Lavoro Archivi - Business.it https://www.business.it/tag/lavoro/ I segreti del potere - Notizie e retroscena Fri, 28 Jul 2023 07:23:32 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 https://www.business.it/wp-content/uploads/2023/01/cropped-Favicon_Business.it_-32x32.jpg Lavoro Archivi - Business.it https://www.business.it/tag/lavoro/ 32 32 Napoli, la denuncia del reclutatore: “Non trovo pizzaioli a 2500 euro al mese” https://www.business.it/napoili-pizzaioli-reclutatore-2500-euro-mese/ Fri, 28 Jul 2023 07:23:29 +0000 https://www.business.it/?p=124574 Il protagonista di questa vicenda surreale si chiama Salvatore Del Grosso, ha 44 anni e di professione fa il reclutatore di figure professionali per bar, ristoranti e pizzerie a Napoli. La sua è una denuncia che sta facendo molto discutere. “Non trovo pizzaioli a 2500 euro al mese. – rivela Del Grosso intervistato dal Corriere… Leggi tutto »Napoli, la denuncia del reclutatore: “Non trovo pizzaioli a 2500 euro al mese”

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Il protagonista di questa vicenda surreale si chiama Salvatore Del Grosso, ha 44 anni e di professione fa il reclutatore di figure professionali per bar, ristoranti e pizzerie a Napoli. La sua è una denuncia che sta facendo molto discutere. “Non trovo pizzaioli a 2500 euro al mese. – rivela Del Grosso intervistato dal Corriere della Sera – Ho chiamato anche le scuole che si occupano di formazione, ma nessuna mi ha fornito un nome. Solo dalla Puglia chiamano in tanti, ma chiedono l’alloggio. Ma trovare un appartamento in questo periodo a Napoli è difficile e i costi sono elevati”.
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Napoli pizzaioli reclutatore 2500 euro

Lo sfogo del reclutatore di Napoli: “Non trovo pizzaioli a 2500 euro”

Il cronista del Corriere domanda a Salvatore Del Grosso se capita spesso che qualcuno non si presenti al colloquio di lavoro. “Nove su dieci. – replica secco il reclutatore di Napoli – O capita che fanno il colloquio e poi non vengono a lavorare. È capitato anche che un ragazzo che doveva fare il colloquio mi ha chiamato dicendo che aveva avuto un problema con l’auto. Sono andato a prenderlo, ha fatto la prova, l’ho riaccompagnato a casa, e poi il giorno che doveva iniziare a lavorare non è venuto. Ho provato a richiamarlo, ma aveva bloccato il mio numero sul telefonino”.

Il reclutatore di pizzaioli di Napoli non si spiega questo comportamento. “Il problema è proprio questo. – aggiunge sconsolato – (Le aziende con cui collaboro) offrono tutte lavoro a contratto. Le paghe sono quelle previste dal Ccnl, che variano in base al livello di esperienza. Per esempio un caposala da noi prende uno stipendio non inferiore a 1800 euro. Capisco che sono lavori stressanti, io stesso l’ho fatto per tanti anni, ma una situazione del genere non l’avevo mai vista”.

“Le cose hanno cominciato a peggiorare con la pandemia. – spiega ancora il reclutatore di Napoli – Credo che il 70% di chi lavorava in questo settore ha trovato nel frattempo qualcos’altro. Poi, subito dopo il Covid c’è stato un boom di aperture di nuovi locali, senza che ci fosse sul mercato personale disponibile. A Napoli la maggior parte dei corsi di formazione sono pessimi. E lo dico facendo anch’io il formatore. Succede che se hai lavorato alla caffetteria in un bar t’insegnano a fare il cameriere in una caffetteria. Ma se devi andare a lavorare in un ristorante non sei preparato. E poi manca un collegamento con le aziende, che permetta l’incrocio tra domanda e offerta. Ma per chi cerca personale in questo settore c’è anche un altro problema”, conclude l’uomo che non riesce a trovare pizzaioli a 2500 euro al mese.
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“Basta paga da fame”, il video virale della giovane ingegnera https://www.business.it/basta-paga-da-fame-video-virale/ Sat, 04 Feb 2023 09:56:09 +0000 https://www.business.it/?p=108903 È diventato virale il video della giovane ingegnera Ornella Casassa, 27 anni, che a una cena tra amici si lamenta delle “paghe da fame” a cui “bisogna dire basta” e che “la sinistra deve smetterla di abbassare l’asticella”. La giovane si trovava a cena in Liguria con un’amica, Selena Candia, consigliera regionale. Il ragionamento di… Leggi tutto »“Basta paga da fame”, il video virale della giovane ingegnera

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È diventato virale il video della giovane ingegnera Ornella Casassa, 27 anni, che a una cena tra amici si lamenta delle “paghe da fame” a cui “bisogna dire basta” e che “la sinistra deve smetterla di abbassare l’asticella”. La giovane si trovava a cena in Liguria con un’amica, Selena Candia, consigliera regionale. Il ragionamento di Casassa ha conquistato i social, a partire da TikTok.
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Basta paga da fame, il video virale della giovane ingegnera

Il video virale della giovane Ornella Canassa

La giovane Ornella Canassa, ingegnera professionista di 27 anni, imbastisce un discorso ineccepibile e appassionato. All’amica Selena Candia, consigliera della Regione Liguria, eletta nelle liste del centrosinistra, la giovane esprime le sue rimostranze. “Vivere a 27 anni con 750 euro? Non possiamo più accettare. non ci pago l’affitto, io non ci vivo. Per questo ho detto no”, dice Canassa, riferendosi al rifiuto di un lavoro che per lei sarebbe stato importante.

Basta paga da fame, video virale: chi l’ha condiviso

“Dobbiamo smettere di accettare paghe da fame. E la sinistra deve far capire che dobbiamo smettere di abbassare l’asticella, sbotta la ragazza. Intervistata dal Corriere della Sera , Ornella dice di essere originaria di Chiavari, e di vivere da 10 anni a Genova. Spiega che quello ripreso è uno sfogo su “quello che mi è successo al termine del mio tirocinio: lo studio ingegneristico dove lavoravo da sei mesi, era soddisfatto di avermi nel team e mi ha proposto una collaborazione a 900 euro a partita iva che significano 750 euro netti, tolte le tasse. Solo 150 euro in più rispetto al tirocinio. Per me è stato uno schiaffo”.

Il video è stato condiviso su TikTok dalla sua stessa amica, a ribadire l’importanza e la correttezza del suo ragionamento. In poche ore ha raggiunto migliaia di visualizzazioni, raggiungendo ogni altro social e anche le pagine web dei giornali. Chissà se sentiremo ancora parlare di lei, ma le premesse ci sono tutte.

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Abolizione del reddito di cittadinanza: ecco chi e come perderà il sussidio https://www.business.it/abolizione-del-reddito-di-cittadinanza-ecco-chi-e-come-perdera-il-sussidio/ Mon, 21 Nov 2022 09:51:02 +0000 https://www.business.it/?p=101330 Una delle riforme bandiera del governo Meloni, come annunciato dalla campagna elettorale, sarà quella di eliminare il Reddito di cittadinanza, misura introdotta dal governo gialloverde del Conte I, con il benestare della Lega. Sebbene ci sia una voragine nel bilancio italiano, questa non potrà essere tutta compensata dalla totale eliminazione della misura, che garantisce uno… Leggi tutto »Abolizione del reddito di cittadinanza: ecco chi e come perderà il sussidio

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Una delle riforme bandiera del governo Meloni, come annunciato dalla campagna elettorale, sarà quella di eliminare il Reddito di cittadinanza, misura introdotta dal governo gialloverde del Conte I, con il benestare della Lega.

Sebbene ci sia una voragine nel bilancio italiano, questa non potrà essere tutta compensata dalla totale eliminazione della misura, che garantisce uno stile di vita minimo a persone che davvero non possono lavorare.

Non solo, la neoministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, ha dovuto informare la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che non tutti coloro che restano fuori dall’impossibilità di lavorare siano poi realmente “occupabili”, come la presidente li ha definiti.

Maria Elvira Calderone, ministra del Lavoro

Non esistono numeri specifici, ma quelli di Giorgia Meloni si riferiscono all’ultimo rilevamento dell’Anpal. Dunque i cittadini “occupabili”, al netto di quelli che andranno ulteriormente titolati, dovrebbero essere circa 830 mila percettori attuali del reddito.

Il numero è stato calcolato secondo il Corriere della Sera, su coloro che sono “tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro presso i centri per l’impiego”, 660 mila persone secondo l’Anpal, più 173 mila percettori già occupati, ma con un salario talmente basso da dover essere integrato dal sussidio.

I No vax rischiano di perdere il reddito di cittadinanza

Sono queste, secondo il Corriere della Sera, le 830 mila persone circa che “verrebbero colpite dalla stretta che il governo deciderà con il disegno di legge di Bilancio 2023 che dovrebbe essere esaminato nelle prossime ore dal Consiglio dei ministri. In pratica, uno su tre dei circa 2,5 milioni di beneficiari dei sussidio”.

Secondo la prima proposta di Meloni, quelli che dovrebbero perdere l’importante sussidio lo potrebbero fare alla prima scadenza. Ma la stessa ministra del Lavoro vorrebbe optare per misure più graduali. Vedremo chi la spunterà, ma il tempo stringe.

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Lavoro, situazione complessa: verso lo scontro tra Meloni e i sindacati https://www.business.it/lavoro-situazione-complessa-verso-lo-scontro-tra-meloni-e-i-sindacati/ Wed, 09 Nov 2022 17:58:10 +0000 https://www.business.it/?p=100621 Quello tra Meloni e i sindacati non sarà un rapporto facile, in parte per le ideologie implicate, in parte – in grossa parte – per la situazione economica attuale. “Siamo nel mezzo di una crisi internazionale sociale, usciamo da una pandemia, c’è una crisi energetica in corso, un aumento dei costi delle materie prime, una… Leggi tutto »Lavoro, situazione complessa: verso lo scontro tra Meloni e i sindacati

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Quello tra Meloni e i sindacati non sarà un rapporto facile, in parte per le ideologie implicate, in parte – in grossa parte – per la situazione economica attuale.

“Siamo nel mezzo di una crisi internazionale sociale, usciamo da una pandemia, c’è una crisi energetica in corso, un aumento dei costi delle materie prime, una inflazione vicina al 10%, salari perlopiù inadeguati, pensioni di oggi basse, e quelle future rischiano di essere inesistenti”.

Questo è il quadro fosco dipinto dalla presidente del Consiglio ai rappresentanti sindacali durante il meeting a Palazzo Chigi, tuttora in corso, secondo quanto appreso da fonti interne e riportato dall’Ansa.

Giorgia Meloni

“Abbiamo sempre riconosciuto l’importanza del confronto con le parti sociali. Il nostro approccio è di totale apertura e rispetto. Dove ci porterà questo confronto dipenderà dell’approccio e dalla disponibilità di ciascuno di noi”, avrebbe aggiunto Meloni.

“Stiamo affrontando il momento più difficile della storia della Repubblica e questo richiede da parte di tutti un supplemento di responsabilità. Bisogna mettere da parte i preconcetti e, nel rispetto delle diverse convinzioni, è necessario provare a ragionare tutti nella stessa direzione: la difesa dell’interesse generale”.

“In questo momento la priorità delle priorità è il lavoro, la grande criticità italiana. L’Italia ha tra i tassi più bassi di occupazione dell’Occidente, ha tra i più bassi tassi di lavoro femminile, tra i più alti tassi di lavoro nero”, ha concluso la presidente e leader di Fratelli d’Italia.

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Mako, da principessa del Giappone a stagista al Met di New York https://www.business.it/mako-da-principessa-del-giappone-a-stagista-al-met-di-new-york/ Thu, 14 Apr 2022 19:45:13 +0000 https://www.business.it/?p=90437 Sono passati solo cinque mesi dalle nozze più controverse del nuovo secolo, che hanno fatto perdere il titolo di principessa a Mako di Akishino così da portesi sposare con il suo grande amore. Dopo una serie di tentativi nella speranza di farle riconsiderare le sue intenzioni, lo scorso ottobre Mako ha infatti rinunciato ai titoli… Leggi tutto »Mako, da principessa del Giappone a stagista al Met di New York

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Sono passati solo cinque mesi dalle nozze più controverse del nuovo secolo, che hanno fatto perdere il titolo di principessa a Mako di Akishino così da portesi sposare con il suo grande amore. Dopo una serie di tentativi nella speranza di farle riconsiderare le sue intenzioni, lo scorso ottobre Mako ha infatti rinunciato ai titoli nobiliari e alla rendita di 163 milioni annui di yen (circa 1,2 milioni di euro) per sposare il borghese Kei Komuro a cui era legata dai tempi del college. La coppia dopo le nozze ha lasciato il Giappone per trasferirsi a New York, dove Komuro fa pratica in un famoso studio legale. Anche l’ex principessa però non è stata con le mani in mano: Mako ha trovato un lavoro nel Met Museum, uno dei luoghi più iconici della città. Quello al Met è solo un tirocinio, ma perfettamente in linea con il suo profilo: Mako infatti ha studiato storia dell’arte all’Università di Edimburgo e si è laureata in Beni culturali presso l’Università Internazionale Cristiana di Mitaka di Tokyo, nel 2014, prima di volare nel Regno Unito per specializzarsi con un master in Studi museali presso l’Università di Leicester.

Mako non ha mai lavorato in vita sua per mantenersi, l’unico impegno simile a un lavoro l’ha sostenuto come ricercatrice speciale al Museo dell’Università di Tokyo mentre era ancora una reale. Ma un cv in storia dell’arte come il suo dovrebbe permetterle di zittire chiunque possa accusarla di essere favorita dalle sue origini.

Anche se per ora è solo una stagista, sicuramente la volontà di Mako di mettersi in gioco come borghese è ben visibile. In fondo come disse lei stessa in alcune interviste lei stessa prima delle nozze, “Quello che vorrei è solo condurre una vita pacifica nel mio nuovo ambiente, da persona comune che prende la metro, fa la spesa al supermercato e cerca di realizzare i suoi progetti, tra cui trovare il lavoro dei sogni”.

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Il riscatto di Elena, fioraia con la sindrome di Down: “È come rinascere” https://www.business.it/il-riscatto-di-elena-fioraia-con-la-sindrome-di-down-e-come-rinascere/ Wed, 02 Mar 2022 21:47:50 +0000 https://www.business.it/?p=88431 Il lavoro nobilita l’uomo dice una celebre espressione proverbiale, e in tempi moderni è certamente più importante che mai. L’ingresso nel mondo lavorativo segna spesso anche quella transizione tra il mondo dell’infanzia e quella degli adulti, quel momento in cui si diventa grandi, autonomi e indipendenti. Per persone diversamente abili però questa che dovrebbe essere… Leggi tutto »Il riscatto di Elena, fioraia con la sindrome di Down: “È come rinascere”

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Il lavoro nobilita l’uomo dice una celebre espressione proverbiale, e in tempi moderni è certamente più importante che mai. L’ingresso nel mondo lavorativo segna spesso anche quella transizione tra il mondo dell’infanzia e quella degli adulti, quel momento in cui si diventa grandi, autonomi e indipendenti. Per persone diversamente abili però questa che dovrebbe essere una naturale fase della vita, può diventare un ostacolo importante. Come la storia di Elena Roda, 36enne con sindrome di Down, che dopo tanti sacrifici è riuscita a trovare il lavoro dei suoi sogni. Da pochi giorni la giovane lavora come fioraia in un nuovo negozio appena fuori dalle mura che delimitano il centro di Bologna, Cuorarreda, sotto i portici di via Saragozza. Un luogo piccolo e accogliente che ha accolto Elena a braccia aperte. “Il lavoro mi permette di sentirmi adulta, mentre stare a contatto con la natura mi dà una sensazione di rinascita”, ha confidato la neo-lavoratrice.

In questi mesi ad insegnare ad Elena come mettere a frutto il suo talento è stata Daniela Natali, titolare di Cuorarreda. “Elena ha mostrato fin da subito una manualità e una creatività spiccate”, ha raccontato l’imprenditrice al Corriere della sera. Per il momento Elena sarà tirocinante per 20 ore alla settimana, e se tutto andrà come deve arriverà anche l’agognato contratto. “Lavorerò dalle 9 alle 12.30 dal lunedì al giovedì, il venerdì no, perché ho il laboratorio di cucina e autonomia”, ha detto la fioraia. In quest’ultimo si imparano, ha chiarito Elena, “Si imparano i comportamenti adeguati da tenere in famiglia, con gli amici e sul lavoro”. Proprio questa nuova esperienza sarà un bel banco di prova. A causa della pandemia Elena è stata costretta suo malgrado a non lavorare. “Sono rimasta in casa e ne ho sofferto molto”, ha raccontato la ragazza. Daniela, da parte sua, ha dovuto chiudere l’attività che aveva aperto a San Lazzaro. Ed è per questo oggi può dire con una punta d’orgoglio “adesso io ed Elena rifioriamo insieme”.

Cuorarreda nasce dall’incontro di Daniela Natali con Rossana De Sanctis, Presidente di Associazione d’Idee, realtà bolognese che si occupa di sostegno e percorsi di autonomie per persone disabili. “Con Rossana ci siamo immediatamente trovate nell’idea di creare una realtà che unisse i concetti di inclusività e bellezza – ha spiegato Daniela – Qui facciamo rifiorire oggetti che non si utilizzavano più e creiamo bomboniere per piccoli eventi come matrimoni o battesimi”.

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La scelta di Asia e Federico: “A 20 anni gestiamo l’unico bar di un borgo di 28 abitanti” https://www.business.it/la-scelta-di-asia-e-federico-a-20-anni-gestiamo-lunico-bar-di-un-borgo-di-28-abitanti/ Wed, 23 Feb 2022 21:13:24 +0000 https://www.business.it/?p=88098 Per motivo di lavoro e di studi universitari, sono tantissimi i giovani italiano che decidono di trasferirsi da un piccolo borgo ad una grande città. E’ risaputo che la città riesce ad offrire delle prospettive future più ampie rispetto alle realtà di provincia. Eppure ci sono giovani che invece decidono di andare appositamente in una… Leggi tutto »La scelta di Asia e Federico: “A 20 anni gestiamo l’unico bar di un borgo di 28 abitanti”

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Per motivo di lavoro e di studi universitari, sono tantissimi i giovani italiano che decidono di trasferirsi da un piccolo borgo ad una grande città. E’ risaputo che la città riesce ad offrire delle prospettive future più ampie rispetto alle realtà di provincia. Eppure ci sono giovani che invece decidono di andare appositamente in una piccola realtà. Come la scelta che hanno fatto Asia (22 anni) e Federico (20 anni), che hanno lasciato la città per trasferirsi a vivere in mezzo ai boschi, a Casaglia, sperduta frazione montana tra Marradi e Borgo San Lorenzo, 28 abitanti d’inverno e 250 d’estate, un solo bambino residente. Un borgo che rischia di morire, dove l’unica attività è un bar-alimentari-mesticheria che vende di tutto. E che nei mesi scorsi ha dovuto chiudere perché la ragazza che lo gestiva, Cristina, ha dovuto lasciare l’attività dopo la morte del padre e l’infermità della madre che deve accudire. E senza quell’attività, il futuro del borgo sembrava segnato.

Grazie alla scelta di Asia e Federico il bar del borgo di Casaglia è tornato a vivere. I due giovani hanno deciso di lasciare le città in cui vivevano (rispettivamente Firenze e Faenza) per trasferirsi qui stabilmente. Una storia segnata dall’amore per la tradizione trasmessa generazione dopo generazione. Erano i bisnonni dei due ragazzi che vivevano qui, poi la modernità ha spinto le nuove generazioni in città, dove hanno sempre vissuto i nonni e i genitori, e dove Asia e Federico sono nati. Le vacanze estive a Casaglia erano d’obbligo, e hanno dato modo ai due giovani di sviluppare un amore incondizionato per quel territorio, così distante dalla realtà cittadina a cui erano abituati. Alla fine dunque la decisione coraggiosa: “Andiamo a vivere a Casaglia”. E oggi eccoli qui, a gestire l’unico punto ristoro nel raggio di venti chilometri. Per loro, il progresso è il ritorno alla terra. Si muovono tra schiacciate e biscotti, mozzarelle e fagioli. Due cuori e una capanna, in mezzo al nulla: gli ululati dei lupi, il bisbiglio dei torrenti, la quiete della montagna. Un cane e un gatto come compagnia.

Asia e Federico lavorano oggi grazie a questa bottega, e sognano già di ampliare la loro attività: eventi, cene, camminate, trekking. “In questi boschi sono felice”, ha raccontato Federico al Corriere della Sera. Il ragazzo ha raccontato come si può trarre piacere anche da una vita tranquilla di campagna nonostante la sua giovane età: “Erano le 20 di sera, in giro era deserto, mi sono seduto alle vecchie scuole del paese e mi sono sentito libero, leggero”. La città non fa per lui: “Troppa gente, la scuola non mi piace, quassù ci sono pochissime persone, ma su di loro puoi contare” Lo stesso vale anche per Asia: “Fin da piccola adoro il contatto con la natura, il contatto diretto con la gente, ci conosciamo tutti, non c’è rivalità, non c’è invidia”.

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Federica al colloquio di lavoro: “Sono incinta”. Ma il titolare la assume lo stesso https://www.business.it/federica-al-colloquio-di-lavoro-sono-incinta-ma-il-titolare-la-assume-lo-stesso/ Mon, 21 Feb 2022 20:20:02 +0000 https://www.business.it/?p=87967 Federica Granai, 27 anni, era rimasta senza lavoro a causa della pandemia. Nella ricerca di un nuovo impiego la ragazza si è imbattuta in VoipVoice, azienda di Montelupo Fiorentino (Firenze) che si occupa di telecomunicazioni e servizi informatici. Federica decide così di candidarsi per il posto di customer care, e dopo vari colloqui, tre prove… Leggi tutto »Federica al colloquio di lavoro: “Sono incinta”. Ma il titolare la assume lo stesso

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Federica Granai, 27 anni, era rimasta senza lavoro a causa della pandemia. Nella ricerca di un nuovo impiego la ragazza si è imbattuta in VoipVoice, azienda di Montelupo Fiorentino (Firenze) che si occupa di telecomunicazioni e servizi informatici. Federica decide così di candidarsi per il posto di customer care, e dopo vari colloqui, tre prove pratiche e il colloquio finale con l’amministratore delegato e proprietario dell’azienda, Simone Terreni, Federica risulta essere la migliore tra i tanti candidati che ambivano a quel posto di lavoro. Quando finalmente la ragazza ha trovato l’azienda giusta che ha deciso di assumerla, accade qualcosa di inaspettato. Federica ha scoperto di essere incinta. Così per correttezza la giovane decide di comunicare all’azienda il suo stato interessante, certa però di perdere la nuova opportunità di lavoro. E invece le cose sono andate in modo inaspettatamente diverso. Il titolare Simone Terreni ha spiazzato Federica affermando: “Sei incinta? E che problema c’è? Ti assumo lo stesso”.

“Mi ha spiazzato – ha raccontato Federica in un intervista con la Repubblica -. Ero quasi in lacrime, mi aspettavo di essere accompagnata alla porta d’uscita e invece lui mi ha aperto quella d’ingresso. Mi ha dato la possibilità di prendere anche la maternità facoltativa oltre a quella obbligatoria. Ho creduto che potessero scartarmi perché aspettavo un bambino”. Federica aveva completato il corso di formazione che l’azienda prevede per i neo-assunti. Il suo primo giorno di lavoro era fissato per il 7 settembre. “Il 28 agosto ho scoperto di essere incinta. Mi è caduto il mondo addosso perché dopo che la vecchia azienda mi aveva messo in cassa integrazione e avevo saputo di aver superato il primo colloquio in VoipVoice, mi sono licenziata. Conosco storie di moltissime donne rifiutate perché madri, o per la loro volontà di esserlo in futuro. Ho creduto che mi chiedessero di tornare dopo il parto o peggio, che mi avrebbero esclusa. Così avrei perso anche la disoccupazione Naspi”.

Come ha sottolineato la neo assunta, nel 2022 tante donne sono ancora costrette a scegliere tra carriera e famiglia. “Siamo succubi del sistema, sembra che non possiamo ambire alla stessa vita che può fare un uomo – ha detto ancora la Granai -. Invece sono rimasta sorpresa. Il primo febbraio sono tornata al lavoro, oggi il mio bimbo compie dieci mesi. Ho un orario di lavoro flessibile con alcuni giorni in smart working, che mi permette di conciliare lavoro e famiglia”. Dal punto di vista lavorativo, per Simone Terreni la gravidanza non sembra essere assolutamente un problema: “È così che dovrebbe essere per tutti – ha commentato l’ad di VoipVoice -. La gravidanza per noi non è assolutamente un problema. Non chiediamo mai a una donna se ha figli o se ha intenzione di averli”.

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Donne medico in fuga, lo sfogo di Erika: “Sempre più impossibile avere una famiglia” https://www.business.it/donne-medico-in-fuga-lo-sfogo-di-erika-sempre-piu-impossibile-avere-una-famiglia/ Tue, 16 Nov 2021 21:34:22 +0000 https://www.business.it/?p=83579 “Come non capire le colleghe che hanno mollato tutto? Quest’estate ero a un passo dal farlo pure io”. Sono le parole di Erika De Maio, dottoressa di mediana generale di Torino, che racconta come l’avvento del Covid abbia reso ancora più difficile per una donna il conciliare il lavoro con la famiglia. Di recente infatti… Leggi tutto »Donne medico in fuga, lo sfogo di Erika: “Sempre più impossibile avere una famiglia”

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“Come non capire le colleghe che hanno mollato tutto? Quest’estate ero a un passo dal farlo pure io”. Sono le parole di Erika De Maio, dottoressa di mediana generale di Torino, che racconta come l’avvento del Covid abbia reso ancora più difficile per una donna il conciliare il lavoro con la famiglia. Di recente infatti la Fimmg (Federazione italiana Medici di Medicina Generale) ha lanciato l’allarme: in pochi mesi dodici dottoresse di famiglia in Piemonte hanno abbandonato la professione, ed in futuro potrebbe andare anche peggio. Secondo la federazione, al carico di lavoro si sommano le conseguenze della carenza di medici di medicina generale. Un fenomeno in crescita, considerato che molti stanno andando in pensione: “Se una volta un medico di famiglia restava in servizio fino a 67 anni e anche più, ora chi può va via prima” , ha detto Roberto Venesia, segretario piemontese della Fimmg.

La testimonianza della dottoressa Erika De Maio sembrerebbe confermare il trend. “Non sono stupita per niente – ha detto la donna a Repubblica -. Non sono mai stata sessista ma su questo punto lo sto diventando. Molti colleghi sono separati perché avere tempo da dedicare alla famiglia sta diventando impossibile, ma quelli di una generazione precedente, che hanno a casa mogli che gestiscono la famiglia possono dedicarsi totalmente al lavoro. Così diventa tutto più sopportabile, anche se per tutti noi è stancante allo sfinimento”. Ed è stato proprio questa estate che anche Erika è stata ad un passo dal mollare tutto anche lei. “Una sera sono arrivata a casa alle dieci di sera in lacrime. Non ce la facevo più dopo dodici-tredici ore di lavoro. A marzo abbiamo cominciato a vaccinare per il Covid, io sono una dottoressa “massimalista”, vuol dire che ho più di 1500 pazienti, precisamente 1540. E non potrei ridurre il numero neppure se volessi. L’Asl non me lo consente. Chiamavano in centinaia ogni giorno per i vaccini, chi aveva paura per il caso AstraZeneca, chi voleva spostare perché doveva andare in vacanza, le forniture non arrivavano. Un inferno che si aggiungeva alla nostra attività ordinaria”.

Come si può immaginare la pandemia non ha fatto altro che aggravare ancor di più la situazione. “Il Covid ha cambiato radicalmente la nostra vita. Prima c’era l’ambulatorio, le visite domiciliari, il lavoro nelle Rsa, il rapporto con le assistenti sociali. Si è aggiunta tutta l’attività per la pandemia, il contact tracing, vaccini, tamponi, visite con scafandri”.

Oltre la professione di medico Erika è anche una madre a tempo pieno ma conciliare entrambe le cose non è per nulla semplice, come dimostra il racconto di una sua giornata tipo: “Oggi alle sette ero in studio, alle otto ho cominciato a visitare fino all’una. Nel pomeriggio ho fatto una visita domiciliare e sono andata in una Rsa dove c’è una mia paziente. Alle 17 sono riuscita da andare a prendere mio figlio a scuola. Se visito al pomeriggio è dalle 14 alle 19 e al mattino ho tutto il resto. La mattina del sabato mi metto qualche visita. Se ho lavoro arretrato vado in ambulatorio la domenica. I miei bimbi hanno quattro e sette anni. E quando erano piccoli e di notte avevano la febbre al mattino io in ambulatorio dovevo andare in ogni caso. Non avevo scelta. Chi trova un sostituto alle tre di notte? Nessun dubbio che sei bambini fossero piccolissimi adesso, avrei già smesso”.

