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Mining bitcoin: l’Islanda usa più elettricità per estrarre bitcoin

L’Islanda, secondo un esperto di energia islandese, potrebbe presto usare più elettricità per estrarre bitcoin di quanta non ne usi per alimentare ogni casa. I bitcoin sono la più grande, nota e diffusa criptovaluta al mondo. Il sistema bitcoin esiste dal 2009 e funziona come quello di molte altre criptovalute: un protocollo peer-to-peer, simile ai sistemi usati per scaricare e condividere i file online, garantisce la sicurezza delle transazioni e, allo stesso tempo, premia alcuni computer che contribuiscono al sistema creando i bitcoin. Al momento esistono un po’ meno di 17 milioni di bitcoin e ne vengono creati circa 100 ogni quaranta minuti.

I bitcoin non sono infiniti: ne verranno creati 21 milioni e poi basta. Quel momento è molto lontano (tra più di cento anni) perché più si va avanti e meno bitcoin vengono creati, ma più che essere creati i bitcoin vengono estratti: questa operazione, che può portare grandi guadagni, comporta grandi costi e consumi energetici.

Cresce il mercato di estrazione di bitcoin islandese

L’energia utilizzata dal mercato di estrazione di bitcoin islandese sta vivendo una “crescita esponenziale” e i data center, nel 2018, potrebbero utilizzare più energia di tutte le case del paese, ha detto alla BBC Johann Snorri Sigurbergsson della compagnia energetica islandese HS Orka.

Sigurbergsson ha anche aggiunto che HS Orka “non avrà abbastanza energia” per alimentare i numerosi nuovi data center che sono stati previsti. Il mining di bitcoin avviene quando i computer verificano le transazioni in bitcoin esistenti risolvendo problemi matematici complessi e poi ricevono bitcoin come ricompensa.

Sigurbergsson ha detto alla BBC che stima che gli strumenti di mining di bitcoin islandesi attualmente consumano circa 840 gigawattora di elettricità per alimentare computer e sistemi di raffreddamento ogni anno, mentre la maggior parte delle case del paese consuma circa 700 gigawattora.

Cosa vuol dire estrarre bitcoin

Estrarre bitcoin vuol dire risolvere un complicato problema crittografico il cui premio è un bitcoin. Tutti i computer che fanno parte del sistema possono provare a risolvere il problema e estrarre quindi bitcoin, ma ormai possono riuscirci solo computer con grandi capacità di calcolo. Molti di questi computer si trovano in grandi stabilimenti – in Cina, o in paesi in cui l’energia costa poco – in cui ci sono stanze piene di server che hanno come unico scopo l’estrazione di bitcoin. Per avere ragionevoli possibilità di estrarre bitcoin servono quindi: tanti computer, impianti di ventilazione per evitare che i computer si surriscaldino e, soprattutto, tanta elettricità per far funzionare il tutto.

È difficile dire quanta energia serva per estrarre un singolo bitcoin, ma nelle ultime settimane vari enti ed esperti hanno proposto alcune stime e qualche esempio. Il New York Times ha scritto, citando l’economista Alex de Vries e la società Morgan Stanley, che “l’energia consumata per ottenere ogni bitcoin è pari a quella usata in due anni da una famiglia americana media”. O, per vederla più in grande, “il totale dei computer che fanno parte del sistema Bitcoin (molti dei quali ci sono collegati con lo scopo primario di estrarre bitcoin) consuma in un giorno la stessa energia di una nazione di media grandezza». Nel dicembre 2017 Nicole Kobie ha scritto su Wired: È praticamente impossibile sapere quanta energia venga consumata per i bitcoin, ma le stime migliori arrivano dal sito Diciconomist. Secondo il suo Bitcoin Energy Consumption Index la rete di computer del sistema Bitcoin usa 3.4 gigawatt: un watt è un joule al secondo e il tuo computer usa circa 60 watt (e un gigawatt sono 109 watt)”.

L’Islanda è una destinazione popolare per le criptovalute

L’estrazione di Bitcoin prospera in Islanda, dove l’energia è economica e le connessioni Internet utilizzano reti in fibra ottica super veloci. Inoltre, il clima freddo dell’Islanda gioca un ruolo importante nel garantire che gli strumenti usati dalle criptovalute non si surriscaldino. L’hardware “minerario” genera grandi quantità di calore e il clima freddo per tutto l’anno dell’Islanda fa risparmiare alle aziende ulteriori costi di controllo della temperatura.

L’ascesa dell’estrazione di criptovalute nel paese ha spinto i membri del governo a prendere in considerazione misure per tassare il settore. In circostanze normali, le aziende che creano ricchezza in Islanda pagano una certa quantità di tasse al governo”, ha detto Smari McCarthy, membro del Pirate Party islandese, all’Associated Press. “Queste aziende non pagano tasse e dovremmo chiederci se dovrebbero farlo”.

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Cosa succede se si consuma così tanta energia

Tra i tanti argomenti di conversazione – e preoccupazione – sulle criptovalute, quello del consumo energetico è tra i più pressanti e rilevanti. È giusto consumare così tanto? Finiremo a spendere per l’estrazione più soldi del valore stesso della valuta? È un bene o un male che le “fabbriche di Bitcoin” siano in paesi poveri e non sempre democratici? E se invece l’estrazione di criptovalute promuovesse energie pulite e innovative, e aiutasse quei paesi? Non tutte queste domande hanno risposte chiare, e quelle che ci sono dipendono dalle persone a cui si fa la domanda.

La posizione di chi dice che non sia un problema usare tanta energia per le criptovalute è piuttosto semplice: il mondo è pieno di cose che consumano energia, almeno in questo caso si usa per un progetto che potrebbe cambiare le cose sia dal punto di vista tecnologico, che da quello finanziario ed economico. Già nel 2016 Marc Bevand – esperto di criptovalute – scrisse che «considerare uno spreco energetico quello per le criptovalute vuol dire non riuscire a guardare il quadro complessivo delle cose». Tra le tante cose dette da chi difende i costi energetici legati ai bitcoin c’è il fatto che altre valute non cripto – euro, dollari, yen – vanno stampate, spostate, conservate in luoghi che vanno costruiti, illuminati, sorvegliati, eccetera. Anche le valute tradizionali consumano energia, insomma.

È più facile però trovare persone critiche, o almeno preoccupate, nei confronti dell’impatto sull’ambiente delle criptovalute. De Vries, l’economista citato dal New York Times, ha scritto che il problema non sta solo nell’estrazione ma anche nelle operazioni che si fanno con i bitcoin: e ha stimato, sul sito Digiconomist, che ogni transazione di bitcoin – quella che chiede a tutti i computer del sistema di controllare, registrare e approvare l’operazione – consuma l’elettricità necessaria per fare 80mila transazioni con carte Visa. Le stime sono state criticate ma è certo che, se non 80mila, si parla di almeno 10mila transazioni. Ci sono persone preoccupate anche dentro il mondo delle criptovalute

E’ possibile aver aumentato il surriscaldamento mondiale con una cosa che consuma tanta elettricità per estrarre un singolo bitcoin? Bisognerebbe provare a capire se esistano modi migliore e più puliti per distribuire bitcoin, per garantire la sicurezza di sistema. Intanto esistono già tante criptovalute che funzionano in modo diverso. Le più importanti sono Ripple e Stellar, terza e nona per volume d’affari. Sono nate dopo Bitcoin, quando già ci si poneva il problema del consumo energetico legato alle criptovalute.

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