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Lavoro e robot: chi sono gli italiani che rischiano di più

Oggi si parla di Industria 4.0 per fare riferimento ai nuovi sistemi produttivi caratterizzati da tecnologie all’avanguardia. Nel contesto di quella che viene definita “quarta rivoluzione industriale“, la robotica funziona spesso da ponte tra il digitale e la materiale produzione di beni e benessere e non poche sono le preoccupazioni generate, soprattutto tra gli studiosi, dall’avvento dell’automazione. La tecnologia odierna, di fatto, è in grado di fare cose che fino poco tempo fa sembravano impensabili in moltissimi settori, come per esempio nel campo della salute, delle stampe 3D, della logistica o dei beni di consumo, in cui i “robot” hanno comportato e stanno comportando sempre più una drastica riduzione del fabbisogno di manodopera. Ciononostante dinnanzi a questi cambiamenti, quello che in molti si chiedono è : ma i robot ci ruberanno il lavoro?

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La trasformazione digitale non ci ruba il lavoro dandolo a un robot, ma crea efficienza e rende inutili molti lavori. Restare inefficienti senza perdere competitività si può, ma solo a una condizione: occorre creare cose nuove e puntare, quindi, sulla creatività, ma anche sull’istruzione e sulla formazione continua. Tuttavia i giornali riportano dati preoccupanti sulla possibile perdita di posti di lavoro conseguenti ad una automazione sempre più intelligente. Le previsioni statistiche parlano chiaro: entro il 2030 saranno gli over 50 a rischiare il posto a causa della rivoluzione dei robot, ecco i motivi. Accanto a posti di lavoro che potrebbero sparite in pochi anni, ce ne sono altri che potrebbero nascere, grazie all’innovazione digitale. A rimetterci saranno quelle mansioni ripetitive e a dirlo è l’ultimo rapporto “ The Twin Threats of Aging and Autmation” realizzato da Mercer e Oliver Wyman. Secondo questo report, l’Italia è uno dei paesi in cui l’automazione avrà ripercussioni peggiori per gli over 50, poiché il 58% svolge lavori ripetitivi con poche competenze, quindi sostituibili dai robot.

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I posti di lavoro a rischio sparizione

Detto questo occorre anche notare che esiste un problema molto più grosso in termini di impatto sui posti di lavoro che non i robot (e l’intelligenza artificiale): il problema non è che un robot mi sostituisca facendo quello che faccio io (magari meglio, più velocemente, a qualità maggiore e costante, con minor costo). Il problema vero è che quello che faccio ora non serve e non ha senso farlo. La trasformazione digitale fa proprio questo: non ci ruba il lavoro dandolo ad un altro (robot), semplicemente rende inutile il lavoro.  Il rapporto mette in luce una situazione italiane per nulla rosea. Prendendo in considerazione 15 paesi europei, l’Italia è quello che risulta più vecchio con lavoratori tra 50 e i 64 anni che saranno il 38% entro il 2030 e operativi in mestieri dequalificati o con competenze facilmente sostituibili dall’intelligenza artificiale.

Saranno i grandi paesi manifatturieri a pagare le conseguenze dell’intelligenza artificiale, la percentuale più alta di over 50 che, entro il 2030, rischiano di essere sostituiti dai robot, sono presenti per il 59% in Giappone, 60% in Sud Corea e Cile, il 70% in Vietnam e Thailandia, il 76% in Cina subito dopo ci sono Italia e Germania. Il report sembra confermare in un certo senso un precedente studio di Mercer secondo cui, entro il 2020, 7 milioni di posti di lavoro spariranno, molti dei quali nelle funzioni amministrative, settore manifatturiero e i processi produttivi. A subire il cambiamento a livello globale saranno gli operai delle fabbriche, le attività di segreteria, mansioni generiche varie. A fronte di 7 milioni di posti persi in questi settori ne saranno creati 2 milioni in settori in crescite quali finanza, ingegneria e management.

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