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La rabbia di Antonella psicologa disabile: “O il lavoro o l’assegno d’invalidità” https://www.business.it/la-rabbia-di-antonella-psicologa-disabile-o-il-lavoro-o-lassegno-dinvalidita/ Fri, 05 Nov 2021 19:49:16 +0000 https://www.business.it/?p=83069 Sta facendo discutere la recente comunicazione dell’Inps, in cui l’istituto di previdenza sociale ha deciso di non riconoscere più l’assegno di invalidità a persone con disabilità parziale che svolgono qualsiasi attività lavorativa. Dunque persino un lavoretto, part-time e al di sotto dei 400 euro mensili, non darà più diritto al contributo di 242,84 euro. Antonella… Leggi tutto »La rabbia di Antonella psicologa disabile: “O il lavoro o l’assegno d’invalidità”

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Sta facendo discutere la recente comunicazione dell’Inps, in cui l’istituto di previdenza sociale ha deciso di non riconoscere più l’assegno di invalidità a persone con disabilità parziale che svolgono qualsiasi attività lavorativa. Dunque persino un lavoretto, part-time e al di sotto dei 400 euro mensili, non darà più diritto al contributo di 242,84 euro. Antonella D’Aleo, 32 anni, è nata senza l’uso delle gambe a causa di una paralisi cerebrale. Dopo una laurea in Scienze e tecniche psicologiche e una specialistica in Psicologia del ciclo di vita in corso, dal 2015 fa l’operatrice sociale al Centro Padre Nostro di Brancaccio: ha cominciato con il servizio civile per poi ottenere negli anni contratti a tempo determinato su progetti. Adesso però Antonella si trova ad un bivio: continuare a lavorare da precaria, oppure restare a casa e continuare a percepire l’assegno d’invalidità. “Io sono già una disabile, non voglio essere costretta a esserlo”, ha detto la donna a Repubblica riferendosi alla decisione dell’Inps.

“La nota firmata dal direttore generale dice che per ottenere l’assegno la condizione deve essere quella di “inattività lavorativa”: in pratica mi sta dicendo che devo stare chiusa in casa a fare la disabile. Allora a cosa servono gli insegnanti di sostegno? A che cosa serve studiare? “, ha detto risentita la donna. La beffa per Antonella è che l’assegno che riceve mensilmente per la sua invalidità al 100%, è di 287 euro al mese: ” Più che altro un sostegno, una cifra davvero piccola “. Che copre solo in parte le spese che Antonella, che vive da sola con una madre non più ragazzina nel quartiere Sperone, affronta ogni mese per vivere. “Io sono autonoma per molte cose, ma per quelle fondamentali no: ho bisogno di aiuto per lavarmi e vestirmi, per cucinare, per raggiungere i posti. Pago un assistente perché anche per uscire di casa ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a entrare dentro all’ascensore che è molto stretto ” .

Per Antonella però oltre la questione economica, è proprio il principio dell’iniziativa dell’istituto di previdenza sociale che proprio non va: “Il lavoro mi realizza, mi fa stare bene”. Da sei anni infatti Antonella segue un gruppo di adolescenti di Brancaccio, oggi tra i 15 e 18 anni: li aiuta a fare i compiti e organizza per loro attività culturali. “Io ho una vita sociale, che difendo – ha detto la donna -. E sono abituata ad alzare la voce quando qualcosa non va. Non mi faccio strappare i miei sogni. La pensione è un diritto, come la libertà di scegliere come vivere”.

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Biglietti in prima classe e 10mila euro: il regalo lussuoso da un’azienda ai suoi dipendenti https://www.business.it/biglietti-in-prima-classe-e-10mila-euro-il-regalo-lussuoso-da-unazienda-ai-suoi-dipendenti/ Tue, 26 Oct 2021 18:53:23 +0000 https://www.business.it/?p=82458 Lavorare sodo ricompensa sempre, ma in alcune aziende ricompresa ancor di più. E’ il caso della Spanx, società valutata 1,2 miliardi di dollari, che ha deciso di regalare una vacanza da sogni ai suoi dipendenti per ringraziali del lavoro svolto fin ora. Il premio consiste in due biglietti in prima classe per qualunque meta nel… Leggi tutto »Biglietti in prima classe e 10mila euro: il regalo lussuoso da un’azienda ai suoi dipendenti

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Lavorare sodo ricompensa sempre, ma in alcune aziende ricompresa ancor di più. E’ il caso della Spanx, società valutata 1,2 miliardi di dollari, che ha deciso di regalare una vacanza da sogni ai suoi dipendenti per ringraziali del lavoro svolto fin ora. Il premio consiste in due biglietti in prima classe per qualunque meta nel mondo e 10.000 dollari per tutti i dipendenti dell’azienda. Un regalo inaspettato che i lavoratori hanno ricevuto dalla CEO della Spanx Sara Blakely. “Essere qui oggi e pensare a ciò che siamo stati in grado di fare è motivo di grande orgoglio – ha spiegato Blakely sui social -. Abbiamo reso la lingerie modellante femminile qualcosa di spendibile nell’ambito del business. Questo è un punto di partenza per le imprenditrici”.

Blakely ha fondato Spanx nel 2000 con 5.000 dollari di risparmi. Da questa cifra si è prefissata come obiettivo il raggiungimento di un valore di 20 milioni per la sua azienda. Nel 2021 la Spanx vale invece 1,2 miliardi. “Anche se il 50% degli imprenditori sono donne, soltanto il 2,3% dei finanziamenti sono destinati alle giovani imprenditrici nel 2020 – ha detto ancora Blakely -. Questo è un momento importante secondo me e voglio dedicarlo a tutte le donne che sono venute prima di me. Prima ancora, vorrei rivolgere un pensiero a tutte quelle che avrebbero sognato le stesse cose ma che non hanno avuto quest’opportunità”.

Per ringraziare i lavoratori che dal 2000 sono al fianco dell’azienda, ha deciso di pensare in grande e dare loro in regalo un viaggio di lusso per due. La destinazione potrà essere scelta dal dipendente. “Se viaggi con qualcuno e ti concedi una vacanza, probabilmente vorrai andare in un bell’albergo o vorrai andare a cena in posti eleganti mai visti prima – ha continuato Blakely – per questo motivo abbiamo deciso di concedere 10.000 dollari a tutti i dipendenti, affinché possano godersi il meritato premio senza pensare a niente”.

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Lavorare 4 giorni a settimana: perché la short-week potrebbe essere presto realtà https://www.business.it/lavorare-4-giorni-a-settimana-perche-la-short-week-potrebbe-essere-presto-realta/ Mon, 13 Sep 2021 19:27:52 +0000 https://www.business.it/?p=79933 Meno lavoro, più produttività. L’accorciamento della settimana lavorativa standard non è un concetto completamente nuovo, anche se ha guadagnato terreno solo negli ultimi anni, diventando una pratica più popolare dall’arrivo della coronavirus. Sempre più spesso infatti si sente parlare di obiettivi e non di ore passate in ufficio, e così anche il tempo passato alla… Leggi tutto »Lavorare 4 giorni a settimana: perché la short-week potrebbe essere presto realtà

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Meno lavoro, più produttività. L’accorciamento della settimana lavorativa standard non è un concetto completamente nuovo, anche se ha guadagnato terreno solo negli ultimi anni, diventando una pratica più popolare dall’arrivo della coronavirus. Sempre più spesso infatti si sente parlare di obiettivi e non di ore passate in ufficio, e così anche il tempo passato alla scrivania in attesa di timbrare il cartellino perde il suo valore. Infatti il concept della settimana lavorativa breve a parità di stipendio si basa proprio sulla maggiore produttività di un dipendente meno stanco e più appagato. E tra gli Stati a mettere in atto questo cambiamento, insieme a Spagna ed Usa, ora c’è anche il Regno Unito. In Scozia il governo ha da poco annunciato l’intenzione di estendere la possibilità di lavorare 4 giorni a settimana. Come si legge sulla stampa specializzata, questa iniziativa è parte di un progetto da 10 milioni di sterline che segue il percorso tracciato da altri programmi analoghi in Islanda e Nuova Zelanda.

Secondo un recente sondaggio, che ha intervistato 2.203 scozzesi in età lavorativa, l’88% è disposto a prendere parte al progetto. Circa due lavoratori su tre, inoltre, sono convinti che il cambiamento potrebbe avere un effetto benefico sulla produttività del Paese. In Scozia però c’è ancora da sciogliere il nodo sul capitolo soldi: l’80% degli intervistati sosterrebbe l’introduzione di una settimana lavorativa di quattro giorni soltanto a parità di stipendio. Dubbio lecito quello della popolazione scozzese, visto che in Spagna in noto marchio del fashion Desigual, ha deciso di avviare una sperimentazione per introdurre la settimana lavorativa di 32 ore a condizione, però, di una retribuzione più bassa.

Il successo dell’Islanda
La Scozia potrebbe quindi imboccare la strada già tracciata dall’Islanda: tra il 2015 e il 2019, infatti, in Islanda è stata sperimentata realmente la settimana lavorativa corta con ottimi risultati in termini di produttività. Circa duemila lavoratori sono passati da una settimana di 40 ore a una di 35 o 36 ore senza alcun contraccolpo sul fronte della qualità del lavoro. Il report conclusivo legato all’esperimento islandese sottolineava come i dipendenti si sentissero meno stressati, più felici e ben disposti a lavorare per l’azienda.

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Multinazionale licenzia 90 dipendenti su Whatsapp: “Da lunedì non venire più al lavoro” https://www.business.it/multinazionale-licenzia-90-dipendenti-su-whatsapp-da-lunedi-non-venire-piu-al-lavoro/ Mon, 02 Aug 2021 19:36:44 +0000 https://www.business.it/?p=79215 “Da lunedì 2 agosto lei sarà dispensato dall’attività lavorativa. Cordiali Saluti”: è il messaggio su Whatsapp che si sono trovati circa 90 dipendenti di Logista. La multinazionale monopolista nella distribuzione del tabacco ha deciso di chiudere il sito di Bologna, e alle 22 di sabato 31 luglio ha deciso di avvisare i suoi operatori lavoratori… Leggi tutto »Multinazionale licenzia 90 dipendenti su Whatsapp: “Da lunedì non venire più al lavoro”

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“Da lunedì 2 agosto lei sarà dispensato dall’attività lavorativa. Cordiali Saluti”: è il messaggio su Whatsapp che si sono trovati circa 90 dipendenti di Logista. La multinazionale monopolista nella distribuzione del tabacco ha deciso di chiudere il sito di Bologna, e alle 22 di sabato 31 luglio ha deciso di avvisare i suoi operatori lavoratori inviando loro questo scarno sms Whatsapp. La notizia è stata data dal Si Cobas, ricordando che gli addetti al magazzino di Logista sono 65, ma a questi va aggiunto anche il personale impiegatizio diretto, gli addetti alla vigilanza e il personale delle pulizie. “Circa 90 persone che in meno di 36 ore scoprono di non avere più un lavoro. Molti di loro sono in ferie. Nessuno di loro in questi due anni di pandemia si era mai fermato a riposare, perché i tabacchi si sa sono considerati attività essenziale. Persino di fronte allo scoppio di un focolaio la multinazionale non aveva voluto chiudere un solo giorno. E così mentre gli operai si godono il loro riposo, Logista Italia SpA porta avanti il suo piano di ristrutturazione e approfittando di una crisi generale che però non ha subito, licenzia tutti”. (Continua a leggere dopo la foto)

Anche il sindacato Si Cobas ha appreso sabato pomeriggio la decisione fulminea dell’azienda di tabacchi. Logistica sarebbe intenzionata a delocalizzare l’attività in altri siti italiani, spostando i magazzini a Tortona ed Anagni, dove, secondo il sindacato, “il costo del lavoro è più basso, ci sono ancora le cooperative, si lavora ancora 12 ore al giorno, i livelli di inquadramento sono i più bassi previsti dal CCNL, non ci sono buoni pasto”, insomma, “dove non ci sono diritti”. Per il Si Cobas, infatti, il problema del sito di Bologna non sarebbe legato alla produttività bensì al costo del lavoro considerato eccessivo. (Continua a leggere dopo la foto)

“I più anziani sono lì da 15 anni e ricordano bene cosa fosse il far west della logistica: 15/16 ore di lavoro, buste paga a 900 euro, nessuna sicurezza, caporalato e sfruttamento. A quel tempo la multinazionale Logista era felice del suo sito produttivo all’Interporto di Bologna. Nel 2013 i lavoratori iniziarono ad organizzarsi con il Si Cobas e ottennero dapprima il rispetto dei diritti basilari, poi un netto miglioramento delle loro condizioni economiche, livelli di inquadramento adeguati, buoni basto e premi di produttività etc, ma soprattutto ottennero la loro dignità. Logista non chiude per crisi ma per fame di profitto”.

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Lavori stagionali, l’ex ministra Catalfo: “Realtà disarmante, serve salario minimo” https://www.business.it/lavori-stagionali-lex-ministra-catalfo-realta-disarmante-serve-salario-minimo/ Wed, 16 Jun 2021 12:50:41 +0000 https://www.business.it/?p=78200 “Realtà disarmante”. Così l’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, senatrice del Movimento Cinque Stelle, ha commentato la videoinchiesta del Fatto Quotidiano sulle condizioni dei lavoratori stagionali, nella quale erano evidenziate le offerte di lavoro ricevute in hotel e stabilimenti della Riviera Romagnola: “I colloqui la dicono lunga su quello che sta succedendo. La bassa retribuzione,… Leggi tutto »Lavori stagionali, l’ex ministra Catalfo: “Realtà disarmante, serve salario minimo”

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“Realtà disarmante”. Così l’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, senatrice del Movimento Cinque Stelle, ha commentato la videoinchiesta del Fatto Quotidiano sulle condizioni dei lavoratori stagionali, nella quale erano evidenziate le offerte di lavoro ricevute in hotel e stabilimenti della Riviera Romagnola: “I colloqui la dicono lunga su quello che sta succedendo. La bassa retribuzione, il dover lavorare 11 ore al giorno, pagati in parte a nero, è una questione che va affrontata immediatamente”.

Lavori stagionali, l'ex ministra Catalfo: "Realtà disarmante, serve salario minimo"

Secondo Catalfo, questo è “il momento di accrescere i controlli e di stabilire un salario minimo dignitoso che individui il contratto collettivo da applicare, perché in Italia abbiamo ottocento contratti depositati al Cnel, tantissimi dei quali sono ‘contratti-pirata’ che vanno a ribasso sui salari”. Da qui una proposta di legge sul salario minimo, con sostegni alle imprese che non riescono ad affrontare il costo del rinnovo contrattuale: “La mancanza del personale degli imprenditori è stata strumentalizzata per attaccare il reddito di cittadinanza? Possibile lo si sia fatto per non affrontare invece il vero tema che è quello della giusta retribuzione”.

Sulla stessa falsariga anche il segretario Cgil Maurizio Landini, che sempre al Fatto Quotidiano ha spiegato: “Il problema di questo Paese è che i salari sono bassi e che siamo in presenza di molto lavoro nero. La priorità è dare validità di legge ai contratti nazionali collettivi, cancellando quei contratti pirata che sono quelli che poi fanno prendere 2-3 euro l’ora alle persone. Mi sembra sia venuto il momento di fare questa discussione e non mettere la testa sotto la sabbia”.

Importante, secondo Landini, potenziare innanzitutto i sistemi controllo “perché gli ispettorati del lavoro sono da anni sotto organico, altrimenti rischia di prevalere chi fa il furbo. Per fortuna ci sono anche imprenditori che fanno seriamente il loro lavoro. Va cambiato il sistema, altrimenti si favoriscono quelli che evadono e che non applicano i contratti, a danno proprio degli altri imprenditori”. Una battaglia che “sarebbe utile facessero anche le associazioni di categoria degli imprenditori”.

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Cosimo rider a 70 anni per arrivare a fine mese: “Andrò avanti finché potrò” https://www.business.it/cosimo-70-anni-rider/ Fri, 07 May 2021 15:28:47 +0000 https://www.business.it/?p=77145 Cosimo De Blasi ha quasi 70 anni e da un anno fa il rider. Ogni giorno, se c’è il sole e se piove, Cosimo fa le consegne a domicilio per le pizzerie, i ristoranti e le paninoteche di Brindisi. “Forse sono il più anziano d’Italia”, ha detto ironico a Repubblica. L’uomo nonostante l’età, lavora sia… Leggi tutto »Cosimo rider a 70 anni per arrivare a fine mese: “Andrò avanti finché potrò”

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Cosimo De Blasi ha quasi 70 anni e da un anno fa il rider. Ogni giorno, se c’è il sole e se piove, Cosimo fa le consegne a domicilio per le pizzerie, i ristoranti e le paninoteche di Brindisi. “Forse sono il più anziano d’Italia”, ha detto ironico a Repubblica. L’uomo nonostante l’età, lavora sia a pranzo che a cena: dalle 12 alle 15, per poi tornare per il turno serale dalle 18 alle 23. Così a bordo della sua vecchia Fiat Multipla si avvia per la città a consegnare cibi e bevande ai clienti. “Percepisco la pensione minima, prendo circa 500 euro al mese – ha spigato l’anziano in merito al motivo che lo ha spinto a lavorare ancora nonostante l’età pensionabile – e non riesco ad arrivare a fine mese. Questo lavoro mi permettere di arrotondare e pagare le spese”. Alla moglie manca ancora qualche anno per arrivare alla pensione, e i due sino a un anno fa vivevano solo con 500 euro al mese.

Cosimo ha imparato questo mestiere grazie a suo figlio. E’ stato lui infatti che lo ha iscritto alla piattaforma per le consegne e a spiegargli come funzionava. Anche lui fa il rider, e lo fa anche l’altra sua figlia a Napoli. “Se va bene riesco a portare a casa circa 700 euro al mese – ha spiegato ancora l’anziano – ora purtroppo i rider sono aumentati e quindi le consegne sono diminuite. Più siamo, meno guadagniamo. Il sabato e la domenica si lavora di più. Non ci sono alternative, soprattutto alla mia età. Ormai questo è diventato un lavoro a tutti gli effetti e dovrebbe essere regolamentato e servirebbero maggiori tutele”.

“Non so per quanto ancora potrò farlo – ha aggiunto ancora – ma sino a quando avrò la salute non mi fermerò. A volte mi sento un po’ stanco, ma poi mi faccio coraggio e vado avanti. Qui con gli altri ragazzi siamo diventati una famiglia. E tutti mi chiamano nonno”.

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Niente lavoro per Fabiola: “Io ritenuta troppo grassa per fare la commessa” https://www.business.it/lavoro-fabiola-troppo-grassa/ Wed, 28 Apr 2021 19:44:36 +0000 https://www.business.it/?p=76848 “Sei troppo grassa per fare la commessa”. Dopo il suo primo giorno di prova in un negozio di casalinghi, è questa la frase shock che si è sentita dire Fabiola, una ragazza 24enne di Crotone. A denunciarlo è la stessa ragazza attraverso un post di denuncia pubblicato su Facebook, che non è certo passato inosservato.… Leggi tutto »Niente lavoro per Fabiola: “Io ritenuta troppo grassa per fare la commessa”

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“Sei troppo grassa per fare la commessa”. Dopo il suo primo giorno di prova in un negozio di casalinghi, è questa la frase shock che si è sentita dire Fabiola, una ragazza 24enne di Crotone. A denunciarlo è la stessa ragazza attraverso un post di denuncia pubblicato su Facebook, che non è certo passato inosservato. “Premetto che sono una ragazza in carne e vesto una 52 e non una 38”, ha scritto Fabiola quasi sentendosi in colpa per il suo peso. Il punto però è proprio che la 24enne non è stata valutata per la qualità del lavoro svolto, ma proprio per il suo aspetto fisico. Diplomata, con varie esperienze di lavoro in un call center e in un negozio, Fabiola si è anche formata per l’organizzazione di eventi. Qualche giorno fa è stata chiamata da un’attività commerciale di Crotone alla quale aveva inviato il proprio curriculum per lavorare come commessa: “Quando sono andata – ha raccontato a il Crotonese – la moglie del titolare mi ha spiegato cosa avrei dovuto fare, mi ha detto che i giorni di prova sarebbero stati quattro, ma senza accennare minimamente alla retribuzione”.

Troppo grassa per salire le scale
Secondo la ricostruzione della giovane, a fine della giornata di prova il proprietario, squadrandola dalla testa ai piedi, le chiede se fosse a conoscenza della presenza di scale nel negozio e se la sentisse, dato il suo peso, di fare su e giù tutto il giorno. Cosa che, per altro, lei aveva fatto per tutta la durata del turno di lavoro. “Mi ha fatta sentire a disagio e mi ha fatto notare che per lui era un problema che io non indossassi una taglia 38”, ha aggiunto Fabiola ripensando alle parole del proprietario del negozio -. “Mi chiedo se per lavorare in un negozio di casalinghi bisogna essere modelle o bisogna avere particolari requisiti fisici se non la voglia di lavorare”.

Ma non finisce qui. Fabiola al colloquio non riceve alcuna informazione sulla retribuzione. Lei non chiede, né prima di iniziare a lavorare né durante la giornata di prova. Solo alla fine, scopre che per la sua posizione non era previsto un vero stipendio ma una sorta di rimborso spese. E si sfoga sui social: “Sarei curiosa di sapere se questo signore o chi come lui avrebbe mandato suo figlio a lavorare in un negozio dove si ricevono insulti e ci si fa il culo per 300 euro”.

Come ha riportato il giornale locale, Fabiola dal giorno dopo non si è più presentata a lavorare: “Ho scelto volutamente di non avvisare, perché credo lo meritassero. Andassero a dire ora che i ragazzi crotonesi non vogliono lavorare: chi ha dignità non accetta di lavorare a queste condizioni e deve andarne fiero. Non sono disposta a farmi insultare per una miseria. Dico al titolare di trovare qualcuna disposta a farlo, però di taglia 38”.

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Percepisce 15 anni di stipendio ma non va neanche un giorno al lavoro https://www.business.it/15-anni-stipendio-senza-lavoro/ Tue, 20 Apr 2021 20:03:14 +0000 https://www.business.it/?p=76577 C’è chi vuole avere il posto fisso per avere un lavoro sicuro, e chi un lavoro lo vuole per poi non andarci proprio. La storia accaduta nel catanzarese potrebbe sembrare uscita dal genio di qualche comico cinematografico. E invece è tutto vero, e a metter fine al copione di Salvatore Scumace, 67 anni, dipendente dell’ospedale… Leggi tutto »Percepisce 15 anni di stipendio ma non va neanche un giorno al lavoro

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C’è chi vuole avere il posto fisso per avere un lavoro sicuro, e chi un lavoro lo vuole per poi non andarci proprio. La storia accaduta nel catanzarese potrebbe sembrare uscita dal genio di qualche comico cinematografico. E invece è tutto vero, e a metter fine al copione di Salvatore Scumace, 67 anni, dipendente dell’ospedale Pugliese di Catanzaro ci hanno pensato le forze dell’ordine. L’uomo infatti per 15 anni non si sarebbe mai presentato al lavoro, però senza mai smettere di percepire lo stipendio. Stipendio dopo stipendio, si sarebbe accumulata una retribuzione non dovuta che ormai ammonterebbe a più di 538.000 euro complessivi, pur non essendosi mai recato in servizio. Scumace, formalmente dipendente del Centro Operativo Emergenza Incendi (C.O.E.I.) dell’ospedale Pugliese Ciaccio di Catanzaro, sarebbe di fatto un fantasma in azienda. Ad accorgersi dell’irregolarità la Guardia di Finanza, coordinata dalla procura diretta da Nicola Gratteri, passando al setaccio tabulati di presenza e turni di servizio dell’ospedale. Nonostante risultasse in pianta organica, mai, in nessun caso e neanche per un giorno in quindici anni, Scumace risultava presente.

Solo qualcuno dei dipendenti, ascoltati dagli investigatori, ricordava “una persona molto distinta” che più o meno nel 2005 si è presentata senza preavviso nell’ufficio della responsabile del C.O.E.I. Ma di certo, si è scoperto poi dalle indagini, non era una visita di cortesia. Pesanti minacce, intimidazioni e promesse di nuocere a lei e ai suoi familiari. Questo è stato il biglietto da visita di Scumace, che ha convinto la funzionaria, estranea alle indagini, a soprassedere sulle segnalazioni disciplinari che aveva iniziato ad inviare. “Pressioni” che, quando la donna è andata in pensione, il recordman degli assenteisti non ha dovuto più fare.

L’operazione denominata “Mezzo servizio”, oltre a Scumace, residente a Botricello, nel Catanzarese, ha permesso di evidenziare anche il ruolo di Nino Critelli, (61 anni di Catanzaro), Vittorio Prejanò (57 anni, di Catanzaro), Maria Pia De Vito (68 anni di Montepaone), Domenico Canino (62 anni, di Catanzaro), Laura Fondacaro (52 anni, di Soverato) e Antonio Molé (53 anni, di Catanzaro).

A tutti è stato notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nell’ambito dell’inchiesta per assenteismo dei pubblici dipendenti. Le indagini, dirette dal sostituto procuratore Domenico Assumma, con il coordinamento del procuratore aggiunto Giancarlo Novelli e del procuratore della Repubblica Nicola Gratteri, hanno condotto all’iscrizione a vario titolo delle sette persone sul registro degli indagati in relazione ai delitti di abuso d’ufficio, falso ed estorsione aggravata.

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Arriva un lavoro per Rachid, l’uomo che da 4 mesi dormiva in macchina https://www.business.it/rachid-saiad-lavoro-senzatetto/ Thu, 08 Apr 2021 04:29:13 +0000 https://www.business.it/?p=76217 Senza lavoro, senza casa, senza speranze. Era questa la vita che conduceva ormai da tempo Rachid Saiad. L’uomo 43 anni di origine marocchina, ormai da 4 mesi dormiva in macchina, una Seat grigia che un amico gli aveva messo a disposizione perché ci dormisse dentro, dopo che lo aveva notato dormire su una panchina a… Leggi tutto »Arriva un lavoro per Rachid, l’uomo che da 4 mesi dormiva in macchina

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Senza lavoro, senza casa, senza speranze. Era questa la vita che conduceva ormai da tempo Rachid Saiad. L’uomo 43 anni di origine marocchina, ormai da 4 mesi dormiva in macchina, una Seat grigia che un amico gli aveva messo a disposizione perché ci dormisse dentro, dopo che lo aveva notato dormire su una panchina a fine novembre del 2020. Un gesto che gli ha risparmiato le durezze dell’inverno piemontese. Nello stesso periodo, come se non bastasse, Rachid si era visto recapitare anche un’altra brutta notizia. Sua moglie, che sta a Casablanca, gli aveva comunicato di aver avviato le carte per la separazione. Rachid pensava di aver toccato il fondo, e invece dopo mesi che quella Seat grigia giaceva in un parcheggio nella periferia di Torino, i Vigili Urbani del Comune di Torino hanno deciso di rimuoverla, lasciando l’uomo senza un tetto sopra la testa.

Rachid non ha avuto neanche il tempo di trovare posto alle buste di plastica in cui aveva conservato gli abiti che i cittadini del quartiere gli hanno regalato. Sabato 3 aprile, alla vigilia di Pasqua, Rachid era in lacrime e arrabbiato con tutti. In qualche modo quell’auto era l’unica cosa che aveva e vedersela portare via lo ha distrutto psicologicamente. Gli abitanti della zona fanno una colletta e raccolgono gli euro necessari a fargli passare nel vicino albergo almeno il week-end pasquale.

La sua triste storia ha destato molto interesse perché Rachid, non più tardi di 3 anni fa, ha salvato madre e figlia da morte certa, estraendole dalle lamiere dopo un incidente stradale nella zona di Ivrea, a nord di Torino. Toccato il fondo però non si può far altro che risalire, e così anche per lui finalmente si sono iniziate a muovere buone notizie. Un imprenditore del torinese, nel settore automotive, ha offerto un contratto a tempo indeterminato a Rachid, che comincerà a lavorare giovedì in una fabbrica della provincia, un lavoro adeguato alle sue possibilità fisiche, compromesse da un’ulcera e da una gamba offesa proprio nel salvataggio di 3 anni fa.

Inoltre il Comune di Torino, sollecitato per trovare una rapida soluzione al problema abitativo di Rachid, gli ha proposto un posto in un dormitorio comunale.

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Spagna, arriva la settimana lavorativa da 4 giorni: ecco come funziona https://www.business.it/spagna-settimana-lavoro-4-giorni/ Fri, 19 Mar 2021 19:19:51 +0000 https://www.business.it/?p=75668 Meno ore di lavoro ma più produttive. E’ questa la scommessa che sta facendo la Spagna nel mondo del lavoro. Il progetto, per ora soltanto in via sperimentale, prevede una settimana lavorativa più breve, di quattro giorni su sette, per un totale di 32 ore. Una vera e propria rivoluzione per tantissimi lavoratori, che si… Leggi tutto »Spagna, arriva la settimana lavorativa da 4 giorni: ecco come funziona

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Meno ore di lavoro ma più produttive. E’ questa la scommessa che sta facendo la Spagna nel mondo del lavoro. Il progetto, per ora soltanto in via sperimentale, prevede una settimana lavorativa più breve, di quattro giorni su sette, per un totale di 32 ore. Una vera e propria rivoluzione per tantissimi lavoratori, che si vedranno aumentare di un giorno il loro riposo settimanale. Al progetto sperimentale potranno aderire le aziende interessate. Al momento si tratta solo di un primo accordo, sulla base del quale si aprirà un tavolo per discutere le modalità e l’effettiva applicazione di questa sperimentazione. Intanto il governo di Madrid si è detto d’accordo con il progetto sperimentale lanciato da Mas Pais, un piccolo partito di sinistra, il quale ha annunciato che l’esecutivo spagnolo ha accettato di testare questa proposta.

“La Spagna è uno dei Paesi in cui si lavorano più ore rispetto alla media europea. Ma non tra i più produttivi. Lavorare più ore non vuol dire lavorare meglio”, ha affermato Inigo Errejon, di Mas Pais, spiegando il perché di questa rivoluzionaria idea. Il programma dovrà essere stilato con il governo, con la partecipazione anche di esperti provenienti da sindacati e aziende. Agli stessi esperti spetterà l’analisi dei risultati di questo test. Mas Pais ha proposto, nello specifico, una sperimentazione di tre anni per le aziende, con lo scopo di ridurre gli orari. Il governo dovrebbe stanziare 50 milioni di euro, con l’idea di coprire i maggiori costi per le aziende al 100% nel primo di sperimentazione, al 50% nel secondo e al 33% nel terzo.
Più tempo libero, più possibilità di spendere.

