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Omicidio Giaccio, i familiari rifiutano il risarcimento dai camorristi

Per l’omicidio di Giulio Giaccio, i familiari rifiutano risarcimento dai camorristi. “Confidiamo esclusivamente nelle determinazioni dell’autorità giudiziaria”. Ha risposto così la famiglia di Giulio Giaccio all’offerta di risarcimento dei due imputati accusati dell’omicidio dell’operaio 26enne. Giaccio era estraneo agli ambienti criminali, ma fu individuato per errore, ucciso e sciolto nell’acido il 30 luglio 2000, a Pianura di Napoli. A ventitré anni dall’omicidio parte l’udienza preliminare.
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Giulio Giaccio, vittima di uno scambio di persona, fu ucciso e sciolto nell'acido nel 2000.
Due foto di Giulio Giaccio, vittima innocente della camorra il 30 luglio 2000

Giulio Giaccio, fu un errore di persona, la famiglia rifiuta il risarcimento

Dopo vent’anni, sta per cominciare l’udienza preliminare. Per l’omicidio di Giulio Giaccio i familiari rifiutano il risarcimento dai camorristi che lo ammazzarono. L’udienza preliminare si svolge davanti alla giudice Valentina Giovanniello. Gli imputati sono Salvatore Cammarota, 56 anni, e Carlo Nappi, 64 anni, entrambi già condannati come affiliati al clan camorristico Polverino.

I legali dei due hanno fatto pervenire le loro offerte. Nappi ha pagherebbe 30 mila euro, da pagare in assegni circolari. Cammarota, invece, ha proposto anche lui 30 mila euro in assegni circolari, più la cessione di due immobili con sede a Marano di Napoli: un appartamento e un box per auto, del valore complessivo di circa 120 mila euro. Entrambi gli imputati aggiungono che queste offerte costituirebbero il loro “massimo sforzo economico”. I familiari di Giaccio hanno preso atto della proposta, ma hanno deciso di non accoglierla, rinviando ai giudici ogni valutazione, compresa quella sul risarcimento del danno per quella che, nell’ordinanza cautelare eseguita a dicembre 2022, la giudice Linda Comella definì come “una tristissima pagina di cronaca nera ” , venuta alla luce solo dopo ventidue anni di “oblio collettivo”.

Giulio Giaccio, la dinamica del tragico assassinio

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, erano le 22,30 di domenica 30 luglio 2000, in piazzetta Romano a Pianura, quando Giulio Giaccio fu avvicinato da quattro uomini. Questi indossavano divise da poliziotti. “Sei tu Salvatore?”, gli chiesero. E il giovane rispose: “No, comandante. Mi chiamo Giulio”. Lo invitarono comunque a seguirli in caserma. I finti agenti erano camorristi ai quali Cammarota aveva chiesto di risolvere “una questione di famiglia”: punire la relazione che “Salvatore” aveva intrecciato con la sorella, divorziata da poco.

Il collaboratore di giustizia Roberto Perrone, all’epoca esponente di rilievo del clan Polverino, fece parte del gruppo dei sequestratori e descrive quel giorno come “il capitolo più nero e angoscioso della mia storia criminale”. Giulio, si legge nel verbale, una volta salito in auto “continuava a protestare. Diceva di non essere Salvatore e di essere una brava persona perché lavorava come muratore”. Nonostante le sue proteste, gli uomini gli spararono alcuni colpi di pistola, uccidendolo. Il corpo fu sciolto nell’acido. Soltanto le testimonianze dello stesso Perrone e di altri tre collaboratori di giustizia hanno permesso di conoscere la verità.

Quasi certamente gli imputati chiederanno il giudizio abbreviato, così da ottenere la riduzione di un terzo della pena prevista dalla legge in caso di ricorso al rito speciale. In questa ottica va interpretata anche l’offerta di risarcimento che la famiglia non ha accolto.

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