nazioni dove 100 euro al mese sono un buono stipendio, una breve carriera da runner è una valida alternativa.

“Per noi – conclude Bonardo – tesserare un ragazzo africano è un po’ adottarlo. Come nel caso di Meseret, una junior eritrea all’Atletica Saluzzo da due anni. Viene da una zona poverissima, parla solo aramaico e comunica tramite il traduttore di Google. Ma se farà carriera o semplicemente riuscirà ad aiutare i suoi a comprare degli animali o a costruirsi casa saremo felici di averla appoggiata e orgogliosi di mostrarla come esempio ai nostri fortunati ragazzi”.

 

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