Tra gli obbiettivi della rivoluzionaria settimana lavorativa, ci sono più qualità della vita e più Pil. Ma la proposta ha anche altri scopi, come quello di ridurre l’inquinamento e di riqualificare la forza lavoro, attraverso gli aggiornamenti, per esempio sull’uso delle tecnologie, nel tempo libero. I vantaggi, secondo i proponenti, sarebbero per tutto il sistema, attraverso un aumento della produttività, ovvero quello che viene considerato il vero problema del lavoro in Spagna.

Secondo le previsioni di Mas Pais potrebbero partecipare circa 200 aziende, ovvero tra i 3mila e i 6mila lavoratori. L’obiettivo, ovviamente, è far lavorare meno ma senza una perdita in busta paga, quindi a salario invariato. La speranza è che l’iniziativa parta, in via sperimentale, già in autunno. Ma la proposta non piace a tutti, con le associazioni delle imprese che la definiscono una “follia” in un periodo di crisi economica come quello attuale: “Per uscire dalla crisi serve più lavoro, non meno”.

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Mondo Convenienza, la denuncia: “Noi facchini sfruttati come animali” https://www.business.it/mondo-convenienza-denuncia-facchini/ Thu, 18 Mar 2021 05:33:37 +0000 https://www.business.it/?p=75591 Turni massacranti, senza pause nemmeno per un pranzo veloce. E’ la vita massacrante che sono stati costretti a sopportare per molti anni Mirel, Vasile e Gheorghe, prima di trovare il coraggio di mollare il lavoro e denunciare per sfruttamento la cooperativa TSL Service, per conto della quale facevano consegne e montaggi di mobili di Mondo… Leggi tutto »Mondo Convenienza, la denuncia: “Noi facchini sfruttati come animali”

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Turni massacranti, senza pause nemmeno per un pranzo veloce. E’ la vita massacrante che sono stati costretti a sopportare per molti anni Mirel, Vasile e Gheorghe, prima di trovare il coraggio di mollare il lavoro e denunciare per sfruttamento la cooperativa TSL Service, per conto della quale facevano consegne e montaggi di mobili di Mondo Convenienza. I tre ex-facchini hanno raccontato a Fanpage.it le condizioni di lavoro pesanti a cui erano sottoposti: “Si comincia la mattina alle 6 meno 10, per andare a caricare la merce da consegnare – ha iniziato a spiegare Vasile – e non sono mai più meno di 10 ore al giorno. Se finisci prima ti capita di andare a recuperare quelli che non ce l’hanno fatta. Se non riesci a fare tutte le consegne il giorno dopo è peggio, fino a quando non te ne vai”.

Dalle sei del mattino, fino alle 22 e 30, anche sette giorni su sette, a seconda dei periodi. Fino a quando lo stress e la fatica fisica, non li hanno fatti desistere. “Se provi a chiedere i tuoi diritti – ha proseguito poi l’ex dipendente Mirel – ti indicano la porta e ti dicono che ce ne sono altri 20 come te che aspettano di rientrare. Io sono finito in depressione, non riuscivo più a vedere svegli i miei figli: uscivo la mattina che dormivano e rientravo alle 10 di sera che dormivano di nuovo”.

“Come ho fatto a resistere 7 anni? – ha affermato Gheorghe ripensando a quel periodo con Mondo Convenienza – perché ho una moglie malata e 3 figli piccoli. Se fossi da solo sarebbe un altro discorso, ma quando hai famiglia stringi i denti e ti auguri che il domani possa essere migliore, fino a quando non molli perché non ce la fai più”.

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Maternità, “Io incinta di 7 mesi ho firmato il contratto di lavoro” https://www.business.it/maternita-alice-pignagnoli-lavoro/ Fri, 12 Mar 2021 04:56:30 +0000 https://www.business.it/?p=75332 Maternità e lavoro non sempre riescono ancora a coincidere in Italia, specialmente nel mondo dello sport in cui le tipologie di contratto non sempre coincidono tra le esigenze delle future mamme e quelle delle società sportive. Per fortuna oltre alle testimonianze negative di donne che si sono viste togliere il lavoro a causa della gravidanza,… Leggi tutto »Maternità, “Io incinta di 7 mesi ho firmato il contratto di lavoro”

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Maternità e lavoro non sempre riescono ancora a coincidere in Italia, specialmente nel mondo dello sport in cui le tipologie di contratto non sempre coincidono tra le esigenze delle future mamme e quelle delle società sportive. Per fortuna oltre alle testimonianze negative di donne che si sono viste togliere il lavoro a causa della gravidanza, arrivano anche le storie di chi è riuscita a far vale i proprio diritti di madre lavoratrice. Dopo il caso di Lara Lugli, la calciatrice reggiana Alice Pignagnoli, ha raccontato alla Gazzetta di Reggio Emilia la sua esperienza totalmente opposta a quella della Lugli. Infatti incinta di sette mesi, l’estate scorsa la società di Serie B riconfermò ad Alice il contratto.

“Scoprii di essere incinta di sei settimane – ha ricordato Alice – smettere temporaneamente di giocare, per me che mi allenavo tutti i giorni, è stato uno shock. La prassi in quel periodo per le calciatrici prevedeva una risoluzione consensuale del contratto. Mi sono trovata con una bambina nella pancia e senza avere un guadagno”. Come ha sottolineato Alice, diversamente da quello che è accaduto alla Lugli, la società ha però decise di tenere la calciatrice reggiana, addirittura rimborsando le trasferte e coinvolgendola a partecipare alla vita della squadra. “Per me è stato un gesto fondamentale. Hanno riconosciuto il valore umano della persona”, ha affermato Alice.

Alice poi rivolge un pensiero di conforto per la collega sportiva, che è stata meno fortunata di lei: “Leggendo quanto successo a Lara Lugli sono rimasta molto amareggiata nel sapere che in uno sport come la pallavolo, dove il movimento femminile è di spicco, siamo ancora fermi a questo punto – ha affermato la calciatrice e portiere del Cesena Calcio femminile -. Le lotte non sono mai abbastanza. C’è ancora molto da fare”. Cento giorni dopo aver dato alla luce la piccola Eva, Alice è tornata a giocare ad alti livelli nella sua squadra, che l’ha riaccolta a braccia aperte: “Io rispetto a lei sono stata più fortunata. Nel calcio grazie al lavoro dell’AIC e di associazioni come Assist, da un paio d’anni abbiamo un fondo per la maternità e proprio dopo il mio caso nei contratti è stato inserito che se resti incinta questo non perde validità”.

La storia di Alice segna dunque una tappa fondamentale verso la parità di diritti tra atleti uomini e donne. “Fa ridere pensare che nel 2021 ci sia ancora questa differenza tra uomini e donne – ha affermato ancora la calciatrice -. Vorrei che la mia vicenda rappresentasse per le donne, ma anche per le società sportive, un esempio positivo”, ha concluso la calciatrice.

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Maternità negata: “Io, incinta lasciata a casa e citata per danni dalla società” https://www.business.it/lara-lugli-maternita-negata/ Thu, 11 Mar 2021 05:02:54 +0000 https://www.business.it/?p=75276 Si parla frequentemente di calo del tasso della natalità in Italia, che in materia vede il Bel paese tra i quadri più negativi in Europa. Ma quanti aiuti concreti dà lo Stato alle donne che vanno in maternità e devono preservare il loro posto di lavoro? Il caso di Lara Lugli è solo l’ennesimo delle… Leggi tutto »Maternità negata: “Io, incinta lasciata a casa e citata per danni dalla società”

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Si parla frequentemente di calo del tasso della natalità in Italia, che in materia vede il Bel paese tra i quadri più negativi in Europa. Ma quanti aiuti concreti dà lo Stato alle donne che vanno in maternità e devono preservare il loro posto di lavoro? Il caso di Lara Lugli è solo l’ennesimo delle tante discriminazioni nel mondo del lavoro in rosa nel quale è sempre più frequente constatare che, per una donna avere un bambino diventa un “lusso” che non si sempre si possono permettere. “Restare incinta è considerata una mancanza di professionalità. Come aver assunto cocaina e risultare poi positiva all’antidoping”. A parlare in un intervista con Repubblica è Lara Lugli, pallavolista classe 1980 che marzo 2019 ha comunicato al suo club, il Volley Pordenone, l’impossibilità di proseguire la stagione perché rimasta incinta.

Una maternità che per la società sportiva sembra quasi essere equiparata a un tradimento. La vicenda di Lara è purtroppo comune a tante altre donne che desiderano avere un figlio, e porta alla luce le storture di un mondo del lavoro (in questo caso quello dello sport dilettantistico al femminile), in cui “restare incinta è considerata una mancanza di professionalità. Come aver assunto cocaina e risultare poi positiva all’antidoping”. A distanza di un mese però, Lara ha perso il bambino. E qualche tempo dopo ha chiesto il pagamento dell’ultima mensilità precedente alla scoperta della gravidanza, quella di febbraio. Alla Lugli però è giunta una citazione per danni.

L’accusa è di non aver onorato il suo contratto, di non avere palesato l’intenzione di avere figli e di non aver completato il campionato. “In questi casi, interrompono il contratto. È proprio scritto così, è la prassi, per noi di Serie B1 ma anche per le categorie superiori – ha spigato Lara -. Siamo dilettanti e non abbiamo tutele, nessuno strumento giuridico in mano. Se ti infortuni, e dipende anche dalla gravità dell’infortunio, il contratto viene onorato. Se annunci di aspettare un bambino, un minuto dopo c’è la rescissione”.

L’accusa ufficiale da parte della società è quella “di aver venduto la sua età per avere un contratto più alto e di aver mentito sulla sua intenzione di avere figli. E di aver perso, a causa della sua assenza, posizioni in classifica e di conseguenza sponsor per l’anno successivo”, ha scritto Repubblica. In merito alla sua maternità, la pallavolista ha affermato: “La gravidanza non è stata cercata, ma anche se lo fosse stata, ciò non avrebbe fatto alcuna differenza”.

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Ruba pane destinato al macero: “Io licenziato per sfamare la mia famiglia” https://www.business.it/ruba-pane-destinato-al-macero/ Thu, 21 Jan 2021 07:46:28 +0000 https://www.business.it/?p=73467 Licenziato per un pezzo di pane: con un post su Facebook dell’associazione dei lavoratori Flai Cgil, il sindacato ha denunciato la vicenda che è accaduta in un forno artigianale di Roma. Un dipendente è stato licenziato per aver preso due pagnotte di pane destinate al macero, all’interno del forno per il quale lavorava. L’uomo spinto… Leggi tutto »Ruba pane destinato al macero: “Io licenziato per sfamare la mia famiglia”

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Licenziato per un pezzo di pane: con un post su Facebook dell’associazione dei lavoratori Flai Cgil, il sindacato ha denunciato la vicenda che è accaduta in un forno artigianale di Roma. Un dipendente è stato licenziato per aver preso due pagnotte di pane destinate al macero, all’interno del forno per il quale lavorava. L’uomo spinto da necessità di sfamare la sua famiglia, non ha voluto sprecarlo e lo ha portato a casa per mangiarlo. Il gesto però non è passato inosservato all’ex amministratore dell’azienda, che ha segnalato l’accaduto ed è stato licenziato in tronco, senza che gli fossero chieste spiegazioni. Nello specifico, il pane sottratto dal lavoratore sarebbe di fatto rimasto invenduto e buttato via, perché non rispettava i requisiti richiesti per la vendita al cliente.“La grave vicenda è accaduta in un’azienda già condannata per condotta antisindacale per aver, negli ultimi anni, discriminato, intimidito e licenziato i lavoratori iscritti alla Flai Cgil – si legge in una nota pubblicata dal sindacato e dal segretario generale di Roma e del Lazio Giuseppe Cappucci – Colui che ha segnalato il furto è l’ex amministratore dell’azienda, è lo stesso che nella registrazione di un colloquio con i lavoratori extracomunitari si era definito fascista, ribadendo la sua avversione nei confronti del sindacato, con le seguenti frasi: “Tu magnavi le cavallette e oggi stai qua”, “con i comunisti non voglio avere niente a che fare, con la feccia non mi sporco”. La Flai Cgil ha inoltre reso noto di aver “già vinto una causa nei confronti dell’azienda, ora sta avviando una nuova causa. Dalla parte dei lavoratori, contro questi atteggiamenti fascisti, contro le discriminazioni e lo sfruttamento”.
Sul caso è intervenuto anche il portavoce nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, che presenterà un’interrogazione parlamentare al ministro del Lavoro: “Queste persone e questa mentalità vanno combattute con forza, sempre e in ogni dove. Il sindacato ha annunciato che avvierà una nuova causa. Noi siamo con loro”.
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Il coraggio di Fabrizia: “Sfido cancro e pandemia aprendo un’erboristeria sotto casa” https://www.business.it/fabrizia-sfido-cancro-e-pandemia/ Sat, 16 Jan 2021 08:28:54 +0000 https://www.business.it/?p=73343 In un momento cupo come questo in Italia e nel Mondo, c’è anche qualcuno che riesce a riportare una ventata di ottimismo e tanta voglia di andare avanti: mentre la pandemia mette l’economia in ginocchio e gli esercizi chiudono, Fabrizia del Balzo, 44 anni di Veglie (nel Leccese), ha realizzato a novembre il suo sogno:… Leggi tutto »Il coraggio di Fabrizia: “Sfido cancro e pandemia aprendo un’erboristeria sotto casa”

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In un momento cupo come questo in Italia e nel Mondo, c’è anche qualcuno che riesce a riportare una ventata di ottimismo e tanta voglia di andare avanti: mentre la pandemia mette l’economia in ginocchio e gli esercizi chiudono, Fabrizia del Balzo, 44 anni di Veglie (nel Leccese), ha realizzato a novembre il suo sogno: aprire un punto vendita sotto casa, a una rampa di scale dalla sala pranzo, per ovviare alle difficoltà di mettersi alla guida per raggiungere l’altro punto vendita in un comune vicino. Un racconto tutto al contrario rispetto alla norma tutt’altro che normale di questo periodo storico assurdo e confuso. Fabrizia però ha avuto il coraggio di scommettere sulla sua voglia di vivere, aprendo la sua erboristeria alla faccia del cancro e della pandemia. Già perché lei da qualche tempo, ha un faccia a faccia senza colpo ferire con un cancro malvagio come pochi: “Vado avanti per mia figlia”, ha detto la donna a Repubblica.Titolare della storica farmacia del paese con sede proprio dove oggi c’è l’erboristeria di Fabrizia, lei ha rilanciato, raddoppiato e vinto. Al punto che le scorte di prodotti per i saldi sono già finite ed è stato necessario fare in fretta e furia un nuovo ordine. Fuori dal negozio c’è la fila. Destreggiandosi tra attività e malattia, nel battere e levare di visite mediche e prelievi e attese che il telefono squilli, sistema ghirlande e mescola infusi, Fabrizia non perde mai la speranza e il sorriso.Il presente per lei è ricordi e obiettivi. Che fino ad ora hanno fatto molto più degli innumerevoli cicli di chemio, dandole una capacità di reazione fuori dal comune anche per i medici che l’hanno avuta in cura. La storia di Fabrizia può essere un esempio per tanti altri che ancora non hanno trovato la loro strada nell’oscurità.Ti potrebbe interessare anche: L’ultimo gesto di Angelo prima di morire: “Dono 50 mila euro per gli anziani del paese”

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No disabili al lavoro nel Lazio: “Ho due lauree, ma da 12 anni ancora senza impiego” https://www.business.it/no-disabili-al-lavoro-nel-lazio/ Sat, 16 Jan 2021 08:00:40 +0000 https://www.business.it/?p=73335 E’ dal 2009 che Vincenzo di Matteo è iscritto all’ufficio di collocamento ma nonostante le sue due lauree, non è ancora riuscito a trovare un lavoro. Il motivo, per Vincenzo, è legato alla sua disabilità. Dottore in scienze della comunicazione e come educatore, a suo tempo Vincenzo aveva pensato di puntare su ben due titoli… Leggi tutto »No disabili al lavoro nel Lazio: “Ho due lauree, ma da 12 anni ancora senza impiego”

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E’ dal 2009 che Vincenzo di Matteo è iscritto all’ufficio di collocamento ma nonostante le sue due lauree, non è ancora riuscito a trovare un lavoro. Il motivo, per Vincenzo, è legato alla sua disabilità. Dottore in scienze della comunicazione e come educatore, a suo tempo Vincenzo aveva pensato di puntare su ben due titoli di studio nel che se non fosse riuscito a trovare lavoro in un ambito, almeno avrebbe avuto la possibilità di tentare sull’altra professione. Un modo di tenersi aperte diverse strade e non lasciare nulla al caso. Ma le sue due lauree non hanno dato i risultati sperato da Vincenzo: “Ho una disabilità fisica evidente – ha spiegato l’uomo a Fanpage.it – Ho un solo rene che potrebbe cedere da un momento all’altro, oppure andare avanti fino a che non muoio. Le cose non hanno mai funzionato, non c’è mai stata una politica che abbia tutelato i disabili. Non è colpa della pandemia, come molti dicono ora, è sempre stato così”.Anche la testimonianza della Cgil Roma e Lazio, raccolta da Fanpage.it, sembrerebbe confermare le parole di Vincenzo: “A dicembre è uscito il bando della Regione Lazio per l’avviamento al lavoro delle persone con disabilità – ha denunciato la Cgil Roma e Lazio – ma prevede solo 79 posti di lavoro, nel Lazio sono 103mila le persone disabili iscritte al collocamento”. Dunque un progetto necessario ma che, secondo la Cgil, basta a coprire una piccolissima parte di futuri lavoratori disabili attualmente senza occupazione.“La situazione lavorativa delle persone con disabilità è drammatica – ha dichiarato Fiorella Puglia, della Cgil politiche disabilità Roma e Lazio – Perché è un sogno a cui non potranno mai arrivare, anche se poi il lavoro sarebbe la risposta giusta all’obiettivo dell’inclusione vera. Il 15 dicembre è uscito l’avviso pubblico della Regione Lazio per l’avviamento al lavoro dei disabili: è uscito a due anni di distanza dall’ultimo e prevede solo 79 posti in tutta la regione. È un numero bassissimo, inesistente nella realtà. È il 0,7% del numero delle persone iscritte al collocamento. Non esistono politiche di occupazione per le persone con disabilità e si potrebbero fare moltissime cose”.
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Svolta diritti del lavoro in Cina: più ferie obbligatorie per tutti https://www.business.it/svolta-diritti-del-lavoro-in-cina-ferie/ Fri, 13 Nov 2020 20:46:09 +0000 https://www.business.it/?p=71570 Più ferie per tutti dalla capitale hi-tech della Cina. Shenzhen è stata sempre un modello per il Paese asiatico. Dopo essere stata la prima città a introdurre l’economia di mercato, inaugurando l’era dello sviluppo travolgente e forsennato che ha cambiato volto al Paese, adesso la metropoli del Sud vuole sperimentare un modo di lavorare più… Leggi tutto »Svolta diritti del lavoro in Cina: più ferie obbligatorie per tutti

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Più ferie per tutti dalla capitale hi-tech della Cina. Shenzhen è stata sempre un modello per il Paese asiatico. Dopo essere stata la prima città a introdurre l’economia di mercato, inaugurando l’era dello sviluppo travolgente e forsennato che ha cambiato volto al Paese, adesso la metropoli del Sud vuole sperimentare un modo di lavorare più sano. Per contrastare il fenomeno del burnout, l’esaurimento psico-fisico da eccesso di lavoro, dal 2021 si dovrà “applicare rigorosamente” la norma sulle ferie retribuite: lo ha stabilito il regolamento recentemente approvato dal comitato cittadino per il lavoro.Vacanze obbligatorie
Il periodo di ferie obbligatorie in Cina varia attorno ai 5 giorni dopo un anno di lavoro. E per quanto sia previsto dalla legge, si tratta di un obbligo spesso disatteso. In particolare, nel settore tecnologico vige la mentalità del cosiddetto “996”, ovvero: lavorare dalle 9 del mattino alle 9 della sera per 6 giorni la settimana. Infatti la cultura del lavoro in molte aziende cinesi, anche quelle più avanzate, è spesso di stampo militare, con i dipendenti che a volte decidono di dormire su brandine improvvisate a fianco alla scrivania.
Dunque si tratta della prima disposizione di questo tipo in Cina. La proposta viene paradossalmente dalla città cinese più “workaholic”, letteralmente dipendente dal lavoro. Shenzhen, capitale hi-tech del Paese, sede di colossi come Huawei, Tencent e DJI (leader globale nei droni), è una metropoli conosciuta per i suoi ritmi di lavoro massacranti. Il provvedimento però non specifica quanti debbano essere i giorni di ferie pagate. Introduce però il diritto dei dipendenti a momenti di “tempo libero” in occasione del Capodanno lunare e delle Settimane di vacanza nazionale di ottobre.
In Rete molti utenti hanno accolto con favore la novità ma espresso anche scetticismo sul fatto che le imprese si adegueranno. Senza contare che spesso sono gli stessi dipendenti, il cui stipendio è legato a indicatori di produttività tutti quantitativi, al limite del cottimo, a non voler staccarsi dal lavoro.

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La Lega attacca ancora il governo: “Italia fondata sul lavoro e quindi non sulla salute” https://www.business.it/la-lega-attacca-ancora-il-governo-italia-fondata-sul-lavoro-e-non-sulla-salute/ Mon, 02 Nov 2020 16:27:00 +0000 https://www.business.it/?p=71146 Non è servito a molto, l’appello alla collaborazione lanciato da Giuseppe Conte alla Camera in occasione della presentazione del nuovo Dpcm. Anzi. Il dibattito tra deputati che si è scatenato poco dopo è stato l’ennesima dimostrazione di come, soprattutto sull’asse Meloni-Salvini, l’opposizione da quell’orecchio non voglia sentire: “Ci chiedete di collaborare e noi l’avremmo voluto in… Leggi tutto »La Lega attacca ancora il governo: “Italia fondata sul lavoro e quindi non sulla salute”

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Non è servito a molto, l’appello alla collaborazione lanciato da Giuseppe Conte alla Camera in occasione della presentazione del nuovo Dpcm. Anzi. Il dibattito tra deputati che si è scatenato poco dopo è stato l’ennesima dimostrazione di come, soprattutto sull’asse Meloni-Salvini, l’opposizione da quell’orecchio non voglia sentire: “Ci chiedete di collaborare e noi l’avremmo voluto in questi mesi – ha attaccato Edmondo Cirielli di Fratelli d’Italia – ma avete respinto i nostri duemila emendamenti”.“Questo è un disastro sanitario e non possiamo dimenticare otto mesi di fallimenti da parte del governo – ha continuato il deputato – Non è con un vergognoso scarica barile sui cittadini che le cose possono cambiare”. “Non siamo stati noi a chiedere i pieni poteri, noi abbiamo votato al buio come opposizione i deficit di bilancio, ma quale maggioranza li può spendere per il bonus monopattino e per la sanatoria degli immigrati” gli ha fatto eco Andrea Delmastro Delle Vedove, deputato di Fdi.“Come si permette di fare scalette dei diritti costituzionali, e se fosse il diritto al lavoro è al 4, quello alla salute al 32” ha attaccato Claudio Borghi, della Lega, riferendosi agli articoli della Costituzione. “Il primo dice che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro e non sulla salute o i dpcm”.È necessario che “il comitato tecnico scientifico informi in tempo reale le commissioni sanità del parlamento e che il presidente del Consiglio la smetta con i dpcm con cui si è arrogato la sovranità totale” ha continuato il deputato leghista. “Siete incapaci di gestire la seconda ondata di virus, andate a casa” ha insistito il suo collega di partito Paolo Tiramani.

Di Maio vuole un patto col Pd per Roma. Ma prima deve silurare Virginia Raggi

 

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Salario minimo da record: 3.800 euro mensili per chi lavora a Ginevra https://www.business.it/salario-minimo-record-lavoro-ginevra/ Thu, 01 Oct 2020 20:10:15 +0000 https://www.business.it/?p=69955 Il salario minimo più alto al Mondo si trova in Svizzera. Dopo un recente referendum in merito, il Canton di Ginevra ha deliberato di istituire una paga minima per i suoi lavoratori da 3.800 euro al mese, segnando così per i dipendenti svizzeri una paga oraria fissata a poco meno di 21,5 euro l’ora, più… Leggi tutto »Salario minimo da record: 3.800 euro mensili per chi lavora a Ginevra

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Il salario minimo più alto al Mondo si trova in Svizzera. Dopo un recente referendum in merito, il Canton di Ginevra ha deliberato di istituire una paga minima per i suoi lavoratori da 3.800 euro al mese, segnando così per i dipendenti svizzeri una paga oraria fissata a poco meno di 21,5 euro l’ora, più del doppio della tariffa nella vicina Francia. Non si creda però che l’esito della votazione fosse scontato: già precedentemente, nel 2011 e nel 2014, i cittadini del cantone svizzero erano stati chiamati a votare sulla questione: entrambe le volte aveva vinto il “no”. Secondo il quotidiano locale the Guardian, le cose sembrerebbero essersi modificate a causa della crisi economica generata dalla pandemia da coronavirus, vissuta con molte difficoltà economiche da molti cittadini svizzeri.
In un intervista, una donna ha dichiarato infatti che: “Negli ultimi tempi abbiamo visto file di persone che aspettavano per chiedere cibo e questo per molti è stato uno shock”, confermando le difficoltà di molte famiglie elvetiche, costrette a far quadrare il bilancio in un territorio con un costo della vita molto elevato. Anche Michel Charat, presidente dell’associazione transfrontalieri, conferma quanto detto: “Spesso gli affitti si aggirano sui 1800 – duemila euro al mese. Poi c’è il costo delle assicurazioni, soprattutto quella sanitaria. Questo manda in crisi molte famiglie che non riescono a pagare il conto delle cure ospedaliere”.
Il salario minimo in Europa
Rispetto ai salari minimi europei quello imposto nel cantone di Ginevra è sicuramente il più alto in assoluto. In Lussemburgo si arriva a 2.142 euro, in Irlanda e Olanda si scende a 1600. Mentre all’estremità opposta abbiamo la Bulgaria con 312 euro, senza contare i Paesi che non hanno un salario minimo, fra cui Danimarca e Italia.
Ginevra, meta turistica e d’affari, è una delle città più care al mondo. Il Covid-19 ha colpito il suo tessuto economico, vedendo crescere le code di cittadini fuori dai banchi alimentari.

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L’allarme di Blangiardo: “ Lo smartworking un’opportunità che rischia di penalizzare le donne” https://www.business.it/blangiardo-smartworking-penalizza-donne/ Wed, 19 Aug 2020 20:47:59 +0000 https://www.business.it/?p=68519 La pandemia è riuscita a rivoluzionare e riorganizzare i tempi del lavoro, e consentire a sempre più lavoratori di operare in modalità smartworking. Ma come sta cambiando il mondo del lavoro nell’era post-covid? Al meeting di Rimini, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha offerto un quadro generale dettagliato che riassume le caratteristiche quantitative e… Leggi tutto »L’allarme di Blangiardo: “ Lo smartworking un’opportunità che rischia di penalizzare le donne”

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La pandemia è riuscita a rivoluzionare e riorganizzare i tempi del lavoro, e consentire a sempre più lavoratori di operare in modalità smartworking. Ma come sta cambiando il mondo del lavoro nell’era post-covid? Al meeting di Rimini, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha offerto un quadro generale dettagliato che riassume le caratteristiche quantitative e qualitative del cambiamento in atto, sottolineando il rischio per le donne che lavorano in smartworking: “Dopo il lockdown, pur con una parziale ripresa degli occupati, quel che preoccupa è il fatto che abbiamo visto aumentare il numero di coloro che non si offrono sul mercato del lavoro, le persone che sono scoraggiate e dicono in fondo, tanto non ci sono opportunità”.La rapida evoluzione dello smartworking
“La flessibilità è stata uno dei punti di riferimento di prima, poi è nato il discorso della distanza. Nel nostro istituto abbiamo avuto un’esperienza diretta. Siamo partiti prima del coronavirus con il lavoro in remoto, dando la possibilità di fare smartworking ai nostri lavoratori. Quello che era un esperimento è diventato una necessità. Tutti hanno lavorato a distanza garantendo la programmazione che avevamo pensato, anzi portando a casa dei risultati assolutamente interessanti”. Per quanto riguarda il quadro generale del mercato del lavoro a giugno 2020 i dati descrivono un andamento che conferma una tendenza alla flessione dei livelli di occupazione, seppure a tassi via via più contenuti, un recupero delle ore lavorare pro-capite e un progressivo ampliamento dell’aerea delle persone in cerca di lavoro. Tuttavia, sottolinea Blangiardo: “Il vero problema è lo scoraggiamento: ci troviamo ad avere il tasso di occupazione che diminuisce perché ci sono i soggetti che non si offrono perché non ne vale la pena”.Le donne la categoria più a rischio
“Prendiamo una signora con tre figli: per quella donna, andare a lavorare era un’occasione per uscire da un certo ambiente e sviluppare elementi di socialità, il lavoro era occasione per interagire con altre persone, e un lavoro a distanza non dà questa possibilità”. Insomma, come sempre c’è un rovescio della medaglia”, ha sottolineato il presidente Istat. Insomma in una situazione lavorativa già incerta dobbiamo interrogarci su i pro e contro di questa nuova modalità smart: i lati positivi percepiti sono senz’altro l’autonomia sui contenuti e le modalità di lavoro (per il 60,3%) e una maggiore attenzione alla famiglia e all’ambiente (52%). I lati negativi la scarsa abilità digitale (39%) e la iper-flessibilità anche fuori dagli orari di lavoro (il 40% è stato contattato fuori dell’ orario di lavoro almeno 3 volte da superiori o colleghi).Un altro pericolo comunemente percepito è la diminuzione del rapporto umano. Come conclude Blangiardo: “Il lavoro a distanza è un’opportunità, modesta prima della pandemia e che ora si è scoperta e si vorrebbe valorizzare in prospettiva. Ha elementi positivi ma anche problematici. Non dimentichiamo che il lavoro è anche un modo per interagire con altre persone. Abbiamo avuto una lezione e subita la botta stiamo cercando di reagire. Qualche segnale positivo c’è, va trasformato in qualcosa di strutturale per tornare alla situazione precedente e dobbiamo trovare una soluzione equilibrata per cercare di sfruttare questa possibilità, la strada è ancora lunga ma abbiamo una via da percorrere da adattare alle esigenze dei mestieri e dei lavoratori”.

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Lavorare a Milano vivendo a Palermo, la storia di Elena: “Stando vicino ai miei affetti, mi sento più motivata” https://www.business.it/lavorare-smart-working-affetti/ Mon, 20 Jul 2020 16:38:20 +0000 https://www.business.it/?p=67469 Lavorare al Nord, in condizioni economiche più favorevoli, vivendo al Sud. Con la pandemia da coronavirus e il distanziamento sociale, la possibilità di lavorare da remoto sta diventando una modalità sempre più fondamentale. Ma perché non praticare lo smart working in un luogo diverso da quello di residenza, magari in un posto rilassante o più… Leggi tutto »Lavorare a Milano vivendo a Palermo, la storia di Elena: “Stando vicino ai miei affetti, mi sento più motivata”

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Lavorare al Nord, in condizioni economiche più favorevoli, vivendo al Sud. Con la pandemia da coronavirus e il distanziamento sociale, la possibilità di lavorare da remoto sta diventando una modalità sempre più fondamentale. Ma perché non praticare lo smart working in un luogo diverso da quello di residenza, magari in un posto rilassante o più vicino agli affetti? Pensando a queste dinamiche, ad Elena Militello è venuta un’idea che potrebbe cambiare sensibilmente l’Italia se avesse successo. La donna in questione ha 27 anni, ed è una ricercatrice siciliana con un contratto con l’università del Lussemburgo ma una nuova “sede” di lavoro, la sua Sicilia. “Mi sento più motivata e concentrata, rendo meglio al lavoro. Perché noi giovani non possiamo rimanere qui lavorando con aziende all’estero o al Nord Italia?” Da qui nasce l’idea del “south working”, ovvero la possibilità di lavorare agilmente dal sud Italia. “Ho deciso di restare in Sicilia, non tornerò più né a Milano né in Lussemburgo, anche se entrambe mi hanno dato tanto – ha detto Elena a Open -. Si può lavorare bene anche da qui, dalla mia terra, non è necessaria la presenza in ufficio e poi, stando vicino ai miei affetti, mi sento più motivata, più concentrata e quindi rendo meglio. Insomma, dallo smart working al south working”.Cos’è il “South working”
Elena Militello è dunque la fondatrice del “South Working – Lavorare dal Sud”, un progetto che si pone l’obiettivo di incentivare le aziende italiane ed estere a non costringere i propri dipendenti ad andare in ufficio. Si può lavorare benissimo anche a distanza, anche dal Sud, anche dalle isole. Elena, ad esempio, ha lasciato la sua Sicilia quando aveva appena 17 anni: è andata a studiare Giurisprudenza alla Bocconi di Milano, ha ultimato la pratica forense, si è aggiudicata il dottorato di ricerca tra Como, Stati Uniti e Lussemburgo e infine è stata chiamata in Lussemburgo per un contratto di ricerca in scadenza a fine mese. Il suo cuore, la sua mente, il suo futuro, però, sono sempre rimasti in Sicilia nonostante manchino infrastrutture e investimenti.
Resto in Sicilia
Intanto, a causa del Coronavirus, è stata costretta a rientrare a casa: dal Lussemburgo a Palermo. In quel momento ha capito che non sarebbe più ripartita: “Non tornerò all’estero, ho deciso di restare qui. È un desiderio che covavo da anni, non ho visto crescere nemmeno il mio fratellino. Avevo bisogno del contatto dei miei familiari, dei miei amici. E così rendo ancora meglio sul lavoro. Non è vero, dunque, che cala la produttività, bastano un pc e una connessione a internet”.Il progetto a cui lavorano 10 persone, in gran parte aderenti all’associazione Global Shapers (legata al World Economic Forum), intende rafforzare gli spazi di coworking, così da evitare l’effetto grotta. Inoltre viene chiesto alle aziende, laddove possibile, di permettere ai propri lavoratori di non spostarsi da una città all’altra senza motivo, privandoli dei loro affetti più cari. Magari per andarsi a rinchiudere in piccole stanze, di pochi metri quadrati, costosissime e a migliaia di chilometri di distanza dalla propria famiglia.

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Dimissioni dal lavoro in aumento per i neo-genitori: in 7 casi su 10 sono madri https://www.business.it/dimissioni-lavoro-neo-genitori/ Wed, 24 Jun 2020 19:40:50 +0000 https://www.business.it/?p=66371 La nascita di un figlio è sempre una grande gioia per un neo-genitore, ma occuparsi di una nuova vita richiede grandi sacrifici che non sempre si riescono a conciliare con il lavoro. Solo nel 2019, sono stati circa 51mila i neo-genitori sono stati costretti a dimettersi dal posto di lavoro, e in 7 casi su… Leggi tutto »Dimissioni dal lavoro in aumento per i neo-genitori: in 7 casi su 10 sono madri

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La nascita di un figlio è sempre una grande gioia per un neo-genitore, ma occuparsi di una nuova vita richiede grandi sacrifici che non sempre si riescono a conciliare con il lavoro. Solo nel 2019, sono stati circa 51mila i neo-genitori sono stati costretti a dimettersi dal posto di lavoro, e in 7 casi su dieci a lasciare l’impiego sono state donne. Il difficile quadro è emerso dagli ultimi dati diffusi dall’Ispettorato del Lavoro (Inl) che ogni 12 mesi aggiorna le informazioni sulle convalide di dimissioni e risoluzioni consensuali di madri e padri. Secondo l’indagine, sono state 37.611 le lavoratrici neo-mamme che si sono dimesse nel corso del 2019, mentre i padri che hanno lasciato il posto sono stati 13.947.L’istituto infatti è chiamato a dare il proprio via libera alle domande di dimissioni presentate dai lavoratori per verificare che non ci siano irregolarità, ad esempio che la presunta volontarietà mascheri un obbligo imposto dal datore di lavoro. Nei casi riportati c’è quindi il bollino dell’Inl che ha convalidato il provvedimento in questione, sentendo i lavoratori, con figli sotto i tre anni, e informandoli sui loro diritti di lavoratrici madri o lavoratori padri. L’istituto tiene il conteggio di tutte le dimissioni perché dà il via libera alle domande presentate per poter verificare che non ci siano irregolarità e che, per esempio, non si tratti di dimissioni che servono a celare l’obbligo imposto dal datore di lavoro.L’ispettorato del lavoro avvia quindi una procedura con cui informa i lavoratori con figli al di sotto dei tre anni sui loro diritti come genitori lavoratori. E tiene poi il conto dei casi registrati. Che sono quasi sempre – in circa 49mila casi – dimissioni volontarie. Ma rimane un problema che riguarda soprattutto le donne, ovvero la difficoltà di conciliare l’occupazione con l’esigenza della cura dei figli: motivazione indicata in 21mila casi. Peraltro questa motivazione viene indicata soprattutto nei casi in cui non ci siano nonni o altri parenti a poter prendersi cura dei bambini, oppure per i costi eccessivi degli asili nido o dei servizi di baby-sitting.In altri 20mila casi, invece, le motivazioni sono fortunatamente ben diverse: si tratta di dimissioni legate al passaggio a un’altra azienda. Con un dato in aumento rispetto al passato. Secondo l’ispettorato, spesso questo avviene perché il lavoratore ritiene che un’altra azienda possa offrire condizioni più favorevoli per conciliare la genitorialità con il lavoro. Si segnalano, poi, 1.666 casi di dimissioni per giusta causa, come avviene quando non viene pagato lo stipendio al lavoratore. Infine, in 884 casi ci si trova di fronte a dimissioni per risoluzioni consensuali.

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La storia di Roberta, che da disoccupata ha saputo riqualificarsi professionalmente a 40 anni https://www.business.it/roberta-riqualifica-professionale/ Wed, 17 Jun 2020 06:00:38 +0000 https://www.business.it/?p=66020 Da una crisi può nascere l’opportunità di cambiare vita e trovare la strada verso la propria felicità. Come quello che è accaduto a Roberta, che con coraggio e curiosità ha scoperto una grande passione e investito su se stessa. Senza lavoro e con un mutuo da pagare, questa donna nonostante le difficoltà economiche ha avuto… Leggi tutto »La storia di Roberta, che da disoccupata ha saputo riqualificarsi professionalmente a 40 anni

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Da una crisi può nascere l’opportunità di cambiare vita e trovare la strada verso la propria felicità. Come quello che è accaduto a Roberta, che con coraggio e curiosità ha scoperto una grande passione e investito su se stessa. Senza lavoro e con un mutuo da pagare, questa donna nonostante le difficoltà economiche ha avuto il coraggio di investire su di se stessa in una vera e propria riqualifica professionale all’età di 40 anni, per trovare oggi la sua strada nel mondo del lavoro. “Avevo un lavoro stabile, con un contratto regolare e indeterminato, per sedici anni ho lavorato per un’azienda in cui mi occupavo di noleggio auto a lungo termine”. Ma un giorno però il direttore generale di Roberta decise di chiudere cinque sedi, compresa quella in cui lavorava la donna: “Non c’è stata grande possibilità di scelta, ci mise di fronte a due possibili direzioni: una buona uscita con relativo licenziamento, o se volevo continuare a lavorare per loro, ero obbligata a trasferirmi in un’altra regione. Avevo famiglia, dei bambini, il mutuo di una casa comprata da poco, per me era fuori discussione il trasferimento. Scelsi la buona uscita”.Nel giro di poco tempo, Roberta all’età di 38 anni, si è ritrovata senza un lavoro e con una famiglia e un mutuo da pagare. “Grazie a qualche conoscenza, dopo poco tempo, sono riuscita, fortunatamente, a trovare un altro lavoro, questa volta in un’agenzia di pratiche auto: un settore a me sconosciuto in cui ho dovuto imparare tutto da capo ed estremamente precario – ha raccontato la donna -. Inizialmente mi sembrò una manna dal cielo, ma nel giro di poco tempo l’azienda iniziò ad avere delle difficoltà economiche”. Due anni dopo Roberta si è ritrovata al punto di partenza, nuovamente disoccupata ed in cerca di impiego: “Iniziai perciò ad inviare delle candidature per posizioni simili e per annunci compatibili alla mia esperienza, senza però ottenere nessun riscontro”.Presa dall’angoscia e dall’ansia, Roberta ha sentito il bisogno di staccare la spina dai problemi quotidiani, e dalla routine di una vita lavorativa insoddisfacente che ormai si ripeteva da anni: “Decisi di fare qualcosa per me, mi iscrissi ad un corso principianti per imparare a fare la pasta fresca. Comprai un pacchetto di cinque giornate che potevo usare quando e come volevo. Più le giornate passavano, più mi appassionavo, quando facevo la pasta mi concentravo su altro e non pensavo più alla situazione in cui mi trovavo. Notavo, inoltre, con sorpresa che avevo una certa predisposizione per questa attività, e non fui l’unica ad accorgermene”.Al termine del corso culinario, Roberta torna alla vita di tutti i giorni, terrorizzata dall’idea di rimanere senza lavoro e senza stipendio. Ma questa volta con una nuova esperienza alle spalle pronta ad aprirle gli occhi sul futuro: “Su consiglio del mio insegnante Alessandro e con l’amorevole e forte sostegno di mio marito, di investire su di me in una vera e propria riqualifica professionale che mi avrebbe insegnato a tutti gli effetti un mestiere: quello della sfoglina”.Il coraggio di Roberta è stato ripagato: a pochi mesi dalla fine del corso, la donna aveva già trovato un impiego idoneo alla sua nuova qualifica. “Per i primi anni ho cambiato vari posti, sono riuscita a trovare facilmente lavoro ma non altrettanto velocemente un posto adatto alle mie esigenze e priorità”. Poi la svolta decisiva è finalmente arrivata: “Tramite il passaparola sono arrivata nel posto in cui mi trovo oggi: da Amerigo; un colloquio ben riuscito, patti rispettati e condizioni regolari. Ormai sono anni che lavoro per la stessa azienda e mi trovo molto bene, contenta della mia nuova e inaspettata professione. La vita è imprevedibile e anche nelle situazioni più negative esistono sempre delle sfumature positive”.

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Sfrattati di casa e senza lavoro, la figlia disperata: “Nessun aiuto, mangiamo solo uova” https://www.business.it/sfrattati-casa-lavoro-aiuti/ Mon, 08 Jun 2020 22:30:57 +0000 https://www.business.it/?p=65607 Il nuovo coronavirus non smette di mietere le sue vittime, non solo cliniche ma anche morali. Sono tante infatti le persone in Italia che a causa della perdita del lavoro causato dal lockdown e allo stand-by dell’economia del nostro Paese, non hanno più un tetto sopra la testa e sufficiente denaro per garantire alla propria… Leggi tutto »Sfrattati di casa e senza lavoro, la figlia disperata: “Nessun aiuto, mangiamo solo uova”

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Il nuovo coronavirus non smette di mietere le sue vittime, non solo cliniche ma anche morali. Sono tante infatti le persone in Italia che a causa della perdita del lavoro causato dal lockdown e allo stand-by dell’economia del nostro Paese, non hanno più un tetto sopra la testa e sufficiente denaro per garantire alla propria famiglia un pasto decente. Come la triste storia di Alessia (nome di fantasia), giovane di 24 anni, e della sua famiglia siciliana di Catania, che tra la perdita del lavoro del padre, la cassa integrazione e i lavoretti saltuari nel tentativo di riuscire a recuperare un pasto caldo per la famiglia, si trovano adesso abbandonati al loro destino senza più neanche una casa in cui dormire. La giovane ha deciso di raccontare in anonimato ai microfoni di Fanpage.it, la testimonianza della povertà toccata con mano, in particolar modo in tempi di emergenza sanitaria.“Ho passato una vita difficile, settimane impossibili, anzi infernali – ha raccontato Alessia – mangiando solo le uova, bevendo acqua del rubinetto, privandoci anche dei farmaci di cui abbiamo necessariamente bisogno. Da parte del Comune non ho ricevuto alcun supporto, il mio grazie – ha concluso la giovane – va solo alla protezione civile e al banco alimentare”. Come evidenziano le parole di Alessia, a rendere ancora più dura la situazione è stato il totale abbandono da parte dell’amministrazione, che pare non si sia curata dei propri concittadini. In seguito per la famiglia catanese arriva anche lo sfratto: senza più un tetto sulla testa e un luogo sicuro in cui rifugiarsi, l’unico aiuto per la famiglia di Alessia arriva da alcuni parenti che decidono di accoglierli momentaneamente. La crisi economica che il Paese sta attraversando non ha fatto altro che aggravare una situazione già al limite.Negato il bonus spesa
Così la famiglia di Alessia decide di fare richiesta al Comune di Catania per il bonus spesa, ma, nella lista degli idonei, la famiglia viene collocata come “Idonei non beneficiari”. “Dopo la richiesta del bonus spesa – ha detto Alessia – è passato un mese senza ricevere nessuna risposta. Ho iniziato a chiamare continuamente, ogni giorno, il Comune di Catania fino a quando, solo via email, mi risponde un assistente sociale dicendomi che la richiesta è stata accolta. Io felicissima, racconto tutto a mia madre e mio padre. Dopo qualche giorno – ha continuato – mi sono ritrovata nella lista “Idonei non beneficiari”.
Il padre della giovane ha raccontato di sentirsi umiliato e abbandonato dalle istituzioni locali che non concedono neanche i bonus che spetterebbero alle famiglie indigenti, una tragedia senza fine quella che la giovane e la sua famiglia hanno deciso di denunciare sui giornali: una battaglia quotidiana per la sopravvivenza. Una storia che si incrocia con quella di altre migliaia di persone a cui sono stati negati i buoni spesa, sfrattati e senza un lavoro.

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Cassa integrazione e smart working: come le aziende sfruttano i lavoratori ai danni dello Stato https://www.business.it/cassa-integrazione-smart-working/ Mon, 01 Jun 2020 22:19:27 +0000 https://www.business.it/?p=65336 Durante l’emergenza coronavirus, data la chiusura delle attività produttive, sono milioni i lavoratori che hanno sperimentato la modalità dello smart working. Sono però altrettanti quelli che contestualmente sono stati messi in cassa integrazione, pur continuando comunque a lavorare dalla propria abitazione. Come la storia di Marco (nome di fantasia) che lavora a Milano nel marketing… Leggi tutto »Cassa integrazione e smart working: come le aziende sfruttano i lavoratori ai danni dello Stato

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Durante l’emergenza coronavirus, data la chiusura delle attività produttive, sono milioni i lavoratori che hanno sperimentato la modalità dello smart working. Sono però altrettanti quelli che contestualmente sono stati messi in cassa integrazione, pur continuando comunque a lavorare dalla propria abitazione. Come la storia di Marco (nome di fantasia) che lavora a Milano nel marketing di un’importante multinazionale straniera, e da fine febbraio ha attivato la modalità di smart working. Come ha riportato Business insider, da metà aprile Marco è anche in cassa integrazione all’80%: vuol dire che 8 ore la settimana gliele paga l’Inps (4 euro netti l’ora, all’incirca). In sostanza dovrebbe lavorare quattro giorni la settimana (o poco più di sei ore al giorno), ma la sua mole di lavoro non è mai calata. In realtà non è cambiato nulla rispetto a prima se non che il suo stipendio è diminuito e che una parte gliela stanno versano tutti i contribuenti italiani: le riunioni in videoconference si tengono anche nelle ore in cassa; le email continuano ad arrivare ed esigono risposte. Per capire come comportarsi correttamente, Marco ha chiesto alla sua azienda cosa si può e cosa non si può fare in cassa integrazione: “Non dovreste lavorare, ma se state portando avanti un progetto valutate voi. Regolatevi come meglio credete”.
In smart working l’orario di lavoro viene gestito in autonomia dai dipendente. Questo fa sì che il confine tra far lavorare un dipendente in cassa integrazione e truffa ai danni dello Stato diventa molto sottile. Infatti se è il dipendente a scegliere “liberamente” di continuare a svolgere le sue mansioni lavorative, la truffa non c’è. La storia di Marco è simile a quelle di decine di altri lavoratori del terziario: uomini e donne che lavorano in agenzia di pubblicità, nel mondo della comunicazione, dell’arte e della consulenza, attivi in tutte le cosiddette “professioni intellettuali”. Professionisti che spesso lavorano su progetti complessi semplicemente impossibili da quantificare in ore perché a contare è solo la qualità del prodotto consegnato al cliente finale. Che non accetta ritardi. Qualcuno ha scoperto di essere stato messo in essere messo in cassa integrazione retroattivamente, qualcun altro, invece, è stato più fortunato e a fronte di una cassa integrazione che arriva al 50% dell’orario si vede integrare interamente lo stipendio da parte dell’azienda.
Secondo Massimo Braghin, consigliere nazionale dell’ordine dei Consulenti del lavoro ed esperto di smart working, “il lavoro agile e la cassa integrazione sono di fatto incompatibili. Lo smart working disciplinato dalle legge 81 del 2017 è molto diverso da quello che stiamo vivendo in questi giorni”. Secondo l’esperto il motivo è semplice: se il lavoro agile prevede che tempi e ritmi siano dettati dal dipendente vincolato solo dal risultato del proprio lavoro, la cassa integrazione prevede lo stretto rispetto delle regole. In sostanza, più che lavoro agile, quello ai tempi del coronavirus, sembrerebbe più un telelavoro con un controllo costante da parte del datore di lavoro.
“Per quanto riguarda lo smart working, l’accordo tra azienda e dipendente è fondamentale perché indica le regole del gioco. Chiarisce quello che si può fare – ha proseguito l’esperto – In questo momento viviamo una situazione molto complessa”. Una situazione della quale qualcuno sta approfittando sfruttando le larghe maglie del Cura Italia: indicando la causale “Covid-19 nazionale” non si deve allegare nulla alla domanda di cassa integrazione che “può essere utilizzata per sospensioni o riduzioni dell’attività dal 23 febbraio e fino al 31 agosto” per 9 settimane. Poi prorogate ulteriormente.

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Coronavirus, contagi sul posto di lavoro. Inail: “Rilevati più di 43mila lavoratori positivi” https://www.business.it/coronavirus-lavoro-inail-contagi/ Fri, 22 May 2020 22:47:08 +0000 https://www.business.it/?p=64875 Sui luoghi di lavoro di tutta Italia, hanno superato quota 43 mila le denunce di contagi da coronavirus tra la fine di febbraio e la prima metà di maggio. Il dato è stato aggiornato dall’Inail allo scorso 15 maggio, spiegando che sono arrivate 171 denunce da infortunio mortale, delle quali la metà concentrate nel personale… Leggi tutto »Coronavirus, contagi sul posto di lavoro. Inail: “Rilevati più di 43mila lavoratori positivi”

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Sui luoghi di lavoro di tutta Italia, hanno superato quota 43 mila le denunce di contagi da coronavirus tra la fine di febbraio e la prima metà di maggio. Il dato è stato aggiornato dall’Inail allo scorso 15 maggio, spiegando che sono arrivate 171 denunce da infortunio mortale, delle quali la metà concentrate nel personale sanitario e assistenziale. Rispetto all’ultima rilevazione dell’ente, effettuata il 4 maggio, si tratterebbe di seimila casi in più. Secondo il report dell’Inail, la metà dei contagi riguarda il personale sanitario: infatti, il 72,8% delle denunce viene dal settore della Sanità e dell’assistenza sociale, oltre a registrare il 32,3% dei casi mortali.La grande maggioranza dei contagiati sul lavoro sono donne: il 71, 7%. Per gli uomini il tasso di contagio si attesta al 28,3%. L’età media dei contagiati è di 47 anni, per entrambi i sessi. Per quanto riguarda i decessi, la prospettiva si ribalta: l′82,5% delle vittime sono uomini. Per quanto riguarda l’età media, si sale a 58 per le donne e 59 per gli uomini. Inoltre, l’Inail specifica che 9 decessi su 10 – ovvero il 70,8% – si concentrano nella fascia d’età che va dai 50 ai 64 anni.Al 18 maggio, l’Iss contava 225 mila casi di contagi da Covid in Italia ma l’Inail mette in guarda dal mettere in relazione le due grandezze “innanzitutto per la più ampia platea rilevata dalll’Iss rispetto a quella Inail riferita ai soli lavoratori assicurati, e poi per la trattazione degli infortuni, in particolare quelli con esito mortale, per i quali la procedura presenta maggiore complessità dato l’attuale contesto, del tutto eccezionale e senza precedenti, di lockdown”.Come noto, per altro, il tema è oggetto di una feroce polemica. Le aziende hanno denunciato gravi ostacoli alla riapertura dal fatto che il contagio è equiparato agli infortuni sul lavoro, temendo le possibili ricadute penali per chi avesse lavoratori affetti da Covid.

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Crisi economica post Covid: sono i giovani i grandi dimenticati dal Governo https://www.business.it/crisi-giovani-lavoro-decreto-rilancio/ Fri, 22 May 2020 10:21:46 +0000 https://www.business.it/?p=64856 Su 55 miliardi di spesa pubblica per la tenuta e la ripresa economica dell’Italia dalla crisi Covid, solo una manciata di milioni sono quindi destinati ai giovani. E’ quello che emerge dal testo del Decreto Rilancio pubblicato pochi giorni fa in Gazzetta Ufficiale. Il governo punta a proteggere i posti di lavoro già esistenti, di… Leggi tutto »Crisi economica post Covid: sono i giovani i grandi dimenticati dal Governo

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Su 55 miliardi di spesa pubblica per la tenuta e la ripresa economica dell’Italia dalla crisi Covid, solo una manciata di milioni sono quindi destinati ai giovani. E’ quello che emerge dal testo del Decreto Rilancio pubblicato pochi giorni fa in Gazzetta Ufficiale. Il governo punta a proteggere i posti di lavoro già esistenti, di qui la cassa integrazione, il blocco dei licenziamenti, insomma la volontà di tenuta il più possibile dei livelli occupazionali, dovendo “sacrificare” le esigenze dei giovani che si devono immettere nel mondo del lavoro. La recessione in cui stiamo sprofondando per colpa del coronavirus rischia di essere la mazzata finale sulle aspirazioni di milioni di persone, che hanno avuto la sola sfortuna di diplomarsi o laurearsi all’inizio o nel bel mezzo della crisi finanziaria globale, oppure della nuova crisi da “shock simmetrico di domanda e offerta”, la peggiore dal Dopoguerra. In due lustri esatti, gli attuali venti/trentenni hanno provato sulla propria pelle quanto fosse difficile trovare un lavoro (e quando ciò è accaduto, essere confermati a tempo indeterminato), e quanto sarà difficile conservare il proprio posto di lavoro, perché nei prossimi mesi, o forse più, moltissime aziende saranno costrette a ridurre gli organici, e non di poco. Una tripletta micidiale, che condanna i giovani a letteralmente buttare via gli anni potenzialmente più produttivi e proficui della propria vita.Un Decreto Rilancio dunque, che a tutto mira tranne che alla sorte di chi muove i primi passi nel mondo “adulto”. Dei giovani in questi anni si è detto di tutto, che fossero choosy e bamboccioni, ma bisognerebbe soffermassi anche sul fatto che in difficoltà storiche come quelle che stanno attraversando oggi le generazioni Y e Z, forse non è poi così strano che con un lavoro precario ed incertezza economica, fare un passo azzardato come lasciare la casa di origine o metter su famiglia, possa mettere agitazione e sfiducia a questi giovani. La fascia di età in cui la povertà è più elevata, e per la quale l’alta disoccupazione (29%) è comunque un descrittore insufficiente, perché non conta il fenomeno degli sfiduciati e dei NEET, quelli che un lavoro non lo cercano e a studiare non ci pensano (più). Insomma, i giovani sono da sempre assenti dal discorso pubblico e politico, se non per qualche accorato appello in televisione o editoriale sui giornali.
Secondo un inchiesta su Repubblica, lo scenario più probabile è che, nel prossimo biennio, le assunzioni avranno il freno tirato, ma questo non vuol dire che si bloccheranno del tutto. L’auspicio è che il governo si mobiliti il prima possibile per incentivare l’occupazione giovanile, magari con sgravi contributivi e incentivi diretti alle aziende per le assunzioni di under 35, sostegno al lavoro stagionale, formazione di qualità gratuita, ovviamente in forma agile e a distanza, per ridurre lo “skill mismatch”. Risorse e piani, strategie e stanziamenti, ovviamente ben superiori alle poche centinaia di milioni di euro previsti dal Decreto Rilancio.

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Emergenza disoccupazione a Milano: nel commercio già in 150 mila senza un lavoro https://www.business.it/milano-disoccupazione-lavoro-fase-2/ Fri, 22 May 2020 10:05:39 +0000 https://www.business.it/?p=64852 Nonostante la ripresa quasi completa delle attività commerciali con l’inizio della fase 2, a Milano non sono tornate a lavoro circa 150 mila persone. “Sono soprattutto lavoratori delle cooperative, oppure a chiamata, somministrati e tempi determinati all’interno delle cooperative”, ha spiegato Antonio Verona dell’Ufficio studi della Cgil. La stima è fatta incrociando più dati, dalla… Leggi tutto »Emergenza disoccupazione a Milano: nel commercio già in 150 mila senza un lavoro

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Nonostante la ripresa quasi completa delle attività commerciali con l’inizio della fase 2, a Milano non sono tornate a lavoro circa 150 mila persone. “Sono soprattutto lavoratori delle cooperative, oppure a chiamata, somministrati e tempi determinati all’interno delle cooperative”, ha spiegato Antonio Verona dell’Ufficio studi della Cgil. La stima è fatta incrociando più dati, dalla base Istat a quelle delle diverse casse integrazioni. È solo un fetta dell’intero mercato del lavoro, ma in una città come Milano il terziario è un settore trainante e pensando a questi numeri vanno lette le preoccupazioni del sindaco Beppe Sala che spiegava: “La mia preoccupazione è che, come ampiamente previsto, ma ora lo stiamo toccando con mano, qui andiamo verso una crisi economica e sociale profonda. Inizieranno le manifestazioni in piazza e la difficoltà di tante tante famiglie. La mia azione si concentrerà lì. Ne stiamo discutendo con il governo”.
Secondo Marco Beretta, segretario della Filcams Cgil di Milano, la causa di questa ripresa parziale nel commercio, è a causa del personale ancora in cassa integrazione (circa la metà dei lavoratori), e questo perché tra la paura di andare in negozio e la mancanza dei soldi dei clienti che magari a loro volta non lavorano il giro di incassi è molto lontano da quello di prima”. Non solo, perché anche le catene della grande distribuzione organizzata stanno cominciando a mettere mano agli ammortizzatori sociali — è il caso ad esempio di Carrefour — specie in quei punti vendita in centri commerciali o non dentro i quartieri, dove quindi è mancata la clientela, tenuta nei paraggi di casa dal lockdown.
Anche distaccandosi dalle attività commerciali il quadro non cambia, anzi peggiora. Molti alberghi sono rimasti chiusi o comunque sono abbondantemente sotto ai fatturati giornalieri di prima, visto che mancano turisti (che non si sa quando torneranno) e viaggi di lavoro. Oppure, altro settore spazzato via: le mense scolastiche. “Parliamo di gente che faceva 16 ore part-time a settimana guadagnando 600 euro al mese e che oltretutto aveva la sospensione scolastica per tre mesi dove non percepivano reddito – ha spiegato Beretta -. Ecco, è un dramma sociale vero e proprio, tra l’altro non sappiamo ancora come verrà garantito il diritto al pasto dei bambini, quando sarà: sono migliaia di donne, soprattutto, senza alcuna prospettiva per il momento”. Infine, si decanta lo “smart working”, ma anch’esso sta significando meno lavoro per bar, ristoranti, pizzerie, appalti delle pulizie e della sorveglianza, e così via.
Alessandra Sensini, 39 anni, ha raccontato a Repubblica che da tre anni lavora in un negozio a Milano di corso Vittorio Emanuele, stipendio medio pre-Covid di 1.300 euro al mese: “Purtroppo ora che sembra quasi finita l’emergenza subentrano problemi diversi, ad esempio da noi stiamo facendo delle rotazioni tra i dipendenti, visto che non avrebbe senso tornare tutti con la forte diminuzione di clientela, ma queste rotazioni come vengono decise? Allora si finisce a discutere coi colleghi e i superiori, questo lascia una amarezza di fondo che si somma al periodo difficile che abbiamo vissuto”.

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Allarme Covid nei mattatoi: “Rischiano di essere i nuovi focolai” https://www.business.it/allarme-covid-mattatoi-focolai/ Tue, 12 May 2020 21:59:10 +0000 https://www.business.it/?p=64364 I ritmi sono frenetici e il distanziamento è (quasi) impossibile da attuare. Si tratta del lavoro nei mattatoi, i cui dipendenti sono spesso migranti che vivono in comunità e appartamenti sovraffollati. Il risultato? I macelli di animali – dagli Stati Uniti al Canada, dalla Germania fino all’Italia – sono diventati uno dei nuovi fronti caldi… Leggi tutto »Allarme Covid nei mattatoi: “Rischiano di essere i nuovi focolai”

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I ritmi sono frenetici e il distanziamento è (quasi) impossibile da attuare. Si tratta del lavoro nei mattatoi, i cui dipendenti sono spesso migranti che vivono in comunità e appartamenti sovraffollati. Il risultato? I macelli di animali – dagli Stati Uniti al Canada, dalla Germania fino all’Italia – sono diventati uno dei nuovi fronti caldi dei focolai di coronavirus. Secondo un’inchiesta del Centers for disease control (Cdc) americano, “Mantenere 1,8 metri di distanza sulle loro linee di produzione è impossibile”. In qualche caso è addirittura impossibile indossare mascherine. I contagi nei colossali stabilimenti degli States, dove 50 impianti lavorano il 98% della carne consumata nel Paese, sono così già arrivati a quota 10mila. A fine aprile 30 macelli a stelle e strisce hanno chiuso i battenti per frenare la pandemia, facendo crollare del 45% la lavorazione di maiali e del 22% quella di bovini e spedendo alle stelle i prezzi della carne. Un uno-due che ha costretto Donald Trump a varare un decreto “salva-hamburger”, dichiarando strategico il settore e attivando il Defense production act per obbligare le aziende a riaprire i battenti malgrado in alcuni impianti quasi il 20% del personale fosse positivo al Covid-19.Da quanto si apprende da un’inchiesta di Repubblica, i guai della carne made in Usa hanno regalato invece un mese d’oro a Wall Street alle azioni di Beyond Meats, produttore di hamburger e polpette a base di vegetali, che in aprile ha guadagnato il 150%. Il focolaio dei macelli ha colpito anche in Canada ( nel quale il 50% dei 2mila operai dello stabilimento di Calgary è positivo) in Australia alla Cedar Meats (14% di contagi) e in Germania dove sono stati chiusi quattro impianti di abbattimento di animali dove più del 10% dei dipendenti è risultato positivo al tampone.
Coesfeld, in Westfalia, rischia in particolare di diventare l’epicentro di una seconda ondata di contagi in Germania: il distretto è tra i primi ad aver superato la soglia d’allarme di 50 infetti ogni 100mila abitanti. Per giorni, prima che chiudessero i cancelli del mattatoio, il pastore evangelico Peter Kossen ha protestato all’ingresso contro “la moderna schiavitù” cui sarebbero sottoposti i lavoratori, spesso provenienti dall’Est Europa. Sessanta ore di lavoro in sei giorni non sono una rarità, ha raccontato alla Westfaelische Zeitung. In più, molti vivrebbero ammassati in case popolari, spesso più di 5 in un appartamento.
Molti lavoratori sono stranieri
A peggiorare la situazione lavorative dei mattatoi è la composizione multietnica del personale: negli Usa gran parte dei lavoratori (pagati attorno ai 13 dollari l’ora) sono migranti sudamericani o asiatici e ben il 14% di loro non parla inglese, in Germania sono rumeni e bulgari, in Australia asiatici. “E i problemi socio-economici possono aver convinto molti di loro a lavorare malgrado i sintomi – scrive la Cdc – convinti anche dai bonus promessi dai datori di lavoro a chi non rimaneva a casa”.
La situazione nei mattatoi italiani
L’Italia ha registrato per ora solo un paio di casi: un macello di Palo del Colle, in Puglia, è rimasto chiuso per un paio di settimane dopo 71 casi positivi al coronavirus. Una delle rarissime zone rosse della Campania è stata costruita invece a inizio aprile a Paolisi dopo alcuni casi in un’impresa avicola.

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Costretta a stare a casa perché le scuole sono chiuse: “Con un bimbo piccolo nessuna alternativa” https://www.business.it/casa-scuole-bambino-lavoro/ Thu, 07 May 2020 20:29:01 +0000 https://www.business.it/?p=64099 Sara Meloni, 40 anni è una libraia e non ha mai smesso di lavorare, nemmeno dopo la nascita del suo primo genito. L’ha mandato all’asilo appena possibile, così da avere buona parte della giornata libera per andare in negozio alla libreria 6 Rosso di via Paolo Sarpi a Milano, ma adesso con le scuole chiuse… Leggi tutto »Costretta a stare a casa perché le scuole sono chiuse: “Con un bimbo piccolo nessuna alternativa”

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Sara Meloni, 40 anni è una libraia e non ha mai smesso di lavorare, nemmeno dopo la nascita del suo primo genito. L’ha mandato all’asilo appena possibile, così da avere buona parte della giornata libera per andare in negozio alla libreria 6 Rosso di via Paolo Sarpi a Milano, ma adesso con le scuole chiuse Sara non ha altra scelta che restare a casa. “Purtroppo finché non riapre la scuola del mio bambino devo restare a casa. Non ho alternative”, ha raccontato la donna a la Repubblica. Il marito di Sara, rientrato in ufficio dopo due mesi di smart working, non può certo darle una mano con il bambino, e come spesso accade a tante donne, con le scuole chiuse non si riesce a far conciliare famiglia e lavoro. A sostegno dei due genitori c’è solo il padre di Sara, che al momento è impegnato nel mandare avanti la libreria in assenza della figlia: “C’è solo mio padre, qui a Milano. Siamo diventati soci nella libreria quando abbiamo smesso di fare i manager e ora sta riaprendo lui il negozio mentre io sto a casa col pupo”.“Prima dell’emergenza coronavirus, col fatto che Tancredi andava all’asilo tutti i giorni dalla mattina a metà pomeriggio, io riuscivo ad organizzami – ha raccontato la libraia -. Facevo una mezza giornata abbondante in negozio, poi andavo a prenderlo a scuola. In libreria restava mio padre, e io non avevo bisogno di avere una tata”. Anche se il lockdown si è allentato, la paura di contrarre il Coronavirus è sempre in agguato, e questo Sara lo sa bene: “Ci siamo interrogati sull’opzione di prendere adesso una baby sitter: non è tanto una questione economica – che comunque pesa perché il bonus non coprirebbe tutte le spese che io dovrei fare – è soprattutto che non ci fidiamo. Come facciamo ad essere sicuri che abbia preso tutte le precauzioni del caso? E’ troppo pericoloso in questo periodo far entrare ogni giorno una persona che viene da fuori, magari con i mezzi pubblici. No, è rischioso. Preferisco sacrificarmi io”.Un sacrificio che a Sara costa tanto, perché per lei il suo lavoro è importantissimo non solo a livello economico: ” Io ho sempre lavorato. Questa casalinghitudine forzata un po’ mi pesa perché vuol dire perdere una dimensione di autonomia che per me era vitale. Avevo uno spazio della giornata in cui facevo delle cose mie”.Ti potrebbe interessare anche: Riley a 10 anni malato di leucemia sconfigge il coronavirus: “Ora vincerò anche il cancro”

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I volontari di Sant’Egidio rimasti senza lavoro: “Aiutavamo gli altri, adesso i poveri siamo diventati noi” https://www.business.it/volontari-santegidio-lavoro-poveri/ Tue, 05 May 2020 22:22:48 +0000 https://www.business.it/?p=63944 Impegnati da tempo a soccorrere i più bisognosi, oggi sono loro ad avere bisogno di sostegno economico. E’ la storia di due volontari della comunità di Sant’Egidio, Silvia e Fulvio, che a distanza di soli due mesi si ritrovano a vivere una vita completamente diversa da quella precedente. La coppia infatti, un tempo impegnata nel… Leggi tutto »I volontari di Sant’Egidio rimasti senza lavoro: “Aiutavamo gli altri, adesso i poveri siamo diventati noi”

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Impegnati da tempo a soccorrere i più bisognosi, oggi sono loro ad avere bisogno di sostegno economico. E’ la storia di due volontari della comunità di Sant’Egidio, Silvia e Fulvio, che a distanza di soli due mesi si ritrovano a vivere una vita completamente diversa da quella precedente. La coppia infatti, un tempo impegnata nel volontariato, sono finiti ad oggi a dover chiedere aiuto alla comunità per pagare le bollette, parte dell’affitto, la spesa di tutti i giorni. “Ero una volontaria della Comunità di Sant’Egidio. Mi è sempre piaciuto sentirmi utile, solidale”, ha raccontato la donna a la Repubblica. “Oggi è finita che abbiamo chiesto aiuto al parroco della chiesa di Nostra Signora di Loreto, qui nel quartiere di Oregina, per farci portare un po’ di spesa. Perché non potevamo più permettercela. Per fortuna che ci sono gli amici di Sant’Egidio: ora tocca a noi essere aiutati. Sembra impossibile, è tutto vero”. Silvia 52 anni, di origine peruviana, vive in Italia da dieci anni e a Genova da due. Fino a metà marzo, ha lavorato in una grande struttura sanitaria genovese: “Sono una che si affeziona alle persone, soprattutto agli anziani: non mi sembrava giusto nascondermi, abbandonarli”, ha raccontato. Silvia ha deciso di continuare a fare il suo dovere di operatrice socio sanitaria, ma questa scelta è stata proprio la causa che le ha fatto contrarre il Covid-19: “Da un giorno all’altro ci è crollato il mondo addosso, addio al lavoro”. Si perché Silvia come tanti altri lavoratori in Italia, aveva un contratto precario che con l’attuale periodo di incertezza economica, non è stato rinnovato.  “Mi hanno accompagnato di corsa in ospedale, ho cominciato ad avere paura”. Il fantasma del Coronavirus. “Dopo 5 giorni sono tornata a casa. Mal di testa terribile. Non sentivo più i gusti. Appetito: zero”. I sintomi. “Bevevo solo acqua. Mi sentivo uno straccio, il medico mi ha detto di prendere la tachipirina”. Il primo tampone conferma: positiva al virus. E proprio quando ha iniziato a sentirsi meglio, la sorpresa più amara: le è scaduto il contratto di lavoro. Niente più stipendio a partire da quel giorno: perché l’impiego di Silvia è precario, non è prevista per lei nessuna tutela in questa fase di convalescenza. A completamento della difficile situazione lavorativa di Silvia, è arrivata anche la notizia della chiusura del ristorante dove lavora il marito. Con l’emergenza sanitaria infatti, anche il locale dove Fulvio lavora come cuoco è stato naturalmente chiuso finendo anche lui in cassa integrazione della quale ad oggi, non ha ancora percepito un euro. “Andiamo avanti coi soldi che ho guadagnato nei primi dodici giorni di marzo”, ha raccontato Fulvio. Che ha tre figli, avuti dal precedente matrimonio e gli alimenti da pagare.
E pensare che fino a un mese e mezzo fa la vita dei due volontari era così diversa: “Eravamo felici. Motivati, con una gran voglia di vivere e contribuire alla comunità. Ogni sera tornavo dal lavoro contenta di avere dato tutta me stessa. Non mi sentivo un’eroina, no: una donna parte di una famiglia. Come tutti gli altri”. Fino a “quella” sera. “All’improvviso stavo male. Niente febbre, però dolori fortissimi per tutto il corpo”.
Da allora Silvia e Fulvio fanno conti che non possono quadrare. La cifra di 350 euro di affitto è diventata insostenibile. E le bollette, poi. “Siamo sempre stati precisissimi – ha affermato la volontaria -. Ho telefonato alla padrona di casa per spiegarle. Ha capito, è stata molto comprensiva. Siamo così mortificati, non è da noi”.
I volontari della Comunità di Sant’Egidio, gli amici che l’avevano accolta, coinvolgendola nelle attività del quartiere, adesso sono una delle poche stampelle. “Roberta, Nadia, ci aiutano con la spesa. Telefonano, non ci fanno sentire soli. Prima ero io ad aiutare gli altri: adesso, senza di loro saremmo persi. Ma il futuro mi fa paura”.

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Lavorare dopo la pandemia: lo smart working sarà la norma per uno su tre https://www.business.it/lavorare-dopo-pandemia-smart-working/ Mon, 04 May 2020 21:13:55 +0000 https://www.business.it/?p=63875 La piena emergenza sanitaria, ha comportato un radicale e repentino ripensamento dell’organizzazione del lavoro in nome della tutela della salute delle persone, e anche con l’arrivo della fase 2 lo smart working resta una modalità necessaria per continuare a svolgere il proprio impiego, specialmente per la Pubblica amministrazione. La ministra della Pa Fabiana Dadone ha… Leggi tutto »Lavorare dopo la pandemia: lo smart working sarà la norma per uno su tre

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La piena emergenza sanitaria, ha comportato un radicale e repentino ripensamento dell’organizzazione del lavoro in nome della tutela della salute delle persone, e anche con l’arrivo della fase 2 lo smart working resta una modalità necessaria per continuare a svolgere il proprio impiego, specialmente per la Pubblica amministrazione. La ministra della Pa Fabiana Dadone ha annunciato che in linea di massima i dipendenti pubblici in smart working (circa l’80%) non torneranno in ufficio a partire dal 4 maggio, ma sono previsti solo “rientri mirati e contingentati” per venire incontro alle esigenze delle aziende che riaprono. Inoltre, sebbene solo fino a qualche mese fa fosse ritenuto un’alternativa ancora sperimentale, secondo la ministra Dadone, anche quando la pandemia sarà finita, l’obiettivo della Pa è di portare stabilmente lo smart working ad almeno il 30%.
Per quanto riguarda il lavoro agile per le imprese private, dello stesso avviso è la vicepresidente di Confcommercio Donatella Prampolini: “Adesso tutti dicono “non vedo l’ora di tornare in ufficio”, ma lo smart working è sicuramente una modalità che verrà utilizzata molto anche in futuro – conferma Prampolini – . Sicuramente sarà al centro della fase 2: bisogna seguire tutte le norme dei protocolli, a cominciare dal distanziamento sociale, e quindi pensiamo a una rotazione dei dipendenti, con la metà che rimarrà a casa”.Secondo un’indagine di Manageritalia condotta sui dirigenti del terziario (aziende medie o grandi) prima della pandemia il 72% delle imprese non prevedeva lo smartworking o lo prevedeva solo per pochi lavoratori. Nell’emergenza, al contrario, solo il 14% non lo ha adottato. Per il 51,1% la produttività è aumentata o rimasta uguale, un dato che incoraggia la prosecuzione, ma a condizioni diverse. “Premesso che oggi stiamo facendo tutti telelavoro, più che smart working – dice Guido Carella, presidente di Manageritalia – in futuro lo faremo in modo migliore, per obiettivi inseriti all’interno di processi aziendali, e poi non sempre da casa, ma anche in parte in ufficio o dal cliente. E tenendo conto che ogni tanto bisogna guardarsi in faccia”. “In questa fase lo smart working è stato un successo per la semplificazione introdotta dai decreti: non abbiamo dovuto tribolare con la burocrazia. – osserva Prampolini – In futuro questo farà la differenza, ma serviranno anche le risorse per l’accesso alla banda larga e l’acquisto dei pc”.Lo smart working non è però una modalità utilizzabile per tutti, per le Pmi è più complicato. Da una rilevazione dell’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia svolta ad aprile emerge che lo utilizza solo il 26,1% delle imprese in attività, mentre il 73,9% non lo fa perché l’attività (manifatturiero, edilizia, installazione impianti, autotrasporto, autoriparazione, servizi alla persona, autotrasporto) non è conciliabile con il lavoro agile. Vale anche per le imprese più grandi: dall’indagine di Confindustria di aprile risulta fermo il 43% dei lavoratori, solo il 26,4% è in smart working.

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Le donne saranno le vere vittime di questa crisi globale https://www.business.it/donne-vittime-crisi-economica/ Thu, 30 Apr 2020 21:14:09 +0000 https://www.business.it/?p=63747 L’effetto Covid-19 si abbatte sull’economia italiana. Il Pil del primo trimestre del 2020 è crollato del 4,7% rispetto agli ultimi tre mesi del 2019, e tra gli inoccupati e le persone che non cercano lavoro, la fotografia dell’Istat rispetto all’economia italiana e al mondo del lavoro non concede barlumi di speranza. A soffrire maggiormente degli… Leggi tutto »Le donne saranno le vere vittime di questa crisi globale

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L’effetto Covid-19 si abbatte sull’economia italiana. Il Pil del primo trimestre del 2020 è crollato del 4,7% rispetto agli ultimi tre mesi del 2019, e tra gli inoccupati e le persone che non cercano lavoro, la fotografia dell’Istat rispetto all’economia italiana e al mondo del lavoro non concede barlumi di speranza. A soffrire maggiormente degli gli effetti della economici e sociali della crisi saranno le donne: basta pensare che a partire dal 4 maggio, data in cui si uscirà dal lockdown, la quota maggiore delle persone che tornerà a lavora sarà composta da uomini, contro le donne che saranno costrette a restare a casa a badare ai figli visto che le scuole resteranno chiuse. Praticamente ci si ritroverà in un paese che sembrerà quello di mezzo secolo fa: lui in cantiere, in fabbrica, in ufficio, e la donna a casa a badare alla prole. Secondo il direttore del Censis, Massimiliano Valerii “Questo è solo un quadro parziale, la situazione è destinata inesorabilmente a peggiorare”. In un intervista con la Repubblica, il direttore del Centro studi di investimenti sociali ha lanciato l’allarme sul quadro sociale ed economico che si prospetterà nei prossimi mesi in Italia.Le donne saranno le vere vittime
La fascia che normalmente viene sempre più penalizzata nel mondo del lavoro sono le donne, Che anche questa volta saranno tra le categorie che subiranno maggiormente gli effetti della crisi economica: “Si rischiano passi indietro. Le donne saranno poste nuovamente davanti alla scelta tra la famiglia, i figli o il posto di lavoro. Un dilemma che rischia di portarci al passato – ha affermato Valerii a la Repubblica -. In questo periodo di emergenza e di isolamento sono le donne a aver sofferto di più. Lo smart working per loro è una trappola, le incatena in casa e aumenta il loro impegno tra lavoro e figli. Durante la crisi ci siamo concentrati sull’emergenza sanitaria senza nessun accenno alle problematiche socio-economiche. Non ci siamo resi conto che la pandemia e la crisi avranno conseguenze devastanti sull’impatto demografico, sulle nuove povertà e sull’aumento della disoccupazione. Soprattutto di quella femminile”.
Un altro settore che accuserà il colpo degli effetti del cambiamento del lavoro è quello dei servizi. Secondo il direttore del Censis, “Bisognerà affrontare il tema, urgente, di una desincronizzazione dei tempi collettivi”. In base alle misure di distanziamento sociale, secondo Valerii sarà necessario pensare a una differenziazione degli orari di entrata e uscita dagli uffici e dalle attività commerciali, così come del numero dei giorni che compongono la settimana lavorativa.Un mondo del lavoro destinato a cambiare
Sia per gli effetti della crisi economica provocata dalla pandemia del coronavirus, sia per la necessità di tutela della salute dei dipendenti, “Le ripercussioni riguarderanno in maniera diversa due grandi settori. Il primo, quello manifatturiero, da tempo anche in Italia aveva intrapreso la via dell’automazione – ha affermato Valerii-. Nell’ultimo anno nel nostro Paese sono stati impiegati nelle fabbriche più di diecimila robot, la metà rispetto a quelli utilizzati in Germania, ma il doppio della Francia. L’eredità che ci lascerà l’epidemia del Covid-19 sarà di un maggiore uso dei robot nelle industrie. Perché? Non possono ammalarsi e costituiscono quindi una garanzia. Si porrà a quel punto un altro problema: come riconvertire tutti gli operai che perderanno il lavoro?”.
Il direttore Valerii ha pensato anche alle vere soluzioni per far ripartire l’economia del paese, che non può basarsi di soli sussidi perché controproducente: “Chi governa il Paese deve comprendere che non si può immaginare un futuro basato sui sussidi. Finora si è pensato ai bonus, alla cassaintegrazione, agli strumenti di sostegno, ma non agli investimenti. Concedere sussidi ripaga, nell’immediato, sul piano del consenso. Pensare a un piano di investimenti no. Ma non è questo l’atteggiamento che serve al Paese”.

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Italiani in smart working per almeno altri 6 mesi. L’allarme Usa: “Da remoto, l’orario si allunga di 3 ore” https://www.business.it/italiani-smart-working-orario-lavoro/ Tue, 28 Apr 2020 23:35:50 +0000 https://www.business.it/?p=63612 La pandemia globale di coronavirus in corso ha reso indispensabile la diffusione massiccia, dove possibile, del lavoro da casa, il cosiddetto smart working. Anche l’avvio della fase 2 mette ancora al centro il lavoro da remoto: solo in Italia saranno 8 milioni i lavoratori che continueranno a svolgere le loro mansioni aziendali da casa. Ma… Leggi tutto »Italiani in smart working per almeno altri 6 mesi. L’allarme Usa: “Da remoto, l’orario si allunga di 3 ore”

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La pandemia globale di coronavirus in corso ha reso indispensabile la diffusione massiccia, dove possibile, del lavoro da casa, il cosiddetto smart working. Anche l’avvio della fase 2 mette ancora al centro il lavoro da remoto: solo in Italia saranno 8 milioni i lavoratori che continueranno a svolgere le loro mansioni aziendali da casa. Ma la notizia forse inaspettata è un’altra. Secondo un’indagine dell’Osservatorio Lockdown di Nomisma, anche quando si tornerà alla “normalità” il 56% dei dipendenti vorrà comunque continuare con lo smart working. Anche la Pubblica Amministrazione, che è passata da una quota di poco superiore al 10% di lavoratori da remoto all’80% per le amministrazioni centrali e a quasi il 70% per le Regioni, l’obiettivo è di mantenere in smart working anche in futuro almeno il 30-40% dei dipendenti.Il diritto di disconnessione
Alla luce di questi dati, viene da chiedersi se le modalità di questo smart working obbligatorio, in molti casi improvvisato, dovrebbero essere corrette. Un’inchiesta appena pubblicata da Bloomberg denuncia come molti americani si sentano soffocati dallo smart working, gli intervistati lamentano di lavorare in media tre ore in più al giorno, e di avere molte più difficoltà di prima a separare la sfera lavorativa da quella privata. Anche in Italia, pur a fronte di una generale soddisfazione per il lavoro da remoto, stanno emergendo problemi di questo tipo. “Io non lavoro più da casa. Ho scelto di venire qui in ufficio: così quando finisco nessuno può più telefonarmi per chiedermi di fare ancora qualcos’altro”, ha raccontato Elisabetta a la Repubblica, quadro in un’azienda di Roma: dopo le prime settimane di smart working quasi obbligato, a causa della pandemia da coronavirus, ha scelto di tornare in ufficio per ristabilire una separazione tra il tempo del lavoro e quello privato.
“Anche dal nostro monitoraggio, dopo l’entusiasmo iniziale – conferma Mariano Corso, responsabile dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano – emergono stanchezza, difficoltà dovute al fatto che la sfera del lavoro è diventata terribilmente invasiva. Secondo le nostre stime, siamo passati a poco meno di 600 mila lavoratori (dato rilevato l’anno scorso) a un potenziale di otto milioni: non tutte le aziende erano preparate, ai lavoratori si chiede spesso fin troppa flessibilità. È un problema da affrontare perché si andrà avanti con questo ritmo per almeno altri 6-9 mesi, e poi, anche dopo, sarà difficile tornare indietro, non si tornerà alla situazione precedente, molte riunioni si svolgeranno da remoto”.
Persino nelle aziende che si erano preparate da tempo allo smart working sia dal punto di vista dell’organizzazione che degli strumenti, ci sono forti perplessità dovute all’invasività del lavoro da remoto. Digital360 Spa, società quotata sul mercato Alternativo del Capitale, gestito da Borsa Italiana, ha riscontrato attraverso un’indagine interna la quasi totale soddisfazione professionale dei propri dipendenti, che nell’88% dei casi ritiene che in questa situazione di smart working forzato la propria efficacia lavorativa sia invariata o migliorata. Anche gli incontri a distanza con i colleghi vengono valutati in modo positivo dal 90% dei dipendenti. Però, quando si parla invece della conciliazione tra vita privata e lavoro, meno della metà, solo il 45% dei dipendenti, la valuta come buona o ottima.Già nella Fase 2 bisognerà dunque riprendere rapidamente la legge sullo smart working che prevede una norma molto importante: il diritto di disconnessione, sancito peraltro anche da alcuni (pochi) contratti collettivi di lavoro, a cominciare da quello dei bancari.

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Banco Alimentare in soccorso ai nuovi poveri del coronavirus: “Molte richieste, ma noi ci siamo” https://www.business.it/banco-alimentare-soccorso-poveri/ Fri, 03 Apr 2020 22:47:28 +0000 https://www.business.it/?p=62192 Insieme all’emergenza sanitaria per i malati di Covid-19, ogni giorno diventa più grande anche l’emergenza economica che sta affliggendo sempre più famiglie italiane: costrette a casa, sono tante le persone che non potendo andare a lavorare non hanno più un’entrata economica, o hanno addirittura perso il posto. Nei giorni della pandemia il lavoro seminascosto dei… Leggi tutto »Banco Alimentare in soccorso ai nuovi poveri del coronavirus: “Molte richieste, ma noi ci siamo”

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Insieme all’emergenza sanitaria per i malati di Covid-19, ogni giorno diventa più grande anche l’emergenza economica che sta affliggendo sempre più famiglie italiane: costrette a casa, sono tante le persone che non potendo andare a lavorare non hanno più un’entrata economica, o hanno addirittura perso il posto. Nei giorni della pandemia il lavoro seminascosto dei volontari che danno da mangiare a chi non ha più niente è ancora più importante. Dal 1989 la Fondazione Banco Alimentare raccoglie e recupera generi ed eccedenze alimentari della produzione agricola, dell’industria alimentare, della grande distribuzione e della ristorazione e le distribuisce alle strutture caritative che in Italia svolgono attività assistenziale verso le persone più indigenti. A lanciare l’allarme è Giovanni Bruno, presidente della Fondazione che coordina 21 Banchi sparsi sul territorio italiano: “Oltre all’emergenza sanitaria – ha raccontato il presidente in un intervista con Il Foglio – stiamo affrontando un’emergenza economica che è anche alimentare e sociale: i nuovi poveri aumentano, la scorsa settimana abbiamo registrato una crescita delle richieste del 20 per cento, con punte del 40 in zone come la Campania o il foggiano”.“Da subito sono arrivati quelli che vivevano chiedendo la carità o vendendo rose nelle vie del centro, i lavavetri… una platea di persone che prima portava a casa 10-15 euro al giorno e riusciva in qualche modo a campare. Poi quelli che fanno i lavoretti in nero, che secondo l’Istat nel nostro paese sono 3 milioni e 700 mila persone. A questi si stanno aggiungendo sempre più piccoli artigiani, imbianchini, elettricisti, meccanici, fiorai, parrucchieri, chi ha contratti a chiamata per fare il cameriere, il barista, lo steward, le guide dei musei… Tutta gente che fa lavori che in questo periodo non ci sono più ma ha dei costi fissi da sostenere. Io li chiamo i poveri della porta accanto, quelli che apparentemente fanno una vita normale ma sono spesso costretti a scegliere tra il dentista, la gita scolastica del figlio e la spesa. E ora non ce la fanno più”.
Prima dell’emergenza il Banco Alimentare aiutava 7.500 strutture caritative che a loro volta aiutavano un milione e mezzo di persone. Ad oggi il Banco Alimentare sta riuscendo a soddisfare quasi tutte le richieste, ma il capo della fondazione si è chiesto fino a quando sarà possibile farlo: “Lo sforzo maggiore è stato continuare a fare una attività ordinaria in una situazione straordinaria – ha proseguito Bruno – Abbiamo dovuto fare i conti con il venire meno del 50% dei volontari abituali, perché over 65 e quindi costretti a casa. Questo ha portato inevitabilmente a un aumento dei costi. Grosse difficoltà sono arrivate dal susseguirsi dei decreti sempre più stringenti: le strutture caritative non sapevano se potevano venire a ritirare il cibo da consegnare ai poveri, se bastasse o meno l’autocertificazione. Anche il nostro lavoro ha dovuto rallentare per adeguarsi alle nuove misure, pulire più volte al giorno, fare in modo che l’arrivo dei volontari non si sovrapponga a quello di altri. Il nostro obiettivo è stato quello di cercare di essere operativi e di mantenere vivo e desto il rapporto con le associazioni caritative. Ci siamo coinvolti con gli enti pubblici – in molti comuni forniamo cibo ai Centri operativi comunali che poi li distribuiscono – e anche grazie al programma europeo per la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti e alle donazioni (informazioni sul sito del Banco, ndr) per ora ce la stiamo facendo”.Serve nuova creatività anche per tenere in vita un’opera che da decenni fa del bene: “Abbiamo visto venire meno una serie di strumenti di raccolta fondi che i nostri banchi usavano, dall’open day al magazzino alla cena con gli imprenditori, dai concerti agli spettacoli di beneficenza… Tutti eventi che non si possono più fare”. Il Banco alimentare ha già lanciato appelli alle catene della grande distribuzione e alle industrie alimentari: “Poco alla volta il recupero di alimenti da distribuire aumenterà”. C’è poi una serie di iniziative locali. L’ultima, partita ieri, è un accordo fatto in Sicilia con la Caritas, la guardia forestale e la regione per recuperare prodotti ortofrutticoli direttamente sul campo. Quando anche sarà finita l’emergenza sanitaria, la crisi economica lascerà strascichi per molto tempo: “Per tanti non sarà facile ripartire: noi vogliamo continuare a esserci, anche se ci piacerebbe potere sparire – ha affermato ironicamente Bruno – perché vorrebbe dire che nessuno ha più bisogno”.

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Lo sfogo dell’ infermiere di Latina: “In piena emergenza coronavirus non ci rinnoveranno il contratto” https://www.business.it/infermiere-latina-emergenza-contratto/ Wed, 01 Apr 2020 20:52:51 +0000 https://www.business.it/?p=62036 Igor Vannoli è un infermiere che lavora nella terapia intensiva dell’ospedale Santa Maria Goretti di Latina. Il 24 maggio a lui e altre 30 persone scadrà il contratto di lavoro: “L’azienda ci ha comunicato a voce che non saremo rinnovati. Il nostro contratto dura in tutto 30 mesi e 15 giorni, non ci fanno raggiungere… Leggi tutto »Lo sfogo dell’ infermiere di Latina: “In piena emergenza coronavirus non ci rinnoveranno il contratto”

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Igor Vannoli è un infermiere che lavora nella terapia intensiva dell’ospedale Santa Maria Goretti di Latina. Il 24 maggio a lui e altre 30 persone scadrà il contratto di lavoro: “L’azienda ci ha comunicato a voce che non saremo rinnovati. Il nostro contratto dura in tutto 30 mesi e 15 giorni, non ci fanno raggiungere i 36 mesi per non farci appellare alla legge Madia, che li costringerebbe a stabilizzarci”. Il decreto Madia prevede l’assunzione di tutti quei precari che per tre anni abbiano prestato servizio anche in aziende diverse. Applicabile dal 2018, sarà valido fino al 31 dicembre 2020. “Ci hanno detto che se facevamo parte della graduatoria bene, altrimenti saremmo stati mandati via. In piena emergenza, col carico di lavoro alle stelle, questa è stata l’unica comunicazione che l’azienda è stata in grado di farci”.Da oltre un mese Igor non vede la sua famiglia: visto la delicatezza del ruolo che ricopre, ha preferito trasferirsi in un’altra abitazione, lontano da sua moglie e dal figlio di tre anni. Nonostante i grandi sacrifici e l’impegno che il ragazzo sta mettendo nel suo lavoro in questa situazione drammatica per la sanità italiana, l’infermiere di Latina otterrà come ringraziamento il ben servito. Le Asl stanno attingendo dalla graduatoria dell’ultimo concorso fatto per il Sant’Andrea per far fronte all’emergenza coronavirus con quanto più personale possibile.“Servono operatori con cui aiutare gli ospedali, dato che medici e infermieri sono allo stremo delle forze. “Ed è giusto che facciano così – ha proseguito Igor – Ma questi ragazzi non si andranno ad aggiungere a noi, ci andranno a sostituire. La nostra professionalità e la nostra formazione non vengono nemmeno prese in considerazione. Ed è assurdo che in periodo di emergenza si mandi via personale altamente qualificato, sarebbero bastati solo altri sei mesi per essere assunti”.Come Igor, nella stessa situazione si trovano una trentina di operatori sanitari. Insieme hanno mandato una lettera alla Regione Lazio e all’azienda ospedaliera per spiegare la situazione e chiedere di essere assunti, nella speranza di poter continuare a lavorare anche dopo la fatidica scadenza contratto di maggio.

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Lavoro nero, Romina lavoratrice invisibile costretta a stare a casa per l’emergenza coronavirus: “Senza aiuti economici rischio la fame” https://www.business.it/lavoro-nero-aiuti-economici-fame/ Mon, 30 Mar 2020 21:53:36 +0000 https://www.business.it/?p=61850 Un lavoro che, di fatto, non esiste. Per chi come Romina ha una carriera professionale inesistente agli occhi dello Stato italiano, la quarantena obbligatoria dettata dall’emergenza coronavirus sta succhiando via i pochi risparmi che questi ex lavoratori avevano in banca. “A 47 anni sono sempre riuscita a cavarmela da sola, mi sono adattata a qualsiasi… Leggi tutto »Lavoro nero, Romina lavoratrice invisibile costretta a stare a casa per l’emergenza coronavirus: “Senza aiuti economici rischio la fame”

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Un lavoro che, di fatto, non esiste. Per chi come Romina ha una carriera professionale inesistente agli occhi dello Stato italiano, la quarantena obbligatoria dettata dall’emergenza coronavirus sta succhiando via i pochi risparmi che questi ex lavoratori avevano in banca. “A 47 anni sono sempre riuscita a cavarmela da sola, mi sono adattata a qualsiasi tipo di lavoro – ha raccontato Romina a Repubblica -. Ora sono costretta ad andare a chiedere i pacchi di pasta, come i veri poveri. Perché quelli come me sono gli invisibili, quelli che lavorano in nero e oggi siamo alla fame”. Lavorare in nero è spesso una condizione dettata dall’esigenza economica familiare difficile, e nel momento in cui si è impossibilitati ad andare sul posto di lavoro, il “dipendente” non è coperto da nessuna forma di aiuto economico né da parte del datore di lavoro, né dallo Stato.Romina R., residente ad Acilia, è una delle tantissime persone che nella vita ha avuto solo per brevi periodi la possibilità di essere messa in regola. Il resto della sua carriera professionale è stato rimboccarsi le maniche, andare a fare le pulizie delle scale nei palazzi o nelle case per otto euro l’ora, ma rigorosamente in nero. La donna, che ormai a causa della quarantena non lavora più da tre settimane, ha ormai prosciugato i pochi risparmi sul conto corrente per garantire in casa un pasto caldo alla sua famiglia: “A metà febbraio avevo trovato lavoro come donna delle pulizie in un albergo di Roma con un periodo di prova e poi il contratto a termine – ha raccontato la Romina -. Niente da fare: dal 3 marzo tutti a casa e quei 20 giorni lavorati? L’acconto di 91 euro che mi avevano accreditato sul conto se lo è tenuto la banca perché era talmente tanto tempo che non passavano soldi sul mio conto corrente che appena sono arrivati quei novanta euro me li hanno trattenuti per tutte le spese di conto e cose varie. Risultato: da tre settimane sono a secco, senza un euro”.Grazie al grande cuore di qualche cara amica che si preoccupa di aiutare Romina con spesa gratis e qualche soldo in regalo, la donna riesce ancora oggi a tirare avanti: “Sono riuscita a vivere grazie a qualche amica che mi ha fatto la spesa o regalato 50 euro. Ora davvero non so come andare avanti: se prorogheranno, come certamente sarà, il decreto che impedisce di uscire, io rischio la fame. E questo è il destino di chi ha sempre sperato di essere messa in regola, ma si è dovuta adeguare a lavori in nero, altrimenti non si tirava avanti”. Secondo Romina, purtroppo nonostante il bisogno del suo operato, nessuna delle persone del suo giro di lavoretti di pulizie le ha mai proposto una legale condizione contrattuale.Dunque in una situazione disperata come questa, ed impossibilitata ad uscire di casa in cerca di un nuovo lavoro, a Romina non resta che attendere che la situazione si sblocchi e che lo Stato si mobiliti per aiutare questo “esercito di lavoratori invisibili” di cui lei fa parte: “Adesso non mi resta che aspettare di essere ammessa tra quelli che possono andare a prendere la spesa gratis, non ho altre alternative. – ha sottolineato la donna -. Faccio parte dell’esercito dei fantasmi, perché è questo che siamo per lo stato noi lavoratori in nero. Badanti, donne delle pulizie, dogsitter, babysitter, senza contratto, senza un futuro contributivo e ora ci ritroviamo con un pugno di mosche in mano”.

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“La commessa morta a Brescia potevo essere io”: la testimonianza di Alessandra nella sua quotidiana trincea del supermercato in cui lavora https://www.business.it/commessa-alessandra-supermercato-lavoro/ Thu, 26 Mar 2020 22:41:07 +0000 https://www.business.it/?p=61682 Oltre a figure professionali come medici, infermieri e operatori sanitari che si occupano di svolgere un lavoro essenziale rischiando in prima linea la propria salute, in tempi di coronavirus ci sono anche lavoratori che pur restando nell’ombra stanno svolgendo un servizio necessario e fondamentale. Ne sa qualcosa Alessandra Durastante, che da 21 anni lavora presso… Leggi tutto »“La commessa morta a Brescia potevo essere io”: la testimonianza di Alessandra nella sua quotidiana trincea del supermercato in cui lavora

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Oltre a figure professionali come medici, infermieri e operatori sanitari che si occupano di svolgere un lavoro essenziale rischiando in prima linea la propria salute, in tempi di coronavirus ci sono anche lavoratori che pur restando nell’ombra stanno svolgendo un servizio necessario e fondamentale. Ne sa qualcosa Alessandra Durastante, che da 21 anni lavora presso l’Auchan di Vicenza, e come tanti altri addetti ai supermercati, nonostante il forte rischio di poter contrarre il coronavirus sta continuando a recarsi come sempre sul posto di lavoro per non far mancar a nessuno in casa qualsiasi genere di prima necessità. “Nei primi momenti abbiamo davvero temuto per noi stessi e per la nostra salute e ci siamo sentiti molto vulnerabili – ha affermato la donna in un’intervista per il sito di notizie Aleteia -. Il Governo ha deciso di tenere aperti i supermercati, oltre che ovviamente ospedali e farmacie, però per queste due ultime realtà c’è stato un occhio di riguardo mentre per la mia, non sono state prese misure di sicurezza immediate. Nella fase iniziale non sapevamo quali potessero essere i nostri diritti e i limiti entro i quali lavorare senza esporci troppo al rischio di contagio”.

Ancora poca sicurezza al lavoro
“In questo momento nel punto vendita dove lavoro, sono state stabilite delle regole. Sono state messe le barriere di plexiglass davanti alla cassa, in modo tale che la cassiera non sia completamente esposta al cliente che di solito staziona lì davanti per una distanza anche inferiore al metro, e una barriera all’accoglienza dove i clienti si fermano per chiedere informazioni. Queste novità sono state apportate intorno al 14 marzo scorso – ha ricordato Alessandra -. Fino a quella data eravamo esposti completamente: i clienti entravano senza mascherina, noi non ce l’avevamo, i guanti sono arrivati un po’ a rilento, i disinfettanti per le mani non li abbiamo visti fino a poco tempo fa”.

Un alto rischio anche per i familiari
“Sia io che mio marito lavoriamo nella grande distribuzione, lui è caporeparto commerciale e lavora in un supermercato, quindi entrambi siamo molto esposti e corriamo il rischio di ammalarci e far ammalare la famiglia”, ha ricordato Alessandra. Infatti spesso la questione passa in secondo piano, ma il lavoratore oltre a correre il rischio di contrarre il virus, ha una forte possibilità di portarselo in casa propria, facendo così ammalare anche gli altri membri della famiglia. “Abbiamo due figli di 7 e 9 anni e la prima cosa che ci siamo sentiti di fare è quella di dormire separati: uno in taverna, l’altro in camera per provare a mantenere la distanza. Anche con i bambini cerchiamo di non avvicinarci più di tanto, per cui anche gli abbracci, i baci, in questo momento vengono meno purtroppo”.

La morte della collega di Brescia
“Quando ho appreso la notizia la prima cosa che ho pensato è stata: poteva capitare a me. Una donna di 48 anni che sicuramente aveva famiglia e che se non fosse stato per questo virus non sarebbe morta. Io credo che avrebbero dovuto chiudere tutto molto prima”. Secondo Alessandra, tenere aperti servizi necessari come i supermercati, perché oltre a fornire appunto i beni di prima necessità fa anche in modo che non si creino allarmismo e panico da parte della popolazione. Peccato che, come ha confermato la donna, la teoria si è discostata dalla realtà: si è verificato infatti la corsa agli approvvigionamenti in maniera abnorme, con beni di prima necessità come farina e lievito non si trovavano più, ma sono spariti dagli scaffali anche prodotti igienizzanti come amuchina, guanti, candeggina, alcool. “Ci sono stati approvvigionamenti anomali perché le persone erano molto spaventate. Quando ci sono arrivate le mascherine di panno, tipo swiffer, ci siamo resi conto che erano inadeguate e ci è sembrata un po’ una beffa”.

Dietro un lavoro silenzioso c’è un grande servizio
“Il supermercato oggi ha un ruolo sociale, perché i clienti più anziani, le persone che hanno delle difficoltà o che sono sole, sanno che venire da noi significa ricevere anche una parola buona, un sorriso: la cassiera che fa la battuta, il salumiere che conosce già le abitudini. Questo infonde loro tanta sicurezza, non li fa sentire completamente isolati. Un giorno ero in cassa e un cliente guardandomi attentamente negli occhi mi ha detto: “La ringrazio per il lavoro che state facendo. Voi siete qui tutti i giorni, quando tante altre categorie sono a casa”. Mi ha emozionato. È un lavoro silenzioso il nostro, però è un grosso servizio”.

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Perde il lavoro e si impicca a 40 anni: il dramma di Simone ha sconvolto l’Italia https://www.business.it/perde-il-lavoro-e-si-impicca-a-40-anni-il-dramma-di-simone-ha-sconvolto-litalia/ Fri, 24 Jan 2020 07:36:24 +0000 https://www.business.it/?p=58454 Una morte orribile, quella di Simone Sinigaglia. Un dramma che ha commosso l’Italia intera, quello in quarantenne che, dopo aver perso il posto di lavoro nell’azienda in cui lavorava, ha deciso di farla finita. Per farlo, si è recato in un posto a lui caro, una zona dove andava a pescare per rilassarsi e dove… Leggi tutto »Perde il lavoro e si impicca a 40 anni: il dramma di Simone ha sconvolto l’Italia

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Una morte orribile, quella di Simone Sinigaglia. Un dramma che ha commosso l’Italia intera, quello in quarantenne che, dopo aver perso il posto di lavoro nell’azienda in cui lavorava, ha deciso di farla finita. Per farlo, si è recato in un posto a lui caro, una zona dove andava a pescare per rilassarsi e dove si è tolto la vita. Operaio, dopo il licenziamento era caduto in un forte stato depressivo dal quale, purtroppo, non è più riuscito a rialzarsi.Secondo quanto scrive Il Gazzettino, il 40enne conosceva il tratto di strada in via Argine Gorzone Destro, a Sant’Urbano (Padova), dove si è impiccato con una corda al ramo di un albero. Il corpo è stato notato da un passante che ha subito chiamato i carabinieri. Sinigaglia lavorava per la Ivg Colbachini, azienda di Fossona di Cervarese: da qualche settimana Simone era disperato per via di un procedimento disciplinare per via di un presunto utilizzo improprio dei permessi della legge 104, che l’uomo chiedeva per assistere l’anziana madre malata.All’inizio l’operaio, che si era rivolto a un sindacato per risolvere la controversia, si era mostrato fiducioso in un esito positivo della vicenda. Poi però, come una doccia fredda, era invece arrivato il licenziamento. Forse per vergogna o per aver fallito, o per la paura di non trovare un altro lavoro, Simone si così tolto la vita. Per farlo è andato in quel luogo dove amava pescare, e ha deciso di farla finita: sul posto è arrivata un’ambulanza del Suem insieme a una pattuglia di carabinieri, ma non c’era niente da fare, il cuore di Simone aveva già cessato di battere.“La notizia della morte di Simone mi ha letteralmente sconvolto – ha commentato Sergio Polzato, segretario generale della Femca Cisl, che lo aveva aiutato nella questione – l’avevo conosciuto proprio a seguito di questa vertenza. In questo momento non posso che esprimere cordoglio e massima vicinanza alla famiglia”. I colleghi della Ivg Colbachini del turno pomeridiano, in segno di solidarietà, hanno lasciato la catena di produzione poco prima delle 20 e sono scesi strada.

Costrette a vivere in macchina, mamma e figlia hanno ora una nuova casa

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Di giorno Babbo Natale, di notte senza fissa dimora: “Io, senzatetto regalo sorrisi ai bambini” https://www.business.it/babbo-natale-senzatetto-bambini/ Sat, 21 Dec 2019 07:57:32 +0000 https://www.business.it/?p=56839 In un centro commerciale della Capitale, c’è un dolcissimo Babbo Natale tutto speciale: non possiede nessuna slitta scintillante trainata dalle renne o elfi come aiutanti, e se dobbiamo dirla tutta non ha neanche una casa, ma è sempre pronto regalare sorrisi a tutti i bambini che si fermano da lui. Siamo nel quartiere la Bufalotta,… Leggi tutto »Di giorno Babbo Natale, di notte senza fissa dimora: “Io, senzatetto regalo sorrisi ai bambini”

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In un centro commerciale della Capitale, c’è un dolcissimo Babbo Natale tutto speciale: non possiede nessuna slitta scintillante trainata dalle renne o elfi come aiutanti, e se dobbiamo dirla tutta non ha neanche una casa, ma è sempre pronto regalare sorrisi a tutti i bambini che si fermano da lui. Siamo nel quartiere la Bufalotta, a Porta di Roma, tempio dello shopping da 90 mila visitatori al giorno, e questo speciale Babbo Natale si chiama Liborio Di Martina, un senzatetto di 68 anni appena fatti, con alle spalle la fatica di un decennio in giro per le strade di Roma di giorno, e un letto in un dormitorio a San Lorenzo di notte. Da qualche settimana, Liborio è riuscito a trovare un lavoro provvisorio nel centro commerciale come Babbo Natale, ma il contratto a termine svanirà con l’arrivo della Befana. “Sono il Babbo Natale più amato di Roma”, ha raccontato Liborio a Repubblica.

Durante il periodo natalizio, seduto su una specie di trono scintillante al piano terra del centro commerciale, lo speciale Babbo Natale si fa fotografare insieme ai bambini. “Ho scoperto che qui nel centro commerciale cercavano un Babbo Natale – ha ricordato Liborio – e mi sono detto chi meglio di me? Così mi sono presentato”. Nato in Sicilia vicino a Ragusa, all’età di 20 anni Liborio decide di emigrare in Germania dove ha lavorato come manovale. Dopo la fine del suo matrimonio ed aver messo al mondo due belle figlie, Babbo-Liborio è tornato in Italia, senza riuscire però a trovare un lavoro. Oggi tra la pensione tedesca e quella italiana, la sua entrata economica ammonta a meno di 500 euro, cifra che a Roma basta a mala pena per l’affitto di una casa.

Così Liborio ha deciso di arrangiarsi a dormire nella struttura messa a disposizione dall’Esercito della salvezza: “Gli orari sono rigidi, si deve rientrare prima delle sei altrimenti niente letto e niente pasto caldo. La mattina, gelo d’inverno e caldo bestiale d’estate, non ha importanza, alle 8 tutti devono stare fuori. Allora vado in giro di qua e di là, mi riposo su una panchina, mi riparo nei centri commerciali alla ricerca del caldo o dell’aria condizionata”. E proprio qui a Porta di Roma, il senzatetto si è imbattuto in questo lavoretto, e ha avuto il coraggio di candidarsi per raccimolare qualche soldo.

Insomma Babbo Natale di giorno e senzatetto di notte, di certo Liborio ha una vita al quanto complicata, ma nonostante questo non nega a nessun bambino il suo sorriso. “Se incontrassi Babbo Natale, quello vero, per regalo gli chiederei un tetto sulla testa. – ha affermato Babbo-Liborio con un velo di malinconia negli occhi – Una camera, bagno e cucina: il mio sogno”.

 

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Da migrante a venditrice top in un supermercato di Roma: la commovente storia di Ella https://www.business.it/ella-venditrice-top-supermercato/ Sat, 14 Dec 2019 07:54:22 +0000 https://www.business.it/?p=56386 Arrivano in Italia dopo aver attraversato il Mediterraneo rischiando di perdere la vita in mare. E’ la storia di tanti uomini e donne migranti che sbarcano in Italia in cerca di un futuro migliore e di una speranza. Tra questi c’è Ella Antony, nigeriana di 33 anni, che dallo scorso 19 luglio lavora come addetta… Leggi tutto »Da migrante a venditrice top in un supermercato di Roma: la commovente storia di Ella

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Arrivano in Italia dopo aver attraversato il Mediterraneo rischiando di perdere la vita in mare. E’ la storia di tanti uomini e donne migranti che sbarcano in Italia in cerca di un futuro migliore e di una speranza. Tra questi c’è Ella Antony, nigeriana di 33 anni, che dallo scorso 19 luglio lavora come addetta alle vendite nel reparto gastronomia di un supermercato a Roma. Cinque anni fa, dopo aver attraversato il deserto nel Niger, ha raggiunto la Libia e con un barcone ha attraversato il Mediterraneo sbarcando a Taranto. Oggi Ella fa parte di quella parte di migranti che sono riusciti ad integrarsi in Italia. “Per il momento questa è la mia strada – spiega – e voglio imparare bene tutti gli aspetti del lavoro per affrontare al meglio il futuro”. Ma già adesso il suo impegno nel supermercato in zona piazza Bologna, è un successo.

Uno dei reparti più produttivi d’Italia
“Ella ha imparato rapidamente – spiega Aniello Bove, responsabile delle Risorse Umane di Carrefour – e grazie alla sua contagiosa forza di volontà c’è stato uno scambio ed uno stimolo reciproco con i suoi colleghi: il volume d’affari del reparto gastronomia è cresciuto ed ha raggiunto i primi posti in Italia”.  Nel suo paese Ella ha lasciato la madre, un fratello e 6 sorelle, lei è la più piccola della famiglia. Il padre lo ha perso quando aveva 5 anni. “Quando sono andata via dalla Nigeria – racconta – lavoravo come assistente direttore della fotografia in ambito cinematografico”. In precedenza aveva già fatto un’esperienza in un catering “perché – dice – mi è sempre piaciuto cucinare”.

L’arrivo in Italia
Quando è arrivata in Italia è rimasta per un mese in un centro di accoglienza a Taranto, poi è stata trasferita in un altro centro, sempre per un mese, in Abruzzo. Quindi è arrivata a Monterotondo, comune alle porte di Roma, dove per due anni è rimasta in un centro per donne in difficoltà. “Qui ho fatto un corso – spiega – per imparare l’italiano, quindi un corso di formazione per computer, un tirocinio nell’ambito cinematografico e mi sono iscritta alla scuola media inferiore e alla fine ho ottenuto i documenti per rimanere in Italia”.

Dal tirocinio al contratto
“Il giorno del colloquio al supermercato – ricorda Ella – mi sono detta ‘speriamo che mi prendano a fare un lavoro che mi piace’. E così è stato. Ho fatto un tirocinio retribuito alla Carrefour nel reparto rosticceria: cucinavo e servivo. Mi piace cucinare e vedere la gente soddisfatta di tutto ciò che ho preparato. Il 19 luglio scorso ho firmato il contratto e da allora lavoro nel reparto generale di gastronomia”. Ella ci tiene a dire di aver trovato “una famiglia” in quel supermercato di Roma. “Mi trattano come una di loro, una lavoratrice. In Italia non è molto facile per noi stranieri di colore, all’inizio avevo paura. Il giorno del mio compleanno, il 25 novembre, quando sono arrivata al lavoro, mi hanno fatto una sorpresa: ho trovato una torta e dei regali”. Ella prima di allora non aveva mai festeggiato il suo compleanno. “Io voglio dare la forza agli altri, quando pensano che non possono sopravvivere: la forza di ricominciare la vita e mi dicono – conclude Ella – ‘voglio essere come te'”.

 

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Vince 123 milioni di euro alla lotteria ma non vuole lasciare il lavoro: “Ho preso un impegno con i clienti e non posso abbandonarli” https://www.business.it/vince-lotteria-non-lascia-lavoro/ Wed, 11 Dec 2019 07:13:03 +0000 https://www.business.it/?p=56138 E’ capitato a tutti: quante volte ci è successo di sognare di vincere alla lotteria milioni di euro ed avverare i nostri desideri come comprare una casa o un’auto nuova e soprattutto smettere di lavorare vivendo di rendita. Quest’ultimo un desidero molto comune, ma c’è anche chi a smettere di lavorare non ci pensa proprio.… Leggi tutto »Vince 123 milioni di euro alla lotteria ma non vuole lasciare il lavoro: “Ho preso un impegno con i clienti e non posso abbandonarli”

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E’ capitato a tutti: quante volte ci è successo di sognare di vincere alla lotteria milioni di euro ed avverare i nostri desideri come comprare una casa o un’auto nuova e soprattutto smettere di lavorare vivendo di rendita. Quest’ultimo un desidero molto comune, ma c’è anche chi a smettere di lavorare non ci pensa proprio. Come il fortunato Steve Thomson, un 42enne inglese e vive a Selsey, nel West Sussex, insieme alla moglie Lenka e ai loro due figli, di 10 e 15 anni, che lo scorso 19 novembre (come riporta il Mirror) ha vinto il concorso di Euromillions, ottenendo la bellezza di 105 milioni di sterline (circa 122,7 milioni di euro). Nonostante la sua vita sia inevitabilmente destinata a cambiare, al momento Steve non vuole proprio sapere di lasciare il lavoro da muratore nonostante questa straordinaria vincita alla lotteria.

“Ho ancora dei lavori da finire, avevo preso degli impegni coi clienti e non posso abbandonarli. Non ho la minima intenzione di smettere di lavorare, voglio mantenere la parola data ai clienti e comunque non voglio tenere tutto per me” – ha spiegato l’uomo – “Quello che abbiamo vinto è anche troppo per la nostra famiglia, ho deciso che saremo generosi: vogliamo aiutare i nostri parenti e i nostri amici, ma anche tante persone che in questo momento si trovano in difficoltà. Vogliamo che sia un buon Natale per tutti, non solo per noi”.

Di diverso parere invece la moglie di Steve, Lenka, di origini slovacche, che ha invece deciso di lasciare immediatamente il lavoro di cassiera in un discount aperto 24 ore su 24. La donna, infatti, ha spiegato: “Vorrei riposarmi un po’, i turni di notte sono stancanti e spesso non riuscivo a passare del tempo coi miei figli. La prima cosa che farò è comprare una nuova casa, più grande”. E voi cosa fareste se doveste vincere alla lotteria? Lo lascereste il lavoro?

 

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Lavorare in Danimarca, orario ridotto e niente straordinari: chi lavora fino a tardi rischia brutte figure con capi e colleghi https://www.business.it/danimarca-orario-ridotto-no-straordinari/ Wed, 07 Aug 2019 10:28:06 +0000 https://www.business.it/?p=50650 Lavorare fino a tardi in Italia è un’abitudine spesso apprezzata da capi e colleghi, ma ci sono paesi europei dove questa consuetudine non è vista proprio come un pregio. E’ quanto accade in Danimarca, dove la tipica giornata lavorativa inizia tra le 8 e le 9 del mattino e termina tra le 16 e le… Leggi tutto »Lavorare in Danimarca, orario ridotto e niente straordinari: chi lavora fino a tardi rischia brutte figure con capi e colleghi

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Lavorare fino a tardi in Italia è un’abitudine spesso apprezzata da capi e colleghi, ma ci sono paesi europei dove questa consuetudine non è vista proprio come un pregio. E’ quanto accade in Danimarca, dove la tipica giornata lavorativa inizia tra le 8 e le 9 del mattino e termina tra le 16 e le 17 del pomeriggio, e al venerdì si torna a casa ancora prima. L’orario di lavoro settimanale è di 37 ore, ma una recente indagine dell’OCSE mostra che il danese medio lavora appena 33 ore circa alla settimana. Quasi nessuno fa gli straordinari, che in Danimarca praticamente non esistono, e a nessuno verrebbe in mente di restare sul posto di lavoro più a lungo del necessario solo per fare bella figura con il capo. Anzi, restare in ufficio solo per fare buona impressione potrebbe addirittura avere un effetto negativo nonché metterebbe in discussione l’efficienza come anche la capacità di gestire il proprio tempo da parte dei dipendenti. Il datore di lavoro si fida dei propri impiegati e finché si eseguono bene i propri incarichi, possono anche andare a casa in orario.Alta considerazione per la vita privata
Il mantra dello stile danese è work-life balance, e non è solamente uno slogan che usano le aziende per attrarre i lavoratori: i danesi infatti si confermano di nuovo al primo posto della classifica dei popoli più felici l mondo. In Danimarca il tempo libero è sacro e va rispettato, così come quello dedicato alla famiglia, allo svago e al divertimento. Dopo il lavoro infatti, i danesi si dedicano ai propri hobby, fanno sport o escursioni nella natura scandinava. Ad esempio, è molto diffuso lo stand-up paddle (una variante del surf in cui si sta in piedi sulla tavola e si usa una pagaia per muoversi, ndr). E poi cucinano o trascorrono il tempo con la loro famiglia e i loro amici. Alcune attività sono persino incluse nel calendario degli impegni lavorativi e vengono rispettate dai colleghi, ad esempio se un collega deve andare a prendere i figli in un determinato orario, a quell’ora non verrà più fissato alcun impegno lavorativo.
Più felici e più efficienti
Il risultato? Il giorno dopo, i dipendenti sono tutti di nuovo sul posto di lavoro riposati e rilassati, e la stessa riunione, fatta da persone non stanche o stressate, sarà probabilmente più veloce. E si sarà anche più produttivi: come ha scoperto un’indagine, le persone felici sono più efficienti del 12%. Un lavoratore felice è un lavoratore che va al lavoro più volentieri, è un lavoratore che quando c’è da stare un’ora in più sta volentieri, e se c’è qualcosa da fare che non rientri nelle sue competenze, la fa lo stesso. Ti potrebbe interessare anche: Lauree umanistiche: inutili in Italia, un jolly prezioso all’estero

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I ricchi d’Italia vivono a Milano: il 50% dei cittadini che guadagnano più di 533 mila euro si trovano nel capoluogo lombardo https://www.business.it/i-ricchi-ditalia-vivono-a-milano-il-50-dei-cittadini-che-guadagnano-piu-di-533-mila-euro-si-trovano-nel-capoluogo-lombardo/ Tue, 16 Jul 2019 17:21:49 +0000 https://www.business.it/?p=49755 Milano è la città più benestante d’Italia, ma anche il posto preferito dai super ricchi italiani: infatti il 50% dei cittadini che guadagnano più di 533 mila euro abita proprio nel capoluogo lombardo. A segnalarlo, l’ultima Relazione Annuale dell’Inps, secondo cui in seconda posizione si piazza Roma, con percentuali che però non sono pari nemmeno… Leggi tutto »I ricchi d’Italia vivono a Milano: il 50% dei cittadini che guadagnano più di 533 mila euro si trovano nel capoluogo lombardo

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Milano è la città più benestante d’Italia, ma anche il posto preferito dai super ricchi italiani: infatti il 50% dei cittadini che guadagnano più di 533 mila euro abita proprio nel capoluogo lombardo. A segnalarlo, l’ultima Relazione Annuale dell’Inps, secondo cui in seconda posizione si piazza Roma, con percentuali che però non sono pari nemmeno a un terzo di quelle milanesi. Nel dettaglio, nella capitale internazionale della moda risiede il 54% del top 0,01%, ossia di quella piccolissima fascia di popolazione che guadagna più di 533 mila all’anno, e il 42% del top 0,1%, ossia di coloro che intascano oltre 217 mila euro annui. Sarà forse per questo che la città lombarda è una di quelle più care al mondo?Ma chi sono i ricchi milionari milanesi?
Non è dato sapersi. Quel che è certo è che sono soprattutto uomini: nel top 0,01% la percentuale di donne è pari solamente al 7,5% e nel top 0,1% al 15%. Come riporta l’Inps, “L’aumento della concentrazione dei top earners nella provincia di Milano man mano che si sale nella distribuzione del reddito è un fenomeno significativo – spiega l’Inps – e offre spunti di analisi sulla concentrazione geografica del reddito e le sue implicazioni sull’agglomerazione di competenze qualificate e imprese produttive in pochi centri distribuiti in maniera fortemente disomogenea sul territorio nazionale”. Sempre in base ai dati riportati dall’Inps, si conferma un aumento rilevante nel tempo della soglia necessaria per entrare nel top 0,1% e soprattutto nel top 0,01% della popolazione dei lavoratori: per questo ultimo la soglia aumenta da 220.000 euro nel 1978 a 533.000 euro nel 2017 (+242%).milionari-più-riccchi-del-mondo-2Infine, un peso va dato sicuramente al lavoro part time cresciuto del 5% rispetto al 2008. Ad oggi il 20% degli occupati lavora part time contro il 15% del 2008 mentre per quanto riguarda la caduta del Pil dall’inizio della crisi questa è stata di 2.000 euro pro capite.

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Laureati in Ingegneria: le aziende italiane non possono più farne a meno https://www.business.it/laureati-in-ingegneria-le-aziende-italiane-non-possono-piu-farne-a-meno/ Tue, 09 Jul 2019 16:20:53 +0000 https://www.business.it/?p=49379 Con il crescente sviluppo dell’impresa 4.0, le aziende italiane non possono fare a meno di rincorrere sul mercato del lavoro i giovani laureati in ingegneria. A darne una conferma è stata l’indagine sui neolaureati che l’associazione dei direttori del personale Gidp ha appena condotto sui suoi aderenti: negli ultimi 12 mesi il 95% del gruppo… Leggi tutto »Laureati in Ingegneria: le aziende italiane non possono più farne a meno

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Con il crescente sviluppo dell’impresa 4.0, le aziende italiane non possono fare a meno di rincorrere sul mercato del lavoro i giovani laureati in ingegneria. A darne una conferma è stata l’indagine sui neolaureati che l’associazione dei direttori del personale Gidp ha appena condotto sui suoi aderenti: negli ultimi 12 mesi il 95% del gruppo di aziende analizzato, ha manifestato un significativo interesse verso l’inserimento dei giovani (il 95% del campione ha assunto neolaureati o ha immesso stagisti), e rispetto all’analoga indagine del 2018 i neolaureati selezionati sono stati inseriti maggiormente in posizioni di ricerca e sviluppo, funzione che rivela dunque un’importante crescita dovuta all’estendersi dell’impresa 4.0. Un forte segnale, che decreta un sorpasso netto della funzione marketing che, fino all’anno scorso, assorbiva la maggior parte degli inserimenti.Secondo l’indagine Gidp, la laurea più ricercata è stata quella in Ingegneria, posseduta dal 63% dei nuovi assunti, seguita con notevole distacco (20%) da Economia e, ancor più distanziata, dalla laurea in Informatica (7%). Per inserire le nuove giovani risorse, le aziende si sono rivolte prevalentemente al placement universitario (37%) seguito dalle Agenzie per il lavoro (21%), mentre anche i social network, con il 9% delle preferenze, cominciano a pesare molto più che negli anni precedenti (erano al 3% nel 2018).
Oltre che dal punto di vista lavorativo, anche sotto il profilo economico una laurea in ingegneria da parecchie soddisfazioni: secondo uno studio di Od&M consulting, la società che fa capo alla multinazionale italiana del lavoro Gi Group, un ingegnere con laurea magistrale al primo impiego riceve in media una retribuzione di base annua lorda di 28.990 euro. Maggiore, quindi, della media di tutti i laureati, che si ferma a 26.770 euro. Tutto l’opposto delle lauree umanistiche, collocate sugli ultimi gradini della scala retributiva a 22.950 euro, con in particolare le lauree letterarie che devono accontentarsi di 21.410 euro. Secondo la classifica della domanda, al primo posto dei più ricercati c’è l’ingegnere informatico seguito subito dall’ingegnere elettronico.voucher, disoccupazione, inpsTi potrebbe interessare anche: Istat, a maggio disoccupazione sotto il 10%. Sale il tasso di occupazione

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Partecipare al progetto Erasmus conviene! Più successo nella vita personale e professionale rispetto agli studenti che restano in Italia https://www.business.it/partecipare-al-progetto-erasmus-conviene-piu-successo-nella-vita-personale-e-professionale-rispetto-agli-studenti-che-restano-in-italia/ Thu, 30 May 2019 16:55:25 +0000 https://www.business.it/?p=47133 Un giovane che decide di intraprendere un’esperienza di scambio culturale come l’Erasmus, non lo fa solo per apprendere e conoscere nuove lingue all’estero ma soprattutto per aumentare il successo nella vita personale e trovare lavoro più facilmente. La conferma arriva da un rapporto della Commissione Ue sul progetto Erasmus+. I partecipanti dello studio di impatto… Leggi tutto »Partecipare al progetto Erasmus conviene! Più successo nella vita personale e professionale rispetto agli studenti che restano in Italia

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Un giovane che decide di intraprendere un’esperienza di scambio culturale come l’Erasmus, non lo fa solo per apprendere e conoscere nuove lingue all’estero ma soprattutto per aumentare il successo nella vita personale e trovare lavoro più facilmente. La conferma arriva da un rapporto della Commissione Ue sul progetto Erasmus+. I partecipanti dello studio di impatto sul programma Erasmus+ per l’alta formazione hanno giudicato in prima persona il programma europeo di scambio per universitari come una valida “palestra” di vita prima ancora che di studio. E anche di lavoro, visto che quasi l’80% dei laureati in possesso di un’esperienza all’estero trova un posto entro tre mesi.
Secondo i dati riportati sul Sole24Ore, sono circa 2 milioni gli studenti e i dipendenti delle università che hanno partecipato ai progetti di scambio tra il 2014 e il 2018. Di questi il 72% attribuisce a Erasmus+ il merito di aver aumentato le possibilità di trovare un lavoro. E i numeri lievitano se l’analisi si basa sui dati del Sud Europa – e dunque anche all’Italia – salendo al 74%. Da qui un effetto-sprint sui tempi medi tra la laurea e la prima occupazione: meno di tre mesi nel 79% dei casi (più un altro 10% che ci impiega invece tra 3 e 6 mesi) contro il 75% che serve invece ai laureati che sono rimasti a studiare stabilmente in Italia. Tanti inoltre i benefici, gli ambiti di miglioramento grazie alle soft skills acquisite: da quelle digitali (che il 51% degli intervistati giudica progredite) e imprenditoriali (69%); dal problem solving (76%), dal pensiero critico (79%) e dalle lingue straniere (88%) e si arriva al terzetto in testa ai miglioramenti in generale ossia: nelle capacità relazionali, spirito di adattamento e conoscenza del paese ospitante, con numeri che arrivano al 91%.
La fetta di laureati impiegati in un Paese diverso da quello di origine poi aumenta di anno in anno: dal 26% del 2015 si è passati infatti al 28% del biennio 2016-2017. In definitiva, i risultati dimostrano che gli ex studenti Erasmus+ sono più soddisfatti del loro posto di lavoro rispetto a quelli che non si sono recati all’estero., e hnno altresì una carriera più internazionale e quasi il doppio delle probabilità di lavorare all’estero.

 

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Lavoratori stranieri in sostituzione a quelli italiani: dal 2008 aumentata l’occupazione ma a beneficiarne sono stati gli extracomunitari https://www.business.it/lavoratori-stranieri-in-sostituzione-a-quelli-italiani-dal-2008-aumentata-loccupazione-ma-a-beneficiarne-sono-stati-gli-extracomunitari/ Wed, 08 May 2019 15:10:07 +0000 https://www.business.it/?p=45908 Negli ultimi dieci anni l’occupazione in Italia appare in ripresa segnando una crescita di +124.641 unità a partire dal 2008 ad oggi. Il dato è emerso da una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro, realizzata su elaborazione di dati Istat ed Eurostat, che se da un lato evidenzia un’aumento dell’occupazione nel nostro Paese, dall’altro fa però… Leggi tutto »Lavoratori stranieri in sostituzione a quelli italiani: dal 2008 aumentata l’occupazione ma a beneficiarne sono stati gli extracomunitari

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Negli ultimi dieci anni l’occupazione in Italia appare in ripresa segnando una crescita di +124.641 unità a partire dal 2008 ad oggi. Il dato è emerso da una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro, realizzata su elaborazione di dati Istat ed Eurostat, che se da un lato evidenzia un’aumento dell’occupazione nel nostro Paese, dall’altro fa però emergere anche un effetto “sostituzione”. Infatti dai risultati della ricerca, suddividendo gli occupati totali per cittadinanza (ovvero tra italiani e stranieri UE ed extra UE) dal 2008 al 2018 quelli stranieri sono infatti aumentati da 1.690.090 a 2.455.003 (+764.913 unità, +45,3%) a fronte della riduzione di quelli italiani, che sono invece diminuiti da 21.400.258 a 20.759.946 (-640.312 unità, -3,0%).
Secondo ImpresaLavoro, prendendo in considerazione soltanto i cittadini stranieri extra-UE, ci si accorge inoltre di un dato altrettanto significativo: l’Italia è tra i pochissimi Paesi europei in cui questi sono occupati più e meglio dei cittadini nazionali. Secondo i più recenti dati Eurostat (2017), il tasso di occupazione dei cittadini italiani tra i 15 e i 64 anni residenti nel nostro Paese è del 57,7%: un dato che si avvicina molto a quello della Croazia (59%) e che risulta nettamente inferiore alla media dell’Unione a 28 membri (68,1%).
In tutta Europa soltanto la Grecia (53,6%) ha un mercato del lavoro meno efficiente del nostro. In questa particolare classifica siamo quindi nettamente superati da tutti i nostri principali competitor: Germania (77,3%), Paesi Bassi (76,7%), Regno Unito (74,4%), Portogallo (67,8%), Irlanda (67,1%), Francia (65,8%) e Spagna (61,4%).
Guardando invece solamente alla percentuale di occupati tra i lavoratori extra-UE residenti in Italia, la posizione in classifica del nostro Paese vola verso l’alto, dal penultimo al quattordicesimo posto: il nostro 59,1% risulta infatti largamente superiore alla media dell’Unione a 28 membri (54,6%). Si tratta di un dato in netta controtendenza rispetto a quanto avviene abitualmente negli altri Paesi e soprattutto nelle altre economie avanzate del continente. Una “ripresa” del mercato del lavoro dunque, che non sorride a tutti in maniera eguale, con i migranti sembrano avere una marcia in più.

 

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Lavoro, il peso del fisco sul salario schiaccia le famiglie italiane: cuneo fiscale in salita al 47,9% https://www.business.it/lavoro-il-peso-del-fisco-sul-salario-schiaccia-le-famiglie-italiane-cuneo-fiscale-in-salita-al-479/ Fri, 19 Apr 2019 16:31:25 +0000 https://www.business.it/?p=44973 L’Italia è il terzo paese in Europa ad avere il costo del lavoro più alto tra i 34 paesi dell’area, solo dopo Belgio e Germania. Un triste quadro emerso dal Rapporto Taxing Wages dell’Ocse sul cosiddetto cuneo fiscale che, tra il 2017 e il 2018, è avanzato dal 47,7% al 47,9%, attestandosi di quasi 12… Leggi tutto »Lavoro, il peso del fisco sul salario schiaccia le famiglie italiane: cuneo fiscale in salita al 47,9%

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L’Italia è il terzo paese in Europa ad avere il costo del lavoro più alto tra i 34 paesi dell’area, solo dopo Belgio e Germania. Un triste quadro emerso dal Rapporto Taxing Wages dell’Ocse sul cosiddetto cuneo fiscale che, tra il 2017 e il 2018, è avanzato dal 47,7% al 47,9%, attestandosi di quasi 12 punti sopra la media stabilita dall’organizzazione economica. In Italia le imposte sul reddito e i contributi di sicurezza sociale combinate assieme rappresentano l’85% del cuneo fiscale totale, rispetto al 77% del cuneo fiscale medio dell’Ocse.
Secondo i calcoli dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in Italia la percentuale di imposte e dei contributi a carico del datore di lavoro o del contribuente per le famiglie monoreddito toccano quasi quota 39,1% contro una media, calcolata sempre dall’Ocse, del 26,6%. Per questa categoria, peggio di noi va solo la Francia, anche se, come ha fatto notare Federcasalinghe, di fatto in Francia le famiglie monoreddito godono di un sostegno economico e di servizi inimmaginabili in Italia.
Quanto agli altri dati, l’Ocse fa sapere che l’Italia si colloca al terzo posto per quello che riguarda i lavoratori single, con un cuneo fiscale pari al 47,9%, in crescita dello 0,2% sul 2018, a fronte di una media del 36,1%. Quanto ai calcoli sul netto in busta paga, per l’Ocse una famiglia italiana con due figli a carico arriva a percepire l’80% del reddito, anche qui sotto la media Ocse dell’85,8%. In generale per l’Ocse aumenta il peso del fisco sui salari in Italia, in controcorrente rispetto alla media del mondo industrializzato.

 

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Il Pd rilancia la sfida sul lavoro: “Orario ridotto con un tetto di ore mensili” https://www.business.it/martina-rilancia-la-sfida-dal-pd-in-italia-si-deve-lavorare-meno/ Sat, 13 Apr 2019 09:34:21 +0000 https://www.business.it/?p=44601 L’idea di ridurre l’orario di lavoro mensile, avanzata in queste ore dal presidente Inps Pasquale Tridico, non è una novità per Maurizio Martina, che in passato ne aveva parlato apertamente a ridosso delle primarie del Pd. E che ora torna a lanciare questa proposta in un post su Facebook spiegando di essere “a favore di un… Leggi tutto »Il Pd rilancia la sfida sul lavoro: “Orario ridotto con un tetto di ore mensili”

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L’idea di ridurre l’orario di lavoro mensile, avanzata in queste ore dal presidente Inps Pasquale Tridico, non è una novità per Maurizio Martina, che in passato ne aveva parlato apertamente a ridosso delle primarie del Pd. E che ora torna a lanciare questa proposta in un post su Facebook spiegando di essere “a favore di un confronto serio sulle possibili vie per sperimentare una riduzione dell’orario di lavoro. Non mi faccio affascinare in modo semplicistico dall’ultima intervista di giornata, ma vorrei si riflettesse sul tema provando a ragionare nel merito. Noi ci abbiamo provato anche recentemente nella nostra mozione ‘Fianco a fianco’ per il congresso Pd”.La proposta di Martina è ancora a uno stato embrionale, ma potrebbe affiancarsi a quella sul salario minimo di cui si discute da qualche settimana e che anche il Pd sostiene con un suo disegno di legge. L’ex ministro dell’Agricoltura ricorda ancora nel suo post che “oggi in Italia chi lavora lo fa per molte ore in più che nella media dei paesi europei. Un lavoratore italiano lavora circa venti ore al mese in più di un collega tedesco. La ragione: da noi gli straordinari non solo sono previsti, ma anche incentivati attraverso forme di detassazione (con un’imposta sostitutiva del 10 percento)”.“In Germania gli straordinari sono fortemente disincentivati: non possono essere superate le 8 ore di lavoro al giorno. In alcuni casi eccezionali si può arrivare alle 10 ore ma solo se in un arco di sei mesi le ore lavorate medie rimangono sempre 8”. Secondo Martina la soluzione potrebbe essere quella di “introdurre per legge un tetto di ore al mese sul modello tedesco, così da favorire nuova occupazione e un maggiore equilibrio tra tempi di vita e tempi di lavoro”.L’ex candidato alla segreteria del Pd ritorna allora sulla proposta rilanciata da Piergiorgio Alleva in queste ore: “Utilizzare al meglio il ‘contratto di solidarietà espansiva’ già previsto dalla legge, mettendo in questo caso potenzialmente in gioco in modo virtuoso risorse pubbliche per compensare il taglio dei stipendi e assegnando proprio alla contrattazione tra le parti un ruolo decisivo”.

Pd a pezzi: si spaccano anche i renziani. Chi vuole Martina, chi lancia Giachetti

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Lavoro, l’incontro tra domanda e offerta: ecco le professioni più richieste ma che le aziende non riescono a trovare https://www.business.it/lavoro-lincontro-tra-domanda-e-offerta-ecco-le-professioni-piu-richieste-ma-che-le-aziende-non-riescono-a-trovare/ Fri, 29 Mar 2019 12:37:53 +0000 https://www.business.it/?p=43682 In Italia, l’incontro tra la domanda di lavoro espressa dalle imprese e l’offerta presente sul mercato è ancora un tema ancora assai problematico: almeno in un caso su 4 le aziende sono disposte ad assumere, ma non trovano le professionalità adatte. Secondo il nuovo Rapporto Excelsior 2018 realizzato da Unioncamere, questo disallineamento ha interessato nel… Leggi tutto »Lavoro, l’incontro tra domanda e offerta: ecco le professioni più richieste ma che le aziende non riescono a trovare

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In Italia, l’incontro tra la domanda di lavoro espressa dalle imprese e l’offerta presente sul mercato è ancora un tema ancora assai problematico: almeno in un caso su 4 le aziende sono disposte ad assumere, ma non trovano le professionalità adatte. Secondo il nuovo Rapporto Excelsior 2018 realizzato da Unioncamere, questo disallineamento ha interessato nel solo anno 2018 il 26% degli oltre 4,5 milioni di contratti di lavoro che il sistema produttivo aveva intenzione di stipulare, 5 punti percentuali in più del 2017. In generale mancano insegnanti di lingue, esperti di software, saldatori ed elettrotecnici. Sei posti su dieci, per queste professioni, non trovano curriculum adatti. Alcune abilità, poi, sono sempre più richieste dal mercato, ma ancora non abbastanza diffuse.
A soffrire sono maggiormente i giovani
Per quanto riguarda i giovani, paradossalmente la situazione diventa ancora più critica: “Del milione e 267mila contratti per i quali le imprese si sono dette orientate preferibilmente verso gli under 30 – si legge sul rapporto Excelsior – il 28% è ritenuto non facile da trovare, con punte del 62% per gli specialisti in scienze informatiche, fisiche e chimiche, del 45% per i tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione e del 43% per gli operai nelle attività metalmeccaniche ed elettromeccaniche”.
I profili più richiesti
Tra i primi profili difficili da trovare sul mercato, il rapporto segnala le professioni tecniche nell’ambito industriale. Le aziende cercano (ma non trovano) elettrotecnici, tecnici meccanici, saldatori e tagliatori a fiamma, installatori, manutentori e riparatori di macchine informatiche, stampatori, meccanici e montatori di macchinari industriali e assimilati, operai di macchine utensili automatiche e semiautomatiche industriali e conduttori di mezzi pesanti. Per la maggior parte di questi profili, la difficoltà indicata dalle imprese si trova nel reperimento di candidati adatti che scarseggiano, o comunque se trovati non possiedono le competenze necessarie. Nei prossimi anni, prevede il rapporto, nella digitalizzazione e nella sostenibilità si concentreranno il 30% dei contratti.

 

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Senza migranti si blocca il Nord Italia: l’allarme degli agricoltori https://www.business.it/a-rischio-la-raccolta-della-frutta-servono-immigrati-nel-nord-italia/ Tue, 12 Mar 2019 06:43:27 +0000 https://www.business.it/?p=42313 Un appello lanciato con forza dalle associazioni agricole della Granda, nella provincia di Cuneo: “C’è il rischio di non avere manodopera per la campagna agraria di quest’anno. Serve con urgenza l’approvazione del decreto flussi che regola l’arrivo dei lavoratori dall’estero”. Per evitare che si ripeta quanto accaduto l’anno scorso, quando il numero di immigrati arrivati per… Leggi tutto »Senza migranti si blocca il Nord Italia: l’allarme degli agricoltori

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Un appello lanciato con forza dalle associazioni agricole della Granda, nella provincia di Cuneo: “C’è il rischio di non avere manodopera per la campagna agraria di quest’anno. Serve con urgenza l’approvazione del decreto flussi che regola l’arrivo dei lavoratori dall’estero”. Per evitare che si ripeta quanto accaduto l’anno scorso, quando il numero di immigrati arrivati per gli impieghi stagionali fu insufficiente a coprire le richieste: 1100 persone, troppo poche per un settore che in questo modo rischia di entrare in crisi. “Anche nella nostra provincia – ha commenta il delegato confederale di Coldiretti Cuneo, Roberto Moncalvo, sulle pagine de La Stampa – sono essenziali in molti comparti agricoli, dalla viticoltura nell’Albese, alla frutticoltura nel Saluzzese e nel Fossanese, fino all’orticoltura nel Braidese. Al ritardo nella pubblicazione del decreto, che sollecitiamo con urgenza, si sommano ulteriori adempimenti burocratici che rallentano l’arrivo dei lavoratori”.“Il lavoro stagionale degli extracomunitari nelle nostre campagne ha un duplice valore – osserva Tino Arosio, direttore di Coldiretti Cuneo – l’agroalimentare cuneese senza quei lavoratori sarebbe più povero, l’opportunità di lavoro che il nostro sistema agricolo offre a quei ragazzi è motivo di speranza. Siamo consapevoli che si debbano migliorare la sistemazione abitativa dei lavoratori stagionali. Da parte nostra porteremo avanti l’esperienza dei campi accoglienza, mentre le nostre imprese incrementano il numero di abitazioni a disposizione dei braccianti. Su questo versante vanno incrementate le risorse regionali di sostegno”.Claudio Conterno, presidente di Cia Cuneo: “Questo percorso di regolarizzazione è sempre più difficile, ma è essenziale. Occorre che si prenda una decisione con urgenza perché se non ci saranno le regolarizzazioni in tempi utili il rischio è che le imprese si aggiustino in altro modo come avveniva anni fa. Nessuno vuole tornare al lavoro nero in questo settore”.

I carabinieri smentiscono Salvini sui disordini degli immigrati a Ferrara: cosa è successo

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8 marzo amaro: le italiane lavorano 66 giorni gratis ogni anno https://www.business.it/8-marzo-amaro-per-le-donne-italiane-i-dati-impietosi-sul-lavoro/ Fri, 08 Mar 2019 07:41:36 +0000 https://www.business.it/?p=42054 Una festa delle donne amara per tante italiane. Quelle, nello specifico, che secondo i rilevamenti Eurostat lavorano nelle aziende del Bel Paese ma guadagnano il 17,9% in meno degli uomini. La beffa è che, se si fanno un po’ di conti, calendario alla mano si scopre che le italiane lavorano gratis 66 giorni su 365. Fossero… Leggi tutto »8 marzo amaro: le italiane lavorano 66 giorni gratis ogni anno

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Una festa delle donne amara per tante italiane. Quelle, nello specifico, che secondo i rilevamenti Eurostat lavorano nelle aziende del Bel Paese ma guadagnano il 17,9% in meno degli uomini. La beffa è che, se si fanno un po’ di conti, calendario alla mano si scopre che le italiane lavorano gratis 66 giorni su 365. Fossero consecutivi, dal primo gennaio, per uno scherzo del destino si fermerebbero proprio al 7 marzo iniziando a essere retribuite soltanto dal fatidico 8 in poi.Come scrive il Corriere della Sera, che ha pubblicato i dati dello studio, due cose vanno precisate. La prima: i numeri non tengono conto del settore pubblico, dove il divario retributivo tra uomini e donne si ferma al 4,4%. Molto basso, anche perché qui si va avanti per concorso e non ci sono aumenti ad personam. La seconda è che il divario salariale “riassume” in sé tre forme di discriminazione diversa: la segregazione delle donne nei settori e nelle qualifiche meno retribuite, la maggior presenza di part-time involontario tra le dipendenti e infine il divario salariale in senso stretto, quello a parità di qualifica, carriera e anzianità di servizio. Che, a seconda delle rilevazioni, può arrivare al 5%. La disparità di trattamento in busta paga da una parte e l’aumentare dei carichi di lavoro casa-ufficio fanno montare la frustrazione. Talvolta la rabbia, repressa e sotto traccia, che per ora si scarica nei ménage familiari. Il 67% delle donne si descrive insoddisfatta, dice di vivere una vita che non sente propria e di cui è stufa, tanto che la vorrebbe cambiare. Gli uomini insoddisfatti, invece, sono soltanto il 33%, la metà.“Le donne hanno fatto passi avanti sul terreno della parità. Ma la consapevolezza della strada che resta da fare, di quello che manca a una parità vera, le rende più insoddisfatte”, interpreta Enrico Finzi, che ha condotto la ricerca per la sua start up Sòno. 

“Ritorno al Medioevo”. Manifesto sessista, le donne in rivolta contro Salvini

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Ryanair di nuovo nei guai: evasi 9 milioni di contributi per i dipendenti della compagnia https://www.business.it/ryanair-di-nuovo-nei-guai-evasi-9-milioni-di-contributi-per-i-dipendenti-della-compagnia/ Thu, 07 Mar 2019 18:18:20 +0000 https://www.business.it/?p=42037 Nuovi problemi per Ryanair: dopo la vicenda che la vedeva coinvolta riguardo alla politica di trasporto a bordo dei bagagli a mano, la compagnia aerea low cost questa volta è finita nel mirino dell’Ispettorato del lavoro per violazioni contributive e illecito ricorso a manodopera dipendente da società terze. Un’ispezione che si è conclusa con la… Leggi tutto »Ryanair di nuovo nei guai: evasi 9 milioni di contributi per i dipendenti della compagnia

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Nuovi problemi per Ryanair: dopo la vicenda che la vedeva coinvolta riguardo alla politica di trasporto a bordo dei bagagli a mano, la compagnia aerea low cost questa volta è finita nel mirino dell’Ispettorato del lavoro per violazioni contributive e illecito ricorso a manodopera dipendente da società terze. Un’ispezione che si è conclusa con la richiesta alla compagnia irlandese di versare all’Inps contributi per un valore complessivo di 9.228.460,56 di euro riguardanti il solo periodo 1° gennaio – 31 dicembre 2014, mentre per quanto riguarda le annualità successive gli accertamenti sono ancora in corso. Secondo quanto accertato dagli ispettori, Ryanair “ha violato la normativa in materia previdenziale ed assicurativa anche attraverso un illecito ricorso a manodopera dipendente da società terze, con base negli aeroporti italiani di Bari, Orio al Serio (Bergamo), Pisa, Roma, Brindisi, Cagliari, Catania, Lamezia Terme (Catanzaro), Milano Malpensa, Palermo, Pescara, Alghero e Trapani”.
Entrando nel dettaglio, gli ispettori hanno rilevato che nel corso del 2014 la compagnia Ryanair si è avvalsa delle prestazioni di circa 600 unità di personale dipendente da 6 società, peraltro registrate come società di trasporto aereo senza averne i requisiti, “violando la normativa sulla corretta commisurazione degli imponibili contributivi relativi alla c.d. indennità di volo, sulle somme dovute e non versate al Fondo Tesoreria Inps, sulle somme dovute per le mensilità aggiuntive e 13°mensilità”.
Gli ulteriori accertamenti proseguiranno con riferimento alle annualità successive, in relazione alle quali si stanno approfondendo i rapporti tra Ryanair e non meno di 70 società terze. Le attività accertative dell’Ispettorato nazionale sono state inoltre estese ad altre compagnie di volo che operano su tutto il territorio nazionale.

 

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Si lavora meno, si fugge di più: l’Italia fatica ancora a rialzare la testa https://www.business.it/meno-lavoro-e-piu-fughe-allestero-litalia-non-se-la-passa-bene/ Mon, 25 Feb 2019 15:51:28 +0000 https://www.business.it/?p=41325 Il numero di occupati torna a crescere, ma per meno ore. Una ripresa “a bassa intensità lavorativa”, quella che ha caratterizzato l’Italia nel 2018 secondo la diagnosi del rapporto ‘Il mercato del lavoro’, elaborata da ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. “La mancanza di opportunità lavorative adeguate può comportare la decisione di migrare all’estero,… Leggi tutto »Si lavora meno, si fugge di più: l’Italia fatica ancora a rialzare la testa

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Il numero di occupati torna a crescere, ma per meno ore. Una ripresa “a bassa intensità lavorativa”, quella che ha caratterizzato l’Italia nel 2018 secondo la diagnosi del rapporto ‘Il mercato del lavoro’, elaborata da ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. “La mancanza di opportunità lavorative adeguate può comportare la decisione di migrare all’estero, fenomeno in crescita negli ultimi anni: da 40 mila del 2008 a quasi 115 mila persone nel 2017”. Quindi in meno di dieci anni le fughe sono quasi triplicate, si legge nel rapporto.“Per raggiungere il tasso di occupazione della media Ue15 (nel 2017 pari a 67,9%, contro il 58,0% di quello italiano) il nostro Paese dovrebbe avere circa 3,8 milioni di occupati in più”, continua il rapporto ‘Il mercato del lavoro’. Secondo il report “la distanza dalla media europea è anche frutto della diversa partecipazione per genere: in Italia meno della metà delle donne tra 15 e 74 anni appartiene alle forze lavoro (48,1% contro il 59,0% dell’Ue). Aggiornato al 2018 è invece il conto sul divario tra il Sud e il resto del Paese”.Nel 2017 circa un milione di occupati ha lavorato meno ore di quelle per cui sarebbe stato disponibile, mentre la schiera dei sovraistruiti ammonta a quasi 5,7 milioni: quasi un occupato su 4. Così il rapporto ‘Il mercato del lavoro’ (ministero del Lavoro-Istat-Inps-Inail-Anpal). E, viene sottolineato, negli anni il fenomeno risulta “in continua crescita, sia in virtù di una domanda di lavoro non adeguata al generale innalzamento del livello di istruzione sia per la mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste e quelle possedute”.“L’aumento della quota di occupazione meno qualificata, accompagnata dalla marcata segmentazione etnica del mercato del lavoro italiano, ha favorito la presenza di lavoratori immigrati più disposti ad accettare lavori disagiati e a bassa specializzazione”. Tra il 2008 e il 2018 “gli stranieri sono passati dal 7,1% al 10,6% degli occupati”. Nei servizi alle famiglie “su 100 occupati 70 sono stranieri”.

Decreto disoccupazione: l’allarme dei sindacati, cifre (preoccupanti) che raccontano l’Italia che verrà

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Il reddito? Un ostacolo al lavoro: l’allarme lanciato dall’Inps, i dati di un bonus “pericoloso” https://www.business.it/linps-contro-il-reddito-di-cittadinanza-puo-scoraggiare-i-giovani/ Wed, 06 Feb 2019 12:52:29 +0000 https://www.business.it/?p=40130 Un provvedimento nato per aiutare i cittadini in difficoltà e che però, paradossalmente, potrebbe avere sul mondo del lavoro effetti ben diversi da quelli sperati. A lanciare l’allarme sulle possibili conseguenze del reddito di cittadinanza è l’Inps: come sintetizzato dal Sole 24 Ore, secondo i dati dell’istituto sotto la soglia di 9.360 euro annui destinati… Leggi tutto »Il reddito? Un ostacolo al lavoro: l’allarme lanciato dall’Inps, i dati di un bonus “pericoloso”

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Un provvedimento nato per aiutare i cittadini in difficoltà e che però, paradossalmente, potrebbe avere sul mondo del lavoro effetti ben diversi da quelli sperati. A lanciare l’allarme sulle possibili conseguenze del reddito di cittadinanza è l’Inps: come sintetizzato dal Sole 24 Ore, secondo i dati dell’istituto sotto la soglia di 9.360 euro annui destinati a una persona single con Isee zero troviamo ben il 37,5% dei lavoratori del sud Italia (1,3 milioni) e il 21,2% di occupati al nord (1,7 milioni).Al centro si collocano invece sotto i 780 euro al mese il 27,6% dei lavoratori, più di 837mila unità. Il dato al sud, però, resta quello più emblematico. Perché sempre secondo l’Inps aggiungendo al totale anche collaboratori, partite Iva e autonomi si arriva a quasi il 45% dei dipendenti privati. Le stime, però, parlano di un 30% dei beneficiari che riceveranno una erogazione pari o superiore ai fatidici 9.360 euro annui, in quanto parte di nuclei famigliari con più componenti.Cifre analoghe emergono anche dalle ricerche dell’ufficio parlamentare di bilancio (Upb) che lanciato l’allarme parlando del rischio di “comportamenti opportunistici” considerando che per chi ha un reddito da lavoro inferiore, il bonus può rappresentare un disincentivo. Un problema evidente soprattutto al Meridione, dove risiede una gran parte di quella popolazione per la quale lavorare non risulterebbe, al dunque, conveniente.Un effetto più evidente per i giovani, penalizzati da redditi di ingresso nel mondo del lavoro non soddisfacenti. Confindustria si è accodata alle proteste, sostenendo come proprio tra le persone con età più bassa il reddito possa trasformarsi in un ostacolo, frenando la voglia di mettersi in gioco e fare le prime esperienze.

Reddito di cittadinanza: tutti i trucchetti per averlo. Boom di separazioni e cambio di residenza

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Lavorare meno, faticare di più: un paradosso tutto italiano, un Paese col fiato corto https://www.business.it/il-censis-fotografa-litalia-meno-lavoro-ma-maggiore-difficolta-per-tutti/ Wed, 30 Jan 2019 11:24:40 +0000 https://www.business.it/?p=39748 Si crea meno lavoro, ma crescono gli affanni legati all’occupazione. Un paradosso tutto italiano messo in evidenza dal Censis in una indagine sul welfare aziendale elaborata con Eudaimon. L’analisi rileva come l’ultimo decennio sia stato deficitario per il numero di occupati nel Paese, con un saldo negativo nel periodo della grande recessione (2007-2017) dello 0,3%. Un dato… Leggi tutto »Lavorare meno, faticare di più: un paradosso tutto italiano, un Paese col fiato corto

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Si crea meno lavoro, ma crescono gli affanni legati all’occupazione. Un paradosso tutto italiano messo in evidenza dal Censis in una indagine sul welfare aziendale elaborata con Eudaimon. L’analisi rileva come l’ultimo decennio sia stato deficitario per il numero di occupati nel Paese, con un saldo negativo nel periodo della grande recessione (2007-2017) dello 0,3%. Un dato che si confronta con performance migliori altrove in Europa: è infatti aumentato in Germania (+8,2%), Uk (+7,6%), Francia (+4,1%) e nella media dell’Unione (+2,5%).A fronte di questa situazione, il ‘percepito’ dei lavoratori descrive un incremento del carico, nonostante le statistiche ufficiali sulle ore lavorate abbiano in passato mostrato come l’economia nel complesso abbia faticato a recuperare i livelli lavorativi antecedenti la crisi, tanto che si è più volte parlato di boom dei part-time e del peggioramento della qualità del lavoro offerto. Secondo il Censis, in ogni caso, il 50,6% dei lavoratori afferma che negli ultimi anni “si lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità”.Il rapporto indica che “sono 2,1 milioni i lavoratori dipendenti che svolgono turni di notte, 4 milioni lavorano di domenica e festivi, 4,1 milioni lavorano da casa oltre l’orario di lavoro con e-mail e altri strumenti digitali, 4,8 milioni lavorano oltre l’orario senza pagamento degli straordinari. E con effetti “patologici rilevanti”: 5,3 milioni provano sintomi di stress da lavoro (spossatezza, mal di testa, insonnia, ansia, attacchi di panico, depressione), 4,5 milioni non hanno tempo da dedicare a se stessi 2,4 milioni vivono contrasti in famiglia perché lavorano troppo”.Un quadro di peggioramento delle condizioni percepite che si deve anche agli altri fattori che sono entrati in gioco: invecchiamento della popolazione lavorativa, difficoltà di trovare sbocchi per i giovani, aumento della forbice salariale tra meglio e peggio retribuiti. Ricorda il Censis che vent’anni fa, nel 1997, “i giovani di 15-34 anni rappresentavano il 39,6% degli occupati, nel 2017 sono scesi al 22,1%. Le persone con 55 anni e oltre erano il 10,8%, ora sono il 20,4%”. I lavoratori ‘anziani’ si trovano soprattutto nella pubblica amministrazione (il 31,6% del totale, con una differenza di 13,5 punti percentuali in più rispetto al 2011.

Cambiamento? Macché! Tasse: ecco quanto lavoreremo per lo Stato prima di guadagnare

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Lavoro: oltre un milione di posti disponibili entro marzo, ma i due terzi dei profili professionali sono introvabili https://www.business.it/lavoro-oltre-un-milione-di-posti-disponibili-entro-marzo-ma-i-due-terzi-dei-profili-professionali-sono-introvabili/ Wed, 16 Jan 2019 16:26:33 +0000 https://www.business.it/?p=38876 Fabbri e saldatori, insieme a matematici e tecnici informatici. Ma anche ingegneri ed esperti in scienze bancarie. Questi sono solo alcuni dei profili professionali più difficili da trovare dalle imprese italiane che da qui a fine marzo hanno già in programma l’assunzione di oltre 1,2 milioni di persone (442mila i contratti programmati entro fine gennaio).… Leggi tutto »Lavoro: oltre un milione di posti disponibili entro marzo, ma i due terzi dei profili professionali sono introvabili

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Fabbri e saldatori, insieme a matematici e tecnici informatici. Ma anche ingegneri ed esperti in scienze bancarie. Questi sono solo alcuni dei profili professionali più difficili da trovare dalle imprese italiane che da qui a fine marzo hanno già in programma l’assunzione di oltre 1,2 milioni di persone (442mila i contratti programmati entro fine gennaio). A rilevare questi dati è stato il sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, che ha messo in evidenza risultati all’apparenza positivi, ma che in realtà sono in calo su base annua: infatti rispetto allo scorso anno, il sistema ha registrato una flessione delle entrate previste di -58.620 sul trimestre gennaio-marzo 2018, e di -49.510 su tutto il mese rispetto a gennaio scorso.

Nel bollettino, si denota come il dato sia visto come un “segnale del progressivo rallentamento congiunturale, a conferma di un quadro macroeconomico già noto e reso ancora più incerto dall’evolversi degli scenari economici mondiali”. Questo anche per effetto di una maggior richiesta di profili professionali qualificati. Molte le incognite che gravano sui piani di sviluppo delle imprese: dall’andamento delle esportazioni per la questione dei dazi, all’incertezza sulla ripresa della domandainterna e degli investimenti, alle conseguenze legate alla Brexit.

Non tutti i settori però soffrono queste conseguenze, laddove moda, metallurgia, meccatronica, chimica – farmaceutica, manifatturiero, turismo e servizi si muoveranno in controtendenza, con aumenti delle posizioni lavorative messe a disposizione rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Segna il passo, invece, l’agroalimentare con una flessione del 18,2% rispetto alle entrate programmate nello stesso trimestre del 2018, sentore di una maggiore alea di incertezza percepita dalle imprese agroalimentari considerati gli scenari che si prospettano.

La difficoltà delle imprese a individuare e reperire i profili idonei da introdurre in azienda, cresce di 6 punti percentuali raggiungendo il 31% delle entrate previste a gennaio. Questo anche per effetto di una maggior richiesta di profili professionali qualificati.

 

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Lavoro, 88mila assunzioni hi-tech entro il 2020 ma non ci sono gli specialisti laureati: quali saranno i mestieri del futuro https://www.business.it/lavoro-88mila-assunzioni-hi-tech-entro-il-2020-ma-non-ci-sono-gli-specialisti-laureati-quali-saranno-i-mestieri-del-futuro/ Tue, 04 Dec 2018 17:13:59 +0000 https://www.business.it/?p=36544 Il mercato del lavoro nel campo hi-tech cresce sempre di più, infatti se da un lato gli ultimi dati Istat parlano di tasso di disoccupazione in crescita, dall’altra parte c’è anche un segmento che sembra non conoscere recessione. Parliamo del settore dell’information and communication tecnology (Ict) dove secondo una statistica, i professionisti di questo comparto… Leggi tutto »Lavoro, 88mila assunzioni hi-tech entro il 2020 ma non ci sono gli specialisti laureati: quali saranno i mestieri del futuro

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Il mercato del lavoro nel campo hi-tech cresce sempre di più, infatti se da un lato gli ultimi dati Istat parlano di tasso di disoccupazione in crescita, dall’altra parte c’è anche un segmento che sembra non conoscere recessione. Parliamo del settore dell’information and communication tecnology (Ict) dove secondo una statistica, i professionisti di questo comparto dell’hi-tech sarebbero sempre più richiesti, al punto da aprire le porte a 88mila nuovi posti di lavoro disponibili già tra il 2018 e il 2020. Oltre ai profili Itc, infatti, tra i vari profili richiesti si affacciano anche ruoli professionali nuovi come lo specialista dei big data, service development manager e cyber security officer. A fare i conti sulle prospettive del mercato dell’alta tecnologia, è stata l’analisi 2018 sulle professioni Ict dell’Osservatorio delle competenze digitali, condotto da Aica, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia in collaborazione con Miur e Agid. La ricerca si basa sull’analisi di oltre 64mila annunci di lavoro per l’Ict pubblicati in rete nel 2017 di cui sono analizzate, oltre alle aree geografiche di provenienza, i settori di destinazione, le skill richieste e le retribuzioni offerte.
Migliaia di assunzioni nel settore tecnologico ma mancano le competenze
Secondo il rapporto dell’Osservatorio delle competenze digitali 2018 (riportato anche sul giornale il Sole24Ore), sembra che il mercato Ict è quello che più incrementerà i posti di lavoro nei prossimi anni, che già subisce una crescita continua degli annunci web per le professioni Ict (+7% rispetto al 2016) e la comparsa di nuove professioni per il medesimo settore. Saranno infatti disponibili fino a 88mila posti in più tra la fine dell’anno e il 2020. Dalla ricerca si ha un ulteriore conferma di come il mercato del lavoro sta cambiando legandosi a lavori strettamente collegati alle tecnologie informatiche, cosa che emerge ancora più chiaramente dal fatto che le aziende chiedono competenze digitali anche per profili non strettamente legati all’Ict.

Dall’altro lato a questa promettente nuova offerta lavorativa per i giovani, con le aziende che hanno richiesto fino a 20.500 tecnici specializzati all’anno, i laureati pronti ad operare in questo settore sembrano mancare. Probabilmente le università non riescono ancora ad andare di pari passo con le competenze digitali o forse non ci sono abbastanza giovani interessati a questo settore che, invece, sembra davvero guardare al futuro. Dalle stime dell’Osservatorio, il 2018 ha mostrato un fabbisogno di laureati per le aziende che oscilla fra i 12.800 e i 20.500, mentre l’Università dovrebbe laurearne poco più di 8.500: un gap che arriva dunque al 58%. Opposta la situazione per i diplomati: il fabbisogno oscillerà fra i 7.900 e i 12.600, con un surplus che oscillerà fra i 3.400 e gli 8.100 (27%). Dunque i laureati ICT crescono troppo lentamente: nel 2017 toccano le 7.700 unità, in lievissima crescita rispetto al 2016, ma sono calati gli specialisti in Informatica e Ingegneria Informatica (INFO), pari a 4.460. Si attenua la tendenza dei laureati triennali INFO a terminare gli studi dopo la laurea triennale (+3% da +10% nel 2016) mentre continua l’incremento nelle immatricolazioni anche se in misura ridotta (+3,5% contro il +9% nel 2016) e con percentuali di abbandono che restano elevate (si laurea solo il 40% degli immatricolati nelle triennali, come nel 2016).
Le figure più cercate
Tra i mestieri più ricercati dei prossimi due anni, il boom delle richieste sarà soprattutto per le mansioni di cyber security officer, lo specialista dei big data e il service development manager. Inoltre, tra i profili più richiesti spiccano gli sviluppatori (cresciuti del 19% rispetto al 2017)seguiti dalla figura dei consulenti Ict e Ict operations manager, richiesto soprattutto nel terziario. Gettonate anche le figure di Big data specialist e service development manager. Da considerare che più della metà delle richieste per queste figure arriva dal Nord Ovest, Lombardia in primis, dove si concentrano il 48% delle richieste. Il resto è diviso tra Nord Est, Centro e Sud.

 

 

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Handshake, il LinkedIn che fa leva su studenti universitari e pari opportunità https://www.business.it/handshake-il-linkedin-che-fa-leva-su-studenti-universitari-e-pari-opportunita/ Wed, 31 Oct 2018 13:24:21 +0000 https://www.business.it/?p=34444 La startup Handshake è il nuovo LinkedIn: si rivolge a studenti universitari e neolaureati, che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro, con particolare attenzione a temi come la diversità e l'inclusione.

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LinkedIn, con 562 milioni di utenti, conduce il mercato nelle piattaforme social per coloro che vogliono fare rete nella propria professione o cercare lavoro.
Adesso sembra che la startup Handshake stia cercando di portare avanti una nicchia specifica, ovvero studenti universitari e neolaureati, che appunto si affacciano al mondo del lavoro,  con particolare attenzione alla diversità e all’inclusione.
Handshake: University Platform for Recruiting Students rappresenta quella piattaforma per tutti gli studenti che desiderano intraprendere i primi passi della loro carriera e per tutti quei datori di lavoro che vogliono raggiungerli. La startup ha da poco raccolto 40 milioni di dollari in una serie C di finanziamenti, dopo aver raggiunto 14 milioni di utenti solo negli Stati Uniti in 700 università e 300.000 datori di lavoro che cercano profili interessanti.

La società è ora valutata 275 milioni di dollari post-money, secondo i dati di PitchBook: si tratta quindi di un grande balzo in avanti della sua valutazione nella fase B della serie di finanziamento datata due anni fa, quando era stata valutata a $ 108 milioni.

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Chi ha partecipato al finanziamento

Il finanziamento è notevole: l’ultimo round è stato guidato da EQT Ventures, il braccio di investimento della holding europea EQT, con la partecipazione anche di diverse organizzazioni di investimento che si sono concentrate sul sostegno di startup rivolte al settore dell’istruzione, tra cui la Chan Zuckerberg Initiative, Omidyar Network, Reach capital; così come hanno fatto prima True Ventures, Kleiner Perkins, Lightspeed Venture Partners, Spark Capital e KPCB Edge.

Ad oggi, Handshake è attivo solo negli Stati Uniti. La società è stata fondata nel 2014, inizialmente denominata Stryder da tre laureati dell’Università del Michigan:  Garrett Lord (attualmente CEO), Scott Ringwelski (CTO) e Ben Christensen (un membro del consiglio). Il piano è di utilizzare i nuovi finanziamenti per espandersi in più mercati come l’Europa, utilizzando la rete di imprese EQT nella regione per aiutare l’espansione dell’impresa.

LinkedIn ha fatto molti sforzi nel corso degli anni per attirare nuovi utenti e portarli nella sua piattaforma.

Nel 2013, l’azienda ha ridotto l’età minima per gli utenti a 13 anni e ha già lanciato pagine dedicate alle università. Nel 2014, LinkedIn ha iniziato ad aggiungere altri strumenti agli utenti più giovani per connettersi con le università e le loro reti relative all’università proprio sulla piattaforma. E attraverso vari sforzi di e-learning, l’azienda ha cercato di creare un ponte tra il tipo di apprendimento che si potrebbe fare all’università e quello che si potrebbe fare dopo aver lasciato la carriera.

Uno dei modi in cui Handshake, invece, ottiene maggiori dettagli sui suoi membri è attraverso le sue partnership con le università, che aiutano a popolare le informazioni sui profili, piuttosto che affidarsi a una persona che compila manualmente tutti i dettagli.

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Eliminare la disuguaglianza nel processo di reclutamento

Handshake ha anche relazioni con più di 100 istituzioni che servono le minoranze, che includono università storicamente nere e istituzioni di servizio ispaniche negli Stati Uniti, per portare loro e i loro studenti più strettamente in quella direzione.

La nostra comunità di Handshake sta affrontando il cosiddetto” problema del gasdotto “. Ci sono studenti qualificati in ogni campus in ogni angolo del paese e siamo orgogliosi di aiutare i datori di lavoro a scoprire, reclutare e assumere talenti emergenti di ogni estrazione “, ha affermato Garrett Lord, co-fondatore e CEO di Handshake, in una dichiarazione . “Gli studenti di tutto il mondo sperimentano la stessa disuguaglianza nel processo di reclutamento, quindi siamo entusiasti di collaborare con Alastair Mitchell” – il partner EQT che guida l’investimento – “e EQT Ventures per espandere il nostro impatto oltre gli Stati Uniti”.

Questo non vuol dire che l’inclusione e la diversità siano gli unici problemi affrontati da Handshake.

CZI è entusiasta di supportare Handshake in quanto collega studenti di talento a opportunità di carriera che consentono loro di raggiungere il loro pieno potenziale“, ha affermato Vivian Wu, Managing Partner di Ventures presso l’iniziativa Chan Zuckerberg, in una dichiarazione. “L’approccio di Handshake – ampliare l’accesso, creare comunità di studenti e supporto e mostrare risultati oltre il college e la laurea – produce risultati concreti, specialmente per i giovani provenienti da comunità che non hanno accesso a opportunità di lavoro e di vita di alta qualità“.

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Organizzare meeting di successo: i 7 aspetti da non trascurare https://www.business.it/organizzare-meeting-di-successo/ Mon, 29 Oct 2018 07:30:04 +0000 https://www.business.it/?p=34130 Il meeting è un valido strumento di comunicazione che, per essere efficace, deve rispettare alcune regole fondamentali.

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Il meeting è un valido strumento di comunicazione che, per essere efficace, deve rispettare alcune regole fondamentali. Vediamo quali.

1. Definire gli obiettivi del meeting e allocare il budget

Non si può organizzare un evento senza cercare di prevedere quali saranno i rientri, sia in termini di nuovi clienti sia in termini di contratti. Anche perché, in base ai risultati che si vogliono raggiungere, servirà un piano d’azione che impegnerà delle risorse, e bisogna sapere quanto si spenderà ed in che cosa, allocando quindi con precisione il budget, imprevisti compresi.

2. Scegliere la location e definire una data

Poi bisogna scegliere la location. È una cosa che va fatta in dipendenza del tipo di evento che si andrà ad organizzare, del tipo di prodotto e dei risultati che si vogliono conseguire. E anche della quota del budget che le è stata destinata. Può essere una sala congressi come un giardino storico. La data invece va scelta anche in funzione dei tempi che occorrono per completare l’invio degli inviti e la preparazione dell’evento.

meeting-organizzazione

3. Stabilire l’ordine del giorno 

Il meeting è un momento d’incontro che deve rivelarsi produttivo e interessante. Il suo obiettivo deve essere chiaro, e ben inserito in un ordine del giorno da riportare sugli inviti, con orario, tema e relatore. Bisogna anche dare spazio agli interventi del pubblico, sempre pieni di suggerimenti preziosi e di domande interessanti, e non dimenticare di scandire la giornata con dei coffee break.

4. Mandare gli inviti e promuovere l’evento

Una volta stabilito l’ordine del giorno bisogna stampare gli inviti e stilare una lista di persone a cui spedirli. Non è la sola operazione da fare per promuovere l’evento, ma è certamente quella fondamentale, proprio perché sugli inviti ci sono i dettagli del meeting, compresa l’eventuale presentazione delle novità. Lo stesso invito infatti potrà anche essere pubblicato sui social, o inserito negli articoli promozionali sul web.

5. Allestire la sala meeting

L’allestimento della sala meeting è fondamentale, perché il suo impatto positivo deve creare empatia. Spazio, luci, colori e un tavolo per i relatori organizzato puntigliosamente. Sulle postazioni di ciascuno di loro saranno necessari dell’acqua, dei blocchi per prendere nota e delle penne possibilmente personalizzate con il logo aziendale, che, grazie a siti come Axonprofil, possono essere scelte e ordinate tranquillamente online.

6. Predisporre un buffet a fine meeting

Affinché i partecipanti al meeting possano mantenere un buon ricordo, sia dell’evento che dell’azienda, è indispensabile chiudere la serata con un buffet. Qualcosa di leggero e gustoso, che gli ospiti possano consumare velocemente in piedi chiacchierando della giornata. Questo momento è molto delicato, quindi è indispensabile affidarsi ad un catering di qualità per non fare magre figure.

Organizzare meeting-regole-successo

7. Predisporre un sistema per raccogliere dei feedback sull’evento

I feedback dell’evento vanno raccolti a caldo e sono molto importanti, sia perché danno agli ospiti la possibilità di concentrarsi sulla giornata sia perché le eventuali critiche servono a limare le piccole défaillance. Ma il foglio con i feedback è utile anche per raccogliere i recapiti degli intervenuti al fine di poterli ricontattare.

Pochi accorgimenti essenziali

Sono appena sette le regole che bisogna seguire per realizzare un meeting di successo. E il tempo e la pratica dimostreranno che non si può fare a meno di nessuna di esse.

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Robot, per l’89% delle aziende non sostituiranno l’uomo. A rischio solo i lavori manuali e poco specializzati https://www.business.it/robot-per-l89-delle-aziende-non-sostituiranno-luomo-a-rischio-solo-i-lavori-manuali-e-poco-specializzati/ Tue, 23 Oct 2018 14:41:57 +0000 https://www.business.it/?p=33931 Le macchine fanno molte cose al posto degli esseri umani, e spesso lo fanno meglio e in tempi rapidissimi, ma nonostante questo i robot non sostituiranno l’uomo. A dirlo il primo rapporto dell’Associazione italiana per la direzione del personale (Aidp)-Lablaw 2018 a cura di Doxa su Robot, intelligenza artificiale e lavoro in Italia. “Per l’89%… Leggi tutto »Robot, per l’89% delle aziende non sostituiranno l’uomo. A rischio solo i lavori manuali e poco specializzati

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Le macchine fanno molte cose al posto degli esseri umani, e spesso lo fanno meglio e in tempi rapidissimi, ma nonostante questo i robot non sostituiranno l’uomo. A dirlo il primo rapporto dell’Associazione italiana per la direzione del personale (Aidp)-Lablaw 2018 a cura di Doxa su Robot, intelligenza artificiale e lavoro in Italia. “Per l’89% delle aziende i robot e l’intelligenza artificiale non potranno mai sostituire del tutto il lavoro delle persone”. Il report sarà presentato ufficialmente domani 24 ottobre a Roma. L’introduzione degli automi nelle aziende è vista sotto una luce positiva, tuttavia sono a forte rischio sostituzione i lavori manuali e poco specializzati.

Uno dei problemi che si è sempre posto davanti l’utilizzo delle macchine nel lavoro è sempre stato pensare che distruggono l’occupazione. Dal report emerge un dato di grande interesse che riguarda le modalità con cui i sistemi di intelligenza artificiale e robot si sono integrati in azienda. Per il 56% delle aziende l’impiego di queste tecnologie è stato a supporto delle persone, a riprova che queste sono da considerarsi principalmente un’estensione delle attività umane e non una loro sostituzione. Per il 33%, inoltre, tali sistemi sono stati impiegati per svolgere attività nuove mai realizzate in precedenza.

Per il 42% delle aziende, invece, l’AI e i robot hanno sostituito mansioni prima svolte da dipendenti. Questi dati confermano la rivoluzione in atto nelle organizzazioni del lavoro e nelle attività di guida di tali processi che i direttori del personale saranno chiamati a svolgere ed è questa una delle ragioni principali che ha spinto l’Aidp ad investire nella realizzazione annuale di un rapporto che fornisca dati e informazione utili a capire meglio il futuro del lavoro nell’era dei robot e dell’intelligenza artificiale. Invece per quello che riguarda l’introduzione di sistemi di intelligenza artificiale e robot nelle aziende italiane, ben il 61% delle organizzazioni sarebbe favorevole a farlo, e solo l’11% si dichiara totalmente contrario. Tra le ragioni principali, la convinzione che il loro utilizzo rende il lavoro delle persone meno faticoso e più sicuro (93%), fa aumentare l’efficienza e la produttività (90%) e ha portato a scoperte e risultati un tempo impensabili (85%).

In sostanza, la stragrande maggioranza delle aziende e dei manager sono che i robot e l’intelligenza artificiale non potranno mai sostituire del tutto il lavoro delle persone e che avranno un impatto positivo sul mondo del lavoro e delle aziende: permetterà, infatti, di creare ruoli, funzioni, e posizioni lavorative che prima non c’erano (77%); stimolerà lo sviluppo di nuove competenze e professionalità (77%); consentirà alle persone di lavorare meno e meglio (76%). Avrà invece un impatto molto forte nei lavori a più basso contenuto professionale: favorirà la sostituzione dei lavori manuali con attività di concetto. I manager e gli imprenditori ritengono, infatti, che al di là dei benefici in termini organizzativi, l’introduzione di queste tecnologie potrà avere effetti negativi sull’occupazione e l’esclusione dal mercato del lavoro di chi è meno scolarizzato e qualificato. Le conseguenze in termini di perdita di posti di lavoro di questi strati è indicata dal 75% dei rispondenti.

In generale, l’intelligenza artificiale e i robot migliorano molti aspetti intrinseci del lavoro dipendente perché hanno favorito una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e in uscita (38%); la riorganizzazione degli spazi di lavoro/uffici (35%); la promozione di servizi di benessere e welfare per i lavoratori (31%); il lavoro a distanza e smart working (26%); la riduzione dell’orario di lavoro (22%).

 

 